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MASSIMO D'AZEGLIO E IL SUO ETTORE FIERAMOSCA


Dopo la Presidenza: continua l'impegno politicoTornato ad essere «un semplice mortale», promise sostegno al suo successore, aspirando soprattutto a tornare ad una vita lontana dai veleni della politica e dedita alla sua vera grande passione: la pittura. Nell'autunno del 1852 veniva a sapere dalla moglie Luisa che erano stati ritrovati album e studi di quadri accantonati parecchi anni prima. D'Azeglio chiese con insistenza di riaverli, rivolgendosi anche a quanti ricordava di averne prestati. Poiché il nipote Emanuele si trovava in Inghilterra, gli chiese di ottenere per lui commissioni artistiche, e lo scopo non tardò a realizzarsi. D'Azeglio si recò oltre la Manica per i numerosi lavori che gli erano stati offerti, desideroso di ringraziare inoltre quegli uomini politici che lo avevano sostenuto negli anni trascorsi alla Presidenza del Consiglio. A Londra fu ricevuto dalla Regina Vittoria e da Alberto, che lo invitarono a pranzo a corte.[33]Rifiutò inoltre tutte le onorificenze di cui voleva insignirlo il sovrano (tra queste, la nomina a Generale e quella a Cavaliere dell'ordine supremo dell'Annunziata). Tuttavia, pur volendo ritirarsi dalla cosa pubblica, continuava, per necessità e per amor di patria, a seguire da vicino l'evolversi della situazione politica: Cavour lo teneva in grande considerazione e si avvaleva costantemente del suo aiuto. Quando, nel dicembre 1854, il Piemonte guadagnò rilevanza internazionale aderendo all'alleanza con Francia e Inghilterra inviando un proprio contingente in Crimea - in risposta alle sollecitazioni delle due grandi potenze europee -, d'Azeglio si schierò tra i sostenitori dell'intervento. Il panorama politico era diviso sulla questione, tanto che il Ministro degli Esteri da Bormida si dimise protestando contro la decisione del governo, ma Cavour, favorevole all'alleanza, riuscì con la consueta abilità a prevalere, proponendo al Nostro un nuovo mandato alla Presidenza del Consiglio.[34] D'Azeglio rifiutò l'offerta, ma sostenne Cavour nei propri obiettivi politici, conscio anch'egli dell'importanza decisiva di un futuro apporto francese e inglese per la causa risorgimentale.[35]L'alleanza fu votata il 10 febbraio alla Camera e il 3 marzo al Senato. Una lettera a Teresa Targioni del 25 gennaio, al pari di quanto scrisse un mese più tardi, certificano come d'Azeglio non avesse lesinato energie per giungere a questo risultato.[36] Nello stesso periodo il clima politico viveva una situazione infuocata anche per l'approvazione della legge sui conventi, che prevedeva la soppressione delle corporazioni religiose. La reazione veemente del Cardinale Segretario di Stato Giacomo Antonelli chiamava in causa anche d'Azeglio; questi replicò stizzito con l'articolo Il Governo di Piemonte e la Corte di Roma, apparso su L'Opinione il 16 febbraio.L'intervento in Crimea e la legge sui conventi erano per d'Azeglio due decisioni obbligate, anche se non se ne rallegrava: la guerra voleva pur sempre dire morti e lutti, e neppure la legge lo entusiasmava, «mal fatta e inopportuna e, secondo me, poco liberale. Ma anche questa è quasi una necessità farla passare».[38]Intanto, una nuova estate chiamava una nuova villeggiatura, e il riposo veniva come sempre accolto con gioia. Quell'anno d'Azeglio stimò prudente rinunciare al previsto soggiorno toscano, visto che nella zona impazzava il colera, scatenatosi l'anno precedente e ancora molto pericoloso. Scelse quindi di trascorrere un periodo alla Certosa di Pesio, «a 3 ore da Cuneo ne' monti». Pochi giorni dopo il suo arrivo nella località rimase vittima di un incidente che avrebbe potuto rivelarsi fatale. Un diciottenne, volendo travestirsi da fantasma, pensò bene di mettersi al collo «un recipiente d'acquavite e sale accesi», facendo prendere fuoco al lenzuolo che aveva indossato. Per salvare il giovane, il Nostro si ustionò il volto, ma i danni non furono gravi e dopo qualche settimana i segni dell'incidente scomparvero.[39]In settembre Cavour volle che d'Azeglio si unisse a lui e al sovrano per il viaggio diplomatico in Francia, dove la delegazione doveva incontrare Napoleone III. La trasferta fu rinviata di due mesi a causa di un infortunio di caccia che aveva fatto temere per la vita di Vittorio Emanuele. Scampato il pericolo, a fine novembre i tre partirono alla volta diParigi. Incontratisi a Lione, raggiunsero la grande città il 23, accolti calorosamente dall'imperatore e dalla consorteEugenia. Napoleone riferì di avere a cuore la causa italiana. Il viaggio, estremamente faticoso, proseguì per l'Inghilterra, salutato da entusiasmi ancora maggiori, e ripassò da Parigi, finché a dicembre d'Azeglio ritrovò Torino, distrutto e reduce da un forte mal di denti che l'aveva trattenuto più del previsto in Francia, sottoposto alle cure del dottor Evans, il dentista americano dell'imperatore.[40]Massimo era stato l'ultimo a lasciare le terre di Napoleone, e prima di partire Cavour gli aveva affidato una commissione che gli era stata espressamente richiesta dall'imperatore. Questi, infatti, aveva incaricato il conte di scrivere confidenzialmente a Walewski[41] «ce que vous croyez que je puisse faire pour le Piémont et l'Italie» (ciò che credete io possa fare per il Piemonte e per l'Italia), e il capo del governo aveva girato l'onere a d'Azeglio - il cui discorso regale di Londra aveva avuto grande successo -, molto abile in questo tipo di compiti e ottimo conoscitore della realtà piemontese.[42]D'Azeglio attese alla stesura (in francese) del documento con la massima cura e il massimo impegno, lavorandovi a dicembre e gennaio. Per quanto Cavour ne seguisse l'articolarsi con ammirazione e prodigalità di complimenti, si rese presto conto che lo scritto era eccessivamente curato e manifestamente troppo lungo. In più, mancavano conclusioni precise e pratiche.[43] Pertanto il Presidente del Consiglio preferì sostituirlo con uno proprio.[44]Le nuove sfideGli anni passavano e Massimo, che non era più rivestito di alcun incarico politico, propendeva per una vita sempre più ritirata dalla cosa pubblica, pur continuando a parteciparvi con emozione e interesse. L'estate del 1856 lo vide più libero e con maggior tempo a disposizione, sicché riuscì a soggiornare nell'amata Firenze e a rivedervi i numerosi amici che vi abitavano.[45]Intanto, era nata a Torino una rivista, il Cronista, cui d'Azeglio cominciò a licenziare con cadenza regolare i suoi Racconti, leggende, ricordi della Vita italiana, dove ricordava eventi e personaggi cui era stato legato, abbozzando già un proposito autobiografico che troverà sbocchi ben più importanti negli anni appresso.Fu proprio sulle pagine del Cronista che d'Azeglio fece apparire in ottobre un commosso ricordo dell'amico Giacinto Collegno, scomparso il mese prima. Con lui aveva perso «il solo amico nel quale avessi fiducia assoluta, ed al qual potessi domandare un consiglio ne' casi difficili».[46]Sempre nell'estate del 1856 cominciò la costruzione di una villa a Cannero, sul lago Maggiore, dove poter trascorrere periodi di tranquillità lontano dalla vita cittadina. Già in primavera aveva comprato un vasto appezzamento di terreno, cosicché pochi mesi dopo iniziarono i lavori. L'edificio, composto da due piani, fu definito dal Nostro una «Cartagine sorgente», un luogo, come scrisse al nipote Emanuele, «dove al caso possa da un giorno all'altro trovar ricetto, se un motivo qualunque m'obbligasse a dar un calcio alle grandezze umane».[47]Quanto fosse restìo ad addossarsi nuove responsabilità politiche parve chiaro al suo ritorno a Torino, nel mese di novembre. Cavour gli propose di trasferirsi a Firenze in qualità di Ministro sardo presso la Corte granducale, ma d'Azeglio rifiutò. Al suo posto ricevette la nomina Carlo Boncompagni. Nuovi malanni intanto scossero la fragile salute di Massimo, colpito dalla gotta durante il rigido inverno che seguì. Per questo motivo dovette trascorrere l'estate successiva un mese a Évian, sulla sponda francese del lago di Ginevra, per poter beneficiare della acque alcaline. Nonostante la prospettiva di soggiornare in compagnia di «una brigata di Ginevrini, gente seccante a grado superlativo»[48], non lo allettasse affatto, e nonostante si fosse informato sulla possibilità di farsi curare in Toscana, dovette alla fine rassegnarsi e recarsi sul lago Lemano (1857).Tra commissioni artistiche - dipinse nel 1858, per volere del sovrano, un quadro raffigurante l'entrata di Vittorio Amedeo II di Savoia a Taormina nel 1714 - e prolungati soggiorni a Cannero d'Azeglio godette ancora per qualche mese della tranquillità agognata, prima di tornare nuovamente in azione. Rimase il tempo per soddisfare un desiderio coltivato da anni: recarsi a Siena a vedere il Palio. Così, appassionato di cavalli, ammirò la corsa all'inizio di luglio del 1858, e poi fece tappa ad Antignano e Firenze.[49]Venne il capodanno del 1859, e gli eventi che porteranno nel giro di due anni all'unità nazionale cominciarono a prendere una direzione precisa. Napoleone III ruppe con l'Austria, suscitando una vasta eco in Italia. D'Azeglio era a Firenze, sempre intenzionato a restare ormai in disparte, ma le novità lo indussero a tornare in azione. Il 13 gennaioFrancesco Arese lo avvisava della possibile invasione austriaca del Piemonte.[50] Il 18 il Nostro lasciò Firenze, dopo aver scritto a Cavour manifestandogli la propria adesione. Quel giorno, a Torino, la Francia firmava il trattato con cui si impegnava a intervenire in difesa dei piemontesi qualora fossero stati invasi dalle forze austriache. Il Presidente del Consiglio accolse naturalmente con favore le parole azegliane, e non tardò a fargli sapere in una missiva del 21 come Vittorio Emanuele fosse altrettanto lieto di una sua nuova discesa in campo.[51]Il pretesto per scendere a Roma e sondare segretamente la situazione fu offerto dal conferimento del Collare dell'Ordine Supremo della SS. Annunziata a Edoardo, figlio della regina Vittoria d'Inghilterra e principe ereditario. Azeglio, che aveva trascorso un mese a Genova, partì alla fine di febbraio. Il 24 giunse a Livorno, poi fece tappa a Siena, quindi arrivò a Roma, ospite dell'Hôtel d'Angleterre. Il 5 marzo, si legge nei diari privati del principe inglese, «il Marchese d'Azeglio, celebre uomo di Stato e soldato del Regno di Sardegna venne a darmi l'investitura del Collare dell'Annunziata in nome del Re di Sardegna, che mi aveva fatto l'onore di conferirmelo».[52]A Roma fu ricevuto anche dal pontefice Pio IX, cui portò i saluti di Vittorio Emanuele, e chiuse così gli impegni ufficiali che lo avevano portato nell'Urbe. Ora, «in visite di società ... andava mascherando la parte del cospiratore». Nel frattempo Napoleone andava perdendo interesse per la causa italiana, e il colloquio che Cavour riuscì a ottenere il 29 marzo con l'imperatore e il ministro degli Esteri Walewski non produsse l'effetto sperato. Cavour, allora, decise di seguire il consiglio di Emanuele d'Azeglio, allora ambasciatore sardo a Londra. Il nipote di Massimo suggerì di inviare lo zio in missione diplomatica a Parigi e Londra.[53] Il 1º aprile d'Azeglio viene raggiunto a Roma da un dispaccio di La Marmora che «all'una dopo mezzanotte» lo richiama urgentemente a Torino, dove il sovrano lo vuole vedere prima possibile per comunicargli l'importante incarico.[54]Di nuovo nella città natale, d'Azeglio si affrettò a scoprire il motivo dell'urgente chiamata, ricevendo da Vittorio Emanuele l'ordine di partire per Parigi - e poi per Londra - in qualità di Inviato Speciale e Ministro Plenipotenziario. Nel frattempo, Cavour manifestava al nipote del Nostro le ragioni che lo avevano spinto a designarlo per la missione. Nel succitato colloquio con l'imperatore francese, infatti, Napoleone III «ha citato brani di libri di Azeglio» e lo stesso Walewski «ha invocato alcune volte l'autorità di lui per sostenere la sua opinione». Il Primo Ministro arrivava così ad affermare che la scelta era caduta sull'«autore ed il padre della questione italiana».[55]Era tuttavia il soggiorno in Inghilterra a interessare di più: Cavour e Vittorio Emanuele avevano la chiara percezione che lì si giocasse la partita italiana, che, portati gli inglesi dalla loro parte, la situazione sarebbe migliorata notevolmente. Per questo, quando il Ministro degli Esteri inglese Lord Malmesbury manifestò il desiderio che d'Azeglio venisse a Londra senza passare dalla Francia, il 14 Cavour fece avere all'Inviato Speciale un sollecito, una missiva in cui gli chiedeva di affrettare l'andata oltre la Manica. Il giorno successivo d'Azeglio era in viaggio verso la Savoia. Arrivò a San Giovanni di Moriana, da dove prese il treno per Parigi, città in cui giunse il 16 aprile.[56]Vi rimase soltanto due giorni, ma fu sufficiente per adempiere alla propria funzione. Scrisse in francese un documento che imponeva all'Austria il disarmo preventivo, ricevendo il giorno seguente l'approvazione dell'imperatore. La sera del 17 era già in Inghilterra. Percepì verso l'Italia un'ostilità palpabile, ma non discendeva da una prevenzione diretta, bensì dal recente riavvicinamento con i francesi, cui Londra guardava con sospetto. D'Azeglio fu comunque ricevuto con tutti gli onori dalla regina, che lo invitò amichevolmente a pranzo.[57]La congiuntura politica cominciava a volgere a favore dell'Italia: il progressivo allentarsi delle diffidenze inglesi e le contemporanee minacce austriache sono viste come una manna. Era indubbiamente il momento migliore per essere attaccati, potendo schierare due grandi potenze al proprio fianco. Le parole che d'Azeglio scrive il 23 a Cavour sono in questo senso molto chiare: «La sommation de l'Autriche, juste au moment où notre conduite nous rendait les Benjamins de l'Angleterre, a été un de ces ternes à la loterie qui n'arrivent qu'une seule fois en un siècle»[58](L'intimazione austriaca, contemporanea alle simpatie che la nostra condotta riscuoteva in Inghilterra, è stata una di quelle fortune che capitano una sola volta in un secolo).Francesco GoninRitratto di Massimo d'Azeglio(1860, Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino)L'11 luglio 1859 ebbe l'incarico di costituire un governo provvisorio a Bologna, dopo la cacciata delle truppe pontificie. Il 25 gennaio 1860 venne nominato Governatore della Provincia di Milano, carica che tenne fino al 17 marzo 1861, allorquando fu nominato prefetto Giulio Pasolini.Durante la sua vita politica continuò comunque a dedicarsi alle sue passioni, la pittura e la letteratura, quest'ultima sia in veste di scrittore politico che di romanziere. Da gaudente, il nobile Massimo si guadagnò, fra le dame di corte, una certa reputazione, mentre Francesco De Sanctis descrisse la sua attitudine come «un certo amabile folleggiare... pieno di buon umore».Queste connotazioni non posero tuttavia in secondo piano le sue doti di politico con la capacità di intravedere sia i limiti della riunificazione («Pur troppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gl'Italiani»), sia della dirigenza sabauda (lasciò la scuola di cavalleria per i contrasti con l'aristocrazia) e che propose una sua soluzione personale sia dal punto di vista costituzionale (stato federale), sia da quello economico (liberale).[59]Gli ultimi anniDurante gli ultimi anni di vita, trascorsi sul lago Maggiore, si dedicò alla stesura delle sue memorie, pubblicate postume con il titolo I miei ricordi nel 1867.Massimo D'Azeglio morì a Torino nel 1866, e le sue spoglie sono conservate nella parte storica (porticato) del Cimitero monumentale di Torino.OpereTra le sue opere più famose si possono citare Ettore Fieramosca, o la disfida di Barletta (1833), che ottenne un grandissimo successo, e Niccolò de' Lapi, ovvero i Palleschi e i Piagnoni (1841, edizione del centenario, Torino, Società Subalpina Editrice, 1941).A lui si deve anche lo scritto politico, ispirato ai moti di Rimini del 1845Degli ultimi casi di Romagna (1846), nel quale ha anche modo di elogiare i "temperati modi" del legato pontificio di ForlìTommaso Pasquale Gizzi, da cui Rimini dipendeva; nel testo espone le riforme necessarie alla formazione del nuovostato italiano; nel 1847 scrisse una Proposta di un programma per l'opinione nazionale italiana, e nel 1848 I lutti di Lombardia.Molti dei suoi quadri, soprattutto paesaggi d'ispirazione romantica, sono conservati nella Galleria d'arte moderna di Torino. I cimeli di D'Azeglio della scuola media a lui intitolata a Roma sono traslati nel Museo nazionale della Campagna Risorgimentale del 1867 a Mentana (Roma) quando l'Istituto nel2000 prese il nome di "Giuseppe Sinopoli" grazie all'accettazione della richiesta da parte del Direttore scientifico del Museo, il prof. Francesco Guidotti.