verba volant

Sei una fortezza.


 
 
 
 
 
Ha resistito alla notte insonne, senza piegarsi all'assedio delle pantofole e dei fatti suoi.Puntuale all'appuntamento, giunse mentre ero pronto solo per caso. Non solo per questo, Ella, è fortezza. Raggiungere una sua simile, che l'attendeva da tempo, era una visita di cortesia a cui non potevamo sottrarci. I nostri amici tornanti, ironici, quanto numerosi, ci avvisavano che la S'ignora, ( lei pur essendo una sua simile, l'ignorava, non per civetteria femminile, ma solo per  farle visita con me, che un pò la conoscevo.), era in casa pronta per riceverci. Onde evitare di presentarci con fiatone e fronte sudaticcia, evitammo  salite , scale, scalini e ruette  preferendo utilizzare le novelle scale mobili. Non bussammo, la portinaia-bigliettaia, prese le nostre credenziali, asserendo che la signora ci aspettava. Lo sapevamo. ridendo salivamo i camminamenti, detti militari, che rendevano irto di pericoli il raggiungimento della piazza del forte. Si affaccia in codesta piazza una modesta apertura, ricettacolo del sudere che gronda da quella superiore. Per dovere di cronaca un cartello nomava l'alcova, cisterna. Opera di grande ingegno frutto della stratificazioni di ghiaia e carbone, che permetteva il trasudamento delle acque piovane dalla volta facendole gocciolare previo flitraggio. Plin, Plin. Dopo aver raggiunto la seconda piazzaforte, ci trovammo in salotto. Ci offrì una vista talmente inebriante che non zuccherammo.Nonostante gli acchiacchi era pur sempre la più grande d'Italia. desiderata, voluta e resa tale dal regno di Napoli. La sua grandezza oltrepassava i confini che difendeva. Ci invitò a pranzo. L'oste buon uomo, faceva del suo meglio. Un portone aperto ci invitava a chiuderlo, dall'interno. Non siamo scortesi. Ci accolse un istallazione di una sconosciuta artista locale, che spiegava la quotidianità attraverso  gli oggetti che deponeva sulle scale. Superati gli ostacoli artistici, una sorpresa ci guardava dall'alto. Statuaria. Un uomo barbuto con corona, copriva le sue nudità con un tessuto svolazzante, il braccio destro rivolto verso l'alto, nella mano un regalino del novecento, un porta lume. Ci guardava triste, voleva sapere perchè i vecchi inquilini l'avessero dimenticato lì, tra arte incompresa ed escrementi di piccione. Non potevamo guardarlo che con gli occhi, le pile della macchina fotografica erano scariche, silenziosamente  assecondammo il suo oblio ed il nostro. Le porte degli appartamenti erano aperte, svanimmo anche noi. Pensili in laminato, letti e valigie piene di lana, giacevano sotto affreschi e stucchi di notevole bellezza. Quelle immagini ci accompagnarono verso i nostri amici tornanti per raggiungere le mie scale..P.s. Dovrei costruire anch'io una cisterna sotto il pavimento della camera in cui ci riposiamo..