Poche sera fa ho avuto l’occasione di vedere un film a dir poco stupendo: "Si può fare" di Giulio Manfredonia.La trama: "Nello, un imprenditore milanese che ha perso la propria posizione, si ritrova a dirigere una cooperativa di ex pazienti di ospedali psichiatrici, dopo l'entrata in vigore della legge Basaglia. Credendo fortemente nella dignità del lavoro, Nello spinge ogni socio della cooperativa a imparare un mestiere per sottrarsi alle elemosine dell'assistenza, inventando per ciascuno un ruolo incredibilmente adatto alle sue capacità ma finendo per scontrarsi con inevitabili quanto umanissime e tragicomiche contraddizioni". Mi ha colpita più di una scena, ma, in paticolar modo, una animata discussione tra il protagonista ed il medico che segue i pazienti psichiatrici. Il primo difende il proprio metodo, ben poco ortodosso, secondo il quale: migliorando la qualità di vita dei malati, facendoli lavorare e vivere come persone normali, si può provare a ridurre i farmaci; il secondo invece, ancorato al fatto che sia impossibile evitare l’assunzione di copiose quantità di medicinali a malati psichiatrici, per sostenere la propria tesi, inizia ad elencare i fatti negativi compiuti in passato da ciascun paziente. Nello lascia parlare per un po’ il medico e poi risponde "Basta così! La ringraziamo per il lavoro da Lei svolto finora. Arrivederci".Queste parole mi hanno fatto riflettere. Viene messo in rilievo un aspetto molto importante: vedere le persone per ciò che sono nel presente. Viene dato per scontato il fatto che per ognuno esista un passato più o meno negativo ma viene parallelamente messo in rilievo che: se si parte dal presupposto che, se si sbaglia, tutto diventa irrecuperabile, si rimane inchiodati a quello che è stato e non si vive più.Continuare a guardarsi indietro, continuare a giudicare i passi che si possono ancora compiere basandosi sulle esperienze vissute sulla propria pelle è umano ma questo comportamento, portato all’eccesso, può incastrare una persona, può farla rimanere ferma in attesa di chissà cosa. Forse di scontare un senso di colpa appiccicato ormai sulla propria pelle che magari non è nemmeno realistico, ma che stenta ad andare via.Questo ragionamento mi ha portata al momento nel quale mi resi conto che avevo la possibilità di "abbandonare" la bulimia. In quel contesto ero io, in primis, ad essermi persa di vista nel momento in cui vivevo. Nella mia testa, nonostante la volontà di voler provare a cambiare, mi identificavo ancora nella persona malata e sbagliata. Punto. Dunque, tolta la malattia, cosa mi restava? Era come cadere in un baratro senza potersi aggrappare a nulla.La consapevolezza di me si era indebolita a tal punto da non farmi più credere nelle mie capacità. Ero arrivata a fare cose così brutte a me stessa ed agli altri che non mi sentivo più degna e tanto meno capace di essere normale. Andai avanti mesi a sentirmi in colpa, ad arrovellarmi su come riparare, a piangere per gli sbagli compiuti e più mi guardavo indietro più si verificavano picchi negativi di crisi bulimiche.
AUTO AIUTO PER ALLONTANARE LA BULIMIA: VIVERE IL PRESENTE
Poche sera fa ho avuto l’occasione di vedere un film a dir poco stupendo: "Si può fare" di Giulio Manfredonia.La trama: "Nello, un imprenditore milanese che ha perso la propria posizione, si ritrova a dirigere una cooperativa di ex pazienti di ospedali psichiatrici, dopo l'entrata in vigore della legge Basaglia. Credendo fortemente nella dignità del lavoro, Nello spinge ogni socio della cooperativa a imparare un mestiere per sottrarsi alle elemosine dell'assistenza, inventando per ciascuno un ruolo incredibilmente adatto alle sue capacità ma finendo per scontrarsi con inevitabili quanto umanissime e tragicomiche contraddizioni". Mi ha colpita più di una scena, ma, in paticolar modo, una animata discussione tra il protagonista ed il medico che segue i pazienti psichiatrici. Il primo difende il proprio metodo, ben poco ortodosso, secondo il quale: migliorando la qualità di vita dei malati, facendoli lavorare e vivere come persone normali, si può provare a ridurre i farmaci; il secondo invece, ancorato al fatto che sia impossibile evitare l’assunzione di copiose quantità di medicinali a malati psichiatrici, per sostenere la propria tesi, inizia ad elencare i fatti negativi compiuti in passato da ciascun paziente. Nello lascia parlare per un po’ il medico e poi risponde "Basta così! La ringraziamo per il lavoro da Lei svolto finora. Arrivederci".Queste parole mi hanno fatto riflettere. Viene messo in rilievo un aspetto molto importante: vedere le persone per ciò che sono nel presente. Viene dato per scontato il fatto che per ognuno esista un passato più o meno negativo ma viene parallelamente messo in rilievo che: se si parte dal presupposto che, se si sbaglia, tutto diventa irrecuperabile, si rimane inchiodati a quello che è stato e non si vive più.Continuare a guardarsi indietro, continuare a giudicare i passi che si possono ancora compiere basandosi sulle esperienze vissute sulla propria pelle è umano ma questo comportamento, portato all’eccesso, può incastrare una persona, può farla rimanere ferma in attesa di chissà cosa. Forse di scontare un senso di colpa appiccicato ormai sulla propria pelle che magari non è nemmeno realistico, ma che stenta ad andare via.Questo ragionamento mi ha portata al momento nel quale mi resi conto che avevo la possibilità di "abbandonare" la bulimia. In quel contesto ero io, in primis, ad essermi persa di vista nel momento in cui vivevo. Nella mia testa, nonostante la volontà di voler provare a cambiare, mi identificavo ancora nella persona malata e sbagliata. Punto. Dunque, tolta la malattia, cosa mi restava? Era come cadere in un baratro senza potersi aggrappare a nulla.La consapevolezza di me si era indebolita a tal punto da non farmi più credere nelle mie capacità. Ero arrivata a fare cose così brutte a me stessa ed agli altri che non mi sentivo più degna e tanto meno capace di essere normale. Andai avanti mesi a sentirmi in colpa, ad arrovellarmi su come riparare, a piangere per gli sbagli compiuti e più mi guardavo indietro più si verificavano picchi negativi di crisi bulimiche.