BULIMIA DI VIVERE

DIFFERENZE DI VISUALE TRA GENITORI E FIGLI seconda parte


Con questo post vorrei proseguire l'argomento precedentemente iniziato riguardante la differenza di visuale tra genitori e figli. Come avevo già scritto, ultimamente sono riuscita a parlare in modo molto aperto con mia madre per quanto riguarda il periodo passato nella bulimia e questo mi sta aiutando a capire quali meccanismi si possono celare nella mente di un genitore che vede la propria figlia o il proprio figlio stare così male.Sono rimasta colpita soprattutto da una cosa in particolare e vorrei subito sottolinearla: fondamentalmente mia madre era terrorizzata quanto e, forse, più di me.Si rese pienamente conto dello stato grave della mia condizione durante un episodio specifico. Quando arrivai a toccare il picco negativo a livello fisico iniziai anche, pian piano, a nascondermi sempre di più dagli sguardi dei famigliari. Mi chiudevo in bagno non soltanto per vomitare ma anche per specchiarmi, lavarmi, vestirmi. Non tolleravo nessuno nella stessa stanza se prevedevo di spogliarmi, così, spiando segretamente i comportamenti altrui, cercavo sempre di infilarmi in bagno quando questo non poteva servire a nessuno o quando ogni componente della famiglia era fuori casa o a debita distanza (in modo da avere il tempo di ricoprire in fretta soprattutto il torace, la pancia, i fianchi e il sedere).Un giorno feci male i miei calcoli e mia madre entrò proprio mentre mi stavo pesando senza abiti addosso.
Ci fu un breve istante nel quale, entrambe estremamente imbarazzate, incrociammo i nostri sguardi. Io, dalla sua espressione istintiva, ebbi appena il tempo di rendermi conto di quanto il mio corpo potesse sconvolgere, lei, avendomi di fronte completamente nuda per la prima volta dopo mesi, ebbe appena il tempo di vedere sua figlia ridotta ad uno scheletro e di ricacciare indietro le lacrime. Ci voltammo di scatto tutte e due e, forse per coprire l’assurdità di quel momento, parlammo del più e del meno, cercando di far finta che non fosse accaduto nulla. In seguito non affrontammo più l’argomento.Mia madre mi ha attualmente confermato quanto quell’immagine le rimase impressa e quanto la trafisse come una lama. "Ti si contavano le ossa" mi racconta ancora oggi con lo sguardo perso in un ricordo terribile.E’ vero: il mio aspetto rendeva bene a che punto ero arrivata e manifestava in modo impietoso quanto la mia testa ormai non pensasse ad altro che a farsi del male con metodologie sempre più macabre ed illogiche.Le ho chiesto come mai, in conseguenza a quell’episodio, non fece nulla. Mi ha risposto in modo singolare: "Avevo paura di farti ancora più male. Avevo paura che ti avrei portata a compiere un gesto ancora più estremo".Impotenza, incapacità di affrontare la gravità della situazione, incertezza, angoscia, terrore sono i sentimenti principali che si deducono dalle sue parole.Ho approfondito.In realtà, dopo quell’episodio, mia madre non stette ferma. Ne parlò a mio padre ed assieme decisero di esporre il problema ad alcuni medici specializzati. In generale la risposta alla loro domanda "che cosa possiamo fare?" fu unanime: "Lasciatela stare. Imporle una cura non servirebbe a nulla se non ad innalzare un muro ancora più alto fra di voi. La guarigione deve partire da lei".I miei genitori iniziarono a seguire questa linea, tanto più che alla mente di mia madre affiorò un ricordo raggelante: pochi anni prima le avevo apertamente dichiarato il desiderio di farla finita!Tutto questo la indusse a congelarsi ed a decidere di non calcare la mano, evitando di affrontarmi.Si ritrovò a non avere scelta: da un lato la mia situazione era palesemente angosciante, dall’altro mi vedeva così fragile da essere impietrita dalla paura di spezzarmi anche solo con un minimo gesto.Tempo dopo, quando mi sorprese a vomitare in bagno, ascoltato il mio racconto, venne inchiodata dallo stesso terrore e così, chiaramente spiazzata per la seconda volta, proseguì con il silenzio.Continua...Con affetto,Selvatica