BULIMIA DI VIVERE

AUTO COSCIENZA


DOMANDA: come si fa a far vedere ad una persona che è stata ripetutamente violentata (psicologicamente o fisicamente) che la vita non fa schifo? Come si fa a far capire a chi è stato sempre trattato come una nullità che ha il diritto di occupare uno spazio nel mondo e che la sua presenza non serve solo a togliere ossigeno prezioso a tutti gli altri?Il male genera male, sempre! Ed è constatato che chi viene usato ed abusato ha molte probabilità , a sua volta, di usare ed abusare.Potenzialmente dunque va a crearsi un loop, una spirale infernale, un tunnel nero al fondo del quale, spesso, la bulimia rappresenta soltanto un pezzettino di un puzzle molto più ampio.Lo sfogo malsano, l’autolesionismo, la capacità acquisita di procurarsi dolore diventano strumenti per esorcizzare la sofferenza causata da un altro filo: che si è spezzato ad un livello molto più profondo dell’animo e che sembra essere irreparabile.Sopportando il dolore auto inflitto si dimostra di essere potenti, forti, cattivi: più cattivi degli altri, più cattivi del mondo, più capaci di tutti a compiere gesti malsani, impazziti, fuori da ogni controllo, fino a provarne compiacimento.Ci si piega ma non ci si spezza e ci si allena a non cedere, anzi, ad essere più bastardi di chiunque.Che fare dunque per spezzare questo circolo vizioso?Non ho la soluzione in tasca ma mi sembra il minimo rifletterci un po’ su senza liquidare lo scomodo argomento dando una pacca virtuale sulla spalla a chi sta vivendo questi conflitti dicendo "vedrai che passerà!".Non è così che funziona, non è così semplice! Riuscire a riprendere il filo di se stessi richiede un grande sforzo, è difficile e diventa complicato soprattutto quando le esperienze già vissute e le persone conosciute hanno ripetutamente messo in rilievo che "non vale la pena lottare per se stessi".La realtà è che non si nasce né buoni né cattivi e che, col tempo, ci si adatta a quello che capita e che avviene nel proprio destino: senza istruzioni per l’uso, né possibilità di ripartire dal via.Ma c’è un "ma": credo, parallelamente, che ognuno di noi possieda una propria auto coscienza ben definita, al di là degli insegnamenti, al di là della quotidianità, al di là delle regole e che dentro alla propria intimità sappia veramente cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, cosa sia il dolore o cosa sia lo star bene, cosa sia la morte o cosa sia la vita.Questo può permettere di scegliere, questo può cominciare a far intuire che ha un senso la propria presenza nel mondo, questo può far alzare la testa e far smettere di ledersi, di tagliarsi, di ubriacarsi, di drogarsi, di vomitare. 
Si prende la consapevolezza che vivere non significa sopravvivere e questo può far capire che, se si ha avuto la sfortuna di attraversare momenti bui, si possiede comunque la capacità di scindere,  di decidere per se stessi cercando di imparare, di sperimentare, di vivere come suggeriscono il cuore e l’istinto (anche in netta contrapposizione a cosa è stato imposto fino ad un dato momento e per le cause più disparate). La propria coscienza forse ne sa un tot di più di quanto la mente, così razionale, cerchi disperatamente di capire ed inquadrare; va al di là della ragione, va al di là della più logica comprensione eppure esiste, sempre, ed è forse l’unica "cosa" certa dalla quale ogni essere vivente può trarre la propria sincera ispirazione.Nasciamo onniscienti, trasparenti, candidi come le pagine di un libro non scritto, poi, invecchiando, con la mente dimentichiamo; per fortuna il corpo registra e l’anima sa comunque riconoscere cos’è meglio per noi.Arrivati al punto nel quale la morte sembra più leggera della vita, arrivati al punto nel quale il dolore auto inflitto serve a coprire soltanto altro dolore, si comincia ad intuire che in qualche modo si ha la necessità di agire diversamente, allora si trova la forza per muoversi.E’ inevitabile: i campanelli d’allarme scattano. Il problema è che si è tanto bravi a raccontarsi balle ed a fingere che non esistano ma, a quel punto si compie comunque una scelta e cominciare ad ammetterlo prendendosi le proprie responsabilità è un passo importante.Credo che l’allenamento all’ascolto interiore rappresenti un gesto di grande affetto verso se stessi ma non solo, penso davvero che sia in grado di regalare ad ognuno proprio quegli strumenti utili per sbloccare il circolo vizioso del male al quale mi riferivo prima.E il bene genera bene, è constatato.Con affetto,Selvatica