Creato da StefySelvatica il 29/01/2007
 

BULIMIA DI VIVERE

uscire dalla bulimia per tornare a vivere

 

 

PER TE

Post n°182 pubblicato il 08 Aprile 2010 da StefySelvatica
 

Sei un battito d’ali in mezzo al deserto, sei stanca, sei tanto stanca…

Vorresti sdraiarti, vorresti riposarti, vorresti non pensare più…

In un mondo ideale il paesaggio sarebbe ricco di fiori, di foglie, di acqua e di sole,

nel mondo reale…

le spine non ti fanno muovere, il buio ti circonda, il caldo ti soffoca,

vuoi aria, avresti bisogno di respirare e invece: dalla tua bocca spalancata non entra nulla, ma non esce nemmeno nulla…

l’urlo soffocato che istintivamente trattieni e che torna subito in gola, si annida lì e non si muove, bloccato come te.

Dondoli e pensi…

"E’ questo vivere?

E’ questo tutto?

E le meraviglie del mondo che tanto decantano, dove sono?"

Non le senti, non le tocchi…

Chiudi gli occhi,

vuoi morire, vuoi spegnerti, non vuoi più sentire…

vuoi che il silenzio cali su questa notte infinita, nell’ombra che pervade la tua anima,

implodi, ti contrai, ti corrodi,

ti lasci cadere in un vuoto che non c’è, ti lasci mangiare, ti lasci maltrattare…

tanto cosa serve?

"Cosa serve?"

Silenzio.

Non c’è nulla che ti possa aiutare, non c’è nulla che ti possa far sentire, non c’è nulla che ti possa sollevare

non c’è nulla,

non c’è nulla,

non sei nulla…

"lasciatemi stare,

LASCIATEMI STARE…"

Non odi,

ti chiudi, ti corrodi,

senti freddo, senti freddo, sempre freddo,

"basta,

ora basta!

mi lascio andare…

e nulla più…."

Chiusa nelle tue braccia ti rifiuti,

ti rifiuti di andare avanti, ti rifiuti di andare indietro, ti rifiuti di vivere, ti rifiuti di morire…

stai ferma, "ferma tutto!",

trattieni il respiro…

Sei brava, ce la fai, non si muove più un palpito…

Non è vero!

Un rumore di fondo rimane…

un battito sordo si percepisce…e non lo puoi fermare…

" non lo posso fermare?

Sì che lo posso fermare!

Lo posso fermare!

Lo posso fermare!"

Un sorriso amaro si crea impercettibilmente sulle tue labbra

Dentro di te pensi: "ho vinto, ho vinto, ho vinto!"

Poi tutto svanisce lasciando dietro di sé una profonda paura…

Senti una vocina dentro la tua testa che ti chiede: "E’ questo che vuoi? Vuoi davvero fermare il tuo cuore?"

Una compassione infinita ti pervade…

il tuo battito, il tuo cuore…

IL TUO BATTITO…IL TUO CUORE…

No, no, NO!

perché ti viene da piangere? perché i tuoi muscoli tremano così?

cos’è che ti commuove? Cos’è che ti procura questo dolore?

qualcosa ti fa star male, lo stomaco si contrae…

che colpa ne hai tu di tutto quello che è successo? che cosa ne hai?

Perché stai così male se non ti interessa più? perché ti sembra così ingiusto che sia tu a dover pagare?

"NON VOGLIO MORIRE!

la mia vita non è da buttare,

i miei occhi non possono smettere di guardare,

le mie mani non possono smettere di creare…

fa qualcosa, fa qualcosa, FA QUALCOSA

PER TE

PER TE,

PER TEEEEEEEEEEEEEE"

Un ruggito nasce dal profondo del tuo essere…

Da distanze infinite, da luoghi che non avevi mai nemmeno immaginato di poter visitare, l’urlo cresce, striscia, sale, si ritrae, carica, poi spinge, spinge con ancora più forza, più su,

ti invade lo stomaco, ti invade il petto, ti invade l’esofago,

come un’onda di piena di una marea infinita, va ancora più su, su, su, fino alla bocca, fino alle labbra

ed esce, esplode, dilaga, incessante, incredibile, potente,

esce come un suono senza tempo, come una forza che proviene dal tutto e dal niente, come un sogno ad occhi aperti che non vive e che non muore,

tu lo senti, lo percepisci in tutta la sua forza e lo ascolti, lo assimili, lo vivi in ogni particella del tuo corpo

e ti fa vibrare, respirare, liberare fino in fondo all’anima,

finchè non ti lasci andare, finchè non ti lasci trasportare,

finchè non spalanchi gli occhi e, con fiducia, ti lasci cadere …

il buio non c’è più..

Una brezza leggera ti solleva i capelli.

Sta spuntando il sole,

lo vedi, lo osservi e te ne appaghi,

una forza interiore grande, complice, tua, ti pervade completamente e non ti lascia andare.

Non ti senti più così sola, non ti senti più così inerme, non ti senti più così inutile.

Il deserto c’è ancora, si estende a vista d’occhio ma cominci a camminare, camminare, camminare.

Qualcosa di indefinito ti spinge, ti aiuta, ti accompagna, ti sostiene.

Quel che è stato è stato ora è tempo di….

Guardi l’orizzonte sconosciuto…

tu puoi, tu puoi donare a te stessa il tuo cuore.

Sì, lo puoi davvero fare ed è ora di agire.

Continui ad osservare,

ti soffermi su un punto.

Da lontano quella macchiolina rossa sembra farti l’occhiolino.

Ti incuriosisce, ti avvicini, la raggiungi, ti fermi e guardi meglio…

non può essere…ti chini.

Nella sabbia arida, calda e infinita quasi non ci credi ma poi cedi alla realtà:

davanti a te in quel deserto è appena spuntato un fiore.

Lo raccogli, fa parte di te…e continui a camminare…

 
 
 

DIFFERENZE DI VISUALE TRA GENITORI E FIGLI - quarta parte

Post n°181 pubblicato il 24 Marzo 2010 da StefySelvatica
 

A conclusione dei post precedenti...

Credo, in definitiva, che sia, in un solo aggettivo, difficile, sia per chi sta male, sia per chi vive con chi sta male. 
Spesso i disturbi alimentari nascono proprio all’interno della famiglia d’origine; molto spesso chi si ammala, si ammala proprio in seguito a disagi derivanti dai rapporti famigliari ed esplica il proprio tormento interiore alienando la propria percezione corporea e facendo diventare il proprio corpo il fulcro di tutti i problemi (tutto va male? Dunque, non riuscendo a risolvere in modo sano ciò che mi tormenta, dirigo tutta la mia attenzione sul corpo. Quando sarò magro sarò perfetto ed inattaccabile dunque nessuno potrà più criticarmi).
E’ difficile dipanare questo meccanismo proprio nel contesto nel quale si può sviluppare ma, parlando in modo schietto: non si sceglie in che famiglia nascere o che figli mettere al mondo, quindi, inizialmente anche "solo" per sopravvivere meglio, si può imparare a rispettarsi in modo sincero.
La bulimia, in casi come questo, può fare da detonatore.
Il malessere è reso così evidente che diventa impossibile far finta che continui ad andare tutto bene. Intaccata la superficie apparentemente perfetta della famiglia ben oliata che, nel proprio intimo, è ricca di difetti e parole non dette, viene offerta ad ognuno la possibilità di rimettersi in gioco.
Qui scatta la paura. Qui scatta il coraggio di superare la paura. Qui scatta la possibilità di riflettere sui propri ruoli e sul perché una persona a noi così vicina è arrivata a gesti così estremi per manifestare il disagio ed il senso di inadeguatezza interiori.
Ho saputo di genitori che, nonostante la cruda realtà dimostrata dai propri figli, non si sono schiodati dai propri schemi mentali.
In effetti: il rendersi conto che diventa praticamente necessario mettere in discussione se stessi e tutto il menage famigliare può spaventare così tanto da arrivare ad un isolamento individuale ancora più alto. Ma con quali conseguenze? Agendo così non solo non si risolve minimamente il problema che coinvolge direttamente il proprio figlio ma non si coglie nemmeno l’opportunità di provare a vedere con occhi diversi una realtà quotidiana ormai sfuggita palesemente di mano.
L'alternativa è dunque PROVARE ad agire attraverso un sottile gioco di equilibri, di tentativi di avvicinamento, di coraggio, di errori, di discussioni, di pianti ma anche di sorrisi e di calore che si possono ritrovare.
La persona malata mette sul piatto il dubbio su una serie di situazioni diventate insostenibili. 
Sta ai singoli componenti famigliari decidere come affrontare se stessi e le proprie insicurezze e, a mio avviso, è sempre meglio fare un tentativo, anche se sbagliato, che rimanere in attesa o, peggio ancora, far finta che il disagio non esista.


Un'ultima riflessione: l’altra possibile faccia della medaglia
La malattia rappresenta la manifestazione dei sentimenti dolorosi e negativi che una persona prova nella propria intimità. 
Esistono malati che, una volta valutato il fatto che “grazie” alla malattia sono riusciti ad accentrare finalmente l’attenzione su se stessi, perpetrano la propria condizione autolesionista proprio per trattenere coloro ai quali vogliono bene.
E’ fondamentale dunque cercare di trasmettere il più possibile alla persona che soffre che è più importante della sua condizione patologica (cosa ovvia ma che è da sottolineare ad un malato di bulimia) e che non ci interessiamo a lei perché è pelle e ossa o perché non mangia o perché sviene e quindi ci strazia il cuore e ci fa pena, ma perché l’amiamo per quello che è. 
E’ determinante dunque non concentrarsi sull’alimentazione o sulla magrezza ma su tutto ciò che può stimolare questa persona, che può farla star bene, a costo di discutere, a costo di insultarsi, a “costo” di farla finalmente di nuovo sentire viva.
Tutto questo forse può essere più semplice per gli amici, i fratelli, i fidanzati o i coniugi ma non credo che sia così impossibile provare a ricreare un rapporto di fiducia e scambio di opinioni sincere tra genitori e figli.
Di nuovo: è necessario mettersi in gioco ma, alla fine, credo che ne valga la pena.
Io posso soltanto scrivere che il confronto tra me e mia madre, nonostante sia arrivato in modo non forzato dopo anni dalla malattia, ha dato i suoi frutti e che un pò di quel calore che descrivevo, l’abbiamo sentito entrambe.

Con affetto,

Selvatica




 
 
 

DIFFERENZE DI VISUALE TRA GENITORI E FIGLI terza parte

Post n°180 pubblicato il 14 Marzo 2010 da StefySelvatica
 

...PROSEGUE IL POST PRECEDENTE...

Mia madre si è scusata con me per il suo comportamento. Ora come ora ritiene che, cercando di superare la paura e provando ad esporsi seguendo il proprio istinto materno, avrebbe comunque potuto offrirmi delle opportunità. Ha capito inoltre che, per evitare di danneggiarmi, contemporaneamente non mi fece sentire la sua presenza in altri modi. Il distacco va bene, ma il suo completo e voluto isolamento venne registrato dalla mia testa come indifferenza.

Oggi sarebbe pronta a fare marcia indietro e si rammarica per non aver nemmeno tentato un gesto di avvicinamento nei miei confronti.

Da parte mia non voglio giudicare o accusare mia madre: come tutti è umana e si è comportata, in un momento delicatissimo, come meglio riteneva e poteva; credo però che sia giusto sottolineare una cosa che potrebbe essere d’aiuto per altre persone che si trovano in una situazione simile.

In definitiva: non posso comunque scrivere che l’atteggiamento di allora dei miei genitori sia servito a qualcosa.

Il punto è: tra l’imporre una cura ad una persona (quasi ritenendola incapace di intendere e di volere) e l’evitare di sfiorare addirittura qualsiasi cenno alla situazione che si è creata, esistono tantissime sfumature possibili.

Allo stesso tempo è importante tenere presente che chi sta male non è insensibile ai gesti di coloro che gli stanno vicino, anzi! Se apparentemente una persona che soffre di bulimia sembra un pezzo di ghiaccio, dentro di lei esiste una quantità di emozioni bloccate che non si riescono ad esprimere e qualsiasi gesto compiuto nei suoi confronti viene debitamente assimilato.

Un esempio? Qualche mese dopo l’episodio del bagno, andai nello studio di mio padre per prendere un oggetto e casualmente trovai in un cassetto dei ritagli di giornale che trattavano di disturbi alimentari.

Posso scrivere con estrema sincerità che mi vennero le lacrime agli occhi quando vidi che, nonostante tutto, esisteva un minimo di interesse nei miei confronti. Fu emozionante, fu commovente. Il problema è che il tutto si chiuse lì. Non avvenne mai il confronto diretto e credo che , almeno un tentativo in questo senso, mi avrebbe fatto bene.

Magari sarebbero volati piatti ed insulti. Magari avrei negato tutto, ma avrei di sicuro apprezzato il gesto. Avrei registrato che non ero trasparente ma che, anzi, il desiderio che io guarissi, si era instaurato anche nelle persone a me più care.

Io non dico che i miei genitori volevano che rimanessi malata ma, non dimostrandomi mai nulla in modo esplicito, non cercarono di ANDARE OLTRE.

E’ un po’ come quando in famiglia ci si vuole bene ma non ci si abbraccia mai, non ci si dice "ti voglio bene" ad alta voce.

Anche se è assodato e si sa che l’affetto esiste, è bello ogni tanto esternarlo e ricordarselo a vicenda: in assenza di questo si percepisce che manca qualcosa.

Il mio consiglio spassionato dunque è quello di esserci, di sottolineare i propri sentimenti, di andare un po’ più in là di quanto non ci sia mai spinti. La paura è inevitabile, l’imbarazzo pure, ma le conseguenze possono ripagare di tutti i dubbi precedenti.

...continua...

con affetto,

Selvatica

 
 
 

DIFFERENZE DI VISUALE TRA GENITORI E FIGLI seconda parte

Post n°179 pubblicato il 05 Marzo 2010 da StefySelvatica
 

Con questo post vorrei proseguire l'argomento precedentemente iniziato riguardante la differenza di visuale tra genitori e figli. Come avevo già scritto, ultimamente sono riuscita a parlare in modo molto aperto con mia madre per quanto riguarda il periodo passato nella bulimia e questo mi sta aiutando a capire quali meccanismi si possono celare nella mente di un genitore che vede la propria figlia o il proprio figlio stare così male.

Sono rimasta colpita soprattutto da una cosa in particolare e vorrei subito sottolinearla: fondamentalmente mia madre era terrorizzata quanto e, forse, più di me.

Si rese pienamente conto dello stato grave della mia condizione durante un episodio specifico. Quando arrivai a toccare il picco negativo a livello fisico iniziai anche, pian piano, a nascondermi sempre di più dagli sguardi dei famigliari. Mi chiudevo in bagno non soltanto per vomitare ma anche per specchiarmi, lavarmi, vestirmi. Non tolleravo nessuno nella stessa stanza se prevedevo di spogliarmi, così, spiando segretamente i comportamenti altrui, cercavo sempre di infilarmi in bagno quando questo non poteva servire a nessuno o quando ogni componente della famiglia era fuori casa o a debita distanza (in modo da avere il tempo di ricoprire in fretta soprattutto il torace, la pancia, i fianchi e il sedere).

Un giorno feci male i miei calcoli e mia madre entrò proprio mentre mi stavo pesando senza abiti addosso.

Ci fu un breve istante nel quale, entrambe estremamente imbarazzate, incrociammo i nostri sguardi. Io, dalla sua espressione istintiva, ebbi appena il tempo di rendermi conto di quanto il mio corpo potesse sconvolgere, lei, avendomi di fronte completamente nuda per la prima volta dopo mesi, ebbe appena il tempo di vedere sua figlia ridotta ad uno scheletro e di ricacciare indietro le lacrime. Ci voltammo di scatto tutte e due e, forse per coprire l’assurdità di quel momento, parlammo del più e del meno, cercando di far finta che non fosse accaduto nulla.

In seguito non affrontammo più l’argomento.

Mia madre mi ha attualmente confermato quanto quell’immagine le rimase impressa e quanto la trafisse come una lama. "Ti si contavano le ossa" mi racconta ancora oggi con lo sguardo perso in un ricordo terribile.

E’ vero: il mio aspetto rendeva bene a che punto ero arrivata e manifestava in modo impietoso quanto la mia testa ormai non pensasse ad altro che a farsi del male con metodologie sempre più macabre ed illogiche.

Le ho chiesto come mai, in conseguenza a quell’episodio, non fece nulla. Mi ha risposto in modo singolare: "Avevo paura di farti ancora più male. Avevo paura che ti avrei portata a compiere un gesto ancora più estremo".

Impotenza, incapacità di affrontare la gravità della situazione, incertezza, angoscia, terrore sono i sentimenti principali che si deducono dalle sue parole.

Ho approfondito.

In realtà, dopo quell’episodio, mia madre non stette ferma. Ne parlò a mio padre ed assieme decisero di esporre il problema ad alcuni medici specializzati. In generale la risposta alla loro domanda "che cosa possiamo fare?" fu unanime: "Lasciatela stare. Imporle una cura non servirebbe a nulla se non ad innalzare un muro ancora più alto fra di voi. La guarigione deve partire da lei".

I miei genitori iniziarono a seguire questa linea, tanto più che alla mente di mia madre affiorò un ricordo raggelante: pochi anni prima le avevo apertamente dichiarato il desiderio di farla finita!

Tutto questo la indusse a congelarsi ed a decidere di non calcare la mano, evitando di affrontarmi.

Si ritrovò a non avere scelta: da un lato la mia situazione era palesemente angosciante, dall’altro mi vedeva così fragile da essere impietrita dalla paura di spezzarmi anche solo con un minimo gesto.

Tempo dopo, quando mi sorprese a vomitare in bagno, ascoltato il mio racconto, venne inchiodata dallo stesso terrore e così, chiaramente spiazzata per la seconda volta, proseguì con il silenzio.

Continua...

Con affetto,

Selvatica

 
 
 

AUTO AIUTO: LA SCRITTURA ISTINTIVA

Post n°178 pubblicato il 13 Febbraio 2010 da StefySelvatica
 
Foto di StefySelvatica

Riallacciandomi al discorso iniziato in questo POST vorrei sottolineare ancora una volta quanto possa essere complicato, in un certo momento della malattia, riuscire a venir fuori da quel subdolo meccanismo intriso di abitudine, rassegnazione, ripetitività e falsa sicurezza che si può instaurare.

Secondo il mio modesto parere, invece di concentrarsi totalmente sull’arrestare le crisi bulimiche, è importante contemporaneamente provare a concedere al proprio istinto di riemergere e di squilibrare quella staticità malsana che si può creare con la malattia e che porta la persona a non sbloccarsi.

In un certo senso c’è bisogno di "allenare nuovamente la pancia" non solo al cibo in modo sano ma soprattutto alle emozioni.

Un metodo che mi ha aiutata molto in questo senso è la scrittura istintiva.

Già di per se la scrittura è molto terapeutica. Negli anni passati, specialmente durante i periodi più duri, ho riempito pagine e pagine di diari e quaderni mettendo nero su bianco gran parte della mia vita. Il fatto di poter esternare in qualche modo quello che sentivo dentro senza la paura di essere giudicata o senza remore è stato fondamentale.

Consiglio dunque a chiunque questo modo di manifestare i propri sentimenti, ma non solo.

Un esercizio che mi è servito ancora di più è stato quello di "buttare giù" su carta bianca le parole, così come vengono, senza una logica, né ragionandoci troppo sopra.

E’ una pratica sorprendentemente semplice ed efficace. Si sceglie un posto tranquillo ed accogliente, si prendono un foglio, una biro o una matita e si inizia annotando la prima parola che passa nella testa. Successivamente si scrivono una dietro l’altra, sempre senza rifletterci più di tanto, le parole o le frasi che affiorano alla mente. Lo stop arriva da solo. Finito il tutto si può dare un’occhiata rapida al risultato (senza giudicarsi o trovare delle connessioni) e poi si può conservare o cestinare il foglio.

E’ un esercizio che, ogni tanto, faccio ancora adesso.

Qua sotto riporto un elenco istintivo che ho conservato e che risale al 2002:

"morire morire morire buio vuoto pianto luce tenue buio tunnel buio buio buio muoio respiro sorrido vuoto piacere piacere amore macabro vuoto sangue denti scarnificazione male alla pancia urla dolore dolore dolore occhi sbarrati occhi occhi sguardo bianco vene sangue sangue sangue sangue"

Questo invece è ciò che è scaturito da poche sere fa:

"sole cuore acqua tramonto gabbiani luccichio arancione onde surf uomo occhiali vento macchina viaggio libertà…di vivere mano sorriso fuoco ardere passione amore bellezza equilibrio armonia anima gioia abbraccio lacrime lacrime di gioia sguardo fiero consapevolezza palpebre chiuse sorriso"

Interessante vero?

Un caldo abbraccio a tutti,

Selvatica

 
 
 

QUANDO LE STRUTTURE FUNZIONANO

Post n°177 pubblicato il 06 Febbraio 2010 da StefySelvatica
 

Su concessione dell'autrice, riporto questa splendida testimonianza.

GRAZIE CLA'

Ospedale S. Luca di Milano

Post n°276 pubblicato il 21 Gennaio 2010 da MaChisseeeee

"Non è per fare pubblicità gratuita, ma è per raccontare la mia esperienza anche dopo averne sentite di tutti i colori sui centri che curano i disturbi alimentari.

Mi sono ammalata quando avevo 17 anni. A seguito di un aborto volontario, ho deciso di non mangiare più. Sono uscita dall’incubo dell’anoressia 4 anni dopo, in realtà come succede spesso in questi casi era solo una calma apparente.

Non sono stata seguita adeguatamente, non ho mai voluto ammettere di avere un disturbo del comportamento alimentare, non sono stata aiutata e supportata da medici e persone esperte. In sostanza, ho fatto tutto –praticamente- da sola. E l’unica cosa che ho fatto è stata quella di arrivare ad un peso socialmente accettabile in modo che nessuno potesse rompermi più i coglioni.
Negli anni successivi ho imparato, in qualche modo, a convivere con la mia malattia.

Per 10 anni ho avuto diverse crisi, con un peso totalmente instabile che spaziava tra i 60 ed i 40 chili. Manie sempre più radicate in me, difficoltà relazionali sempre maggiori, relazione affettive praticamente inesistenti, numerose pratiche autolesionistiche, fino a quando ho AMMESSO di avere un “problema”.

Così lo definivo… un problema. Perché per dire che il mio problema si chiamava “disturbo del comportamento alimentare” mi ci è voluto un altro anno e mezzo.

Ma dopo 15 anni di disturbi alimentari è difficile cambiare, perché per me oramai quella era la “normalità”. Per quanto assurda potesse essere per gli altri, per me era tutto assolutamente logico, era tutto chiaramente sotto controllo, era tutto fondamentalmente normale.

Per un sacco di tempo ripetevo con ostinazione alla mia psicologa “C’è chi ha paura di volare, io ho paura di ingrassare, in fondo tutti hanno le proprie paure”.

Peccato che la mia magari non mi mette in pericolo di vita, ma di certo mi fa vivere una vita di merda.

E così che ho deciso di rivolgermi all’ospedale S. Luca di Milano.

Ho deciso di andare lì per diversi motivi… a) era vicino a casa b) è una struttura molto piccola c) non esiste il reparto di psichiatria, ma è quello di endocrinologia che segue i disturbi alimentari d) è un posto che già conoscevo perché mia madre andava periodicamente a fare dei controlli.

Sono in cura da loro da otto mesi.

In otto mesi non mi sono mai sentita sola, abbandonata e non supportata. In otto mesi mi hanno cazziato perché facevo richieste assurde tipo “diete per dimagrire”, prendevo i farmaci a cazzi miei e saltavo gli appuntamenti. In otto mesi mi hanno fatto i complimenti perché ce la sto mettendo tutta, perché non mollo mai, perché dal punto di vista organico sono migliorata tantissimo, perché parlo, mi confronto e non mi chiudo a riccio.

In otto mesi ho fatto un day hospital per verificare le mie condizioni di salute. Una visita in ambulatorio ogni tre settimane con una dietista, un psichiatra ed un’endocrinologa. Un ricovero alla prima forte caduta. E settimana prossima avrei dovuto iniziare una riabilitazione due volte alla settimana facendo terapia di gruppo al mattino, yoga al pomeriggio e pasti assistiti.

Purtroppo o per fortuna, ho trovato lavoro.

E sono andata in panico perché io tendo agli eccessi, o bianco o nero, o tutto o niente, o lavoro o mi curo.

Ieri ho chiesto un consiglio alle persone a me più care, le persone di cui mi fido profondamente.

Oggi sono corsa alla S. Luca per esporre le mie preoccupazioni e chiedere a loro un consiglio.

La risposta è stata un grande sorriso ed un “Claudia, se vuoi provare a lavorare va bene. So che non è una scelta facile, ma noi siamo qui, non scappiamo, la riabilitazione la possiamo fare più avanti. Vediamo che succede, intanto riprendiamo a fare le visite in ambulatorio ogni 3 settimane, e vediamo come vanno le cose”.

Ora non so quel che sarà, ma so che per la prima volta nella mia vita non mi sento sola ad affrontare l’incertezza del futuro".

Se volete pubblicare racconti o testimonianze come questa non esitate a scrivere direttamente sul blog o alla mail bulimiadivivere@yahoo.it

FACCIAMO CIRCOLARE LE NOTIZIE POSITIVE!

Con affetto,

Selvatica

 
 
 

AUTOSCATTI CONTRO L'ANORESSIA

Post n°176 pubblicato il 01 Febbraio 2010 da StefySelvatica
 

Ho trovato questo articolo molto interessante perchè credo fermamente che le foto possano restituire un'immagine molto più realistica dello specchio! e possano contribuire ad offrire uno stimolo verso la guarigione.

Lo riporto per intero

"Londra, 29 gen. (Ign) - Esce dall'incubo anoressia grazie ad un diario fotografico. E' la storia di una mamma inglese di 36 anni, Samantha Smith (nella foto), che ha deciso di salvarsi la vita in seguito alla visione scioccante di alcune sue immagini che mostravano un corpo completamente trasformato in pochi mesi. Nelle ultime foto la donna appariva scarna, guance incavate, capelli radi, occhi infossati e un corpo così sottile da fare impressione. Nell'insieme sembrava più vecchia di 30 anni. Una scossa per lei, tanto da farle scattare la decisione di riappropriarsi di se stessa. Di guarire. Di ricominciare a mangiare seguendo una sola cura: documentare i suoi progressi scattandosi una foto ogni 30 giorni per 16 mesi. Oggi la signora Smith, scrive il 'Daily Mail' che riporta la storia, ha reso pubblico il suo diario fotografico nella speranza che possa aiutare i malati di anoressia.

"Grazie all'album fotografico ho potuto vedere la mia faccia cambiare di nuovo", racconta Samantha Smith che vive a Lincoln, nella contea di Lincolnshire, in Inghilterra. Divorziata, è madre di Daniel un ragazzo di 14 anni. Ora che è uscita dal tunnel dell'anoressia con il supporto del padre, Mel Clifton - è stato proprio lui ad aiutare la figlia dopo i suoi continui rifiuti a mangiare, mostrandole due foto: una attuale, l'altra quando era di peso normale - la 36enne parla dei suoi cambiamenti: "le rughe oggi sono meno visibili e la pelle non è più grigia, i miei capelli sono più sani".

"Per quanto ero pericolosamente sottile - testimonia la giovane donna - ero arrivata al punto di indossare i vestiti di mio figlio. Ero così debole da non riuscire a sollevare una borsa della spesa. Stavo morendo a poco a poco. Le immagini di me - sottolinea - si sono dimostrate la medicina migliore per stimolarmi a mangiare e superare la malattia".

Così nel corso di 16 mesi la signora Smith ha utilizzato le fotografie come cura: ogni mese aveva davanti a sé i suoi progressi che l'hanno aiutata a evitare i pericoli di una ricaduta e a ritrovare la sua forma sana. Da maggio scorso Samantha Smith ha vinto la sua battaglia ed è tornata a sorridere".

Un bacio grande,

Selvatica

 
 
 

QUESTO MI FA STARE BENE!

Post n°175 pubblicato il 27 Gennaio 2010 da StefySelvatica
 

Esiste un preciso momento della malattia nel quale, razionalmente: sai alla perfezione cos’hai, conosci a memoria qualunque conseguenza potrebbe subire il tuo corpo a forza di lesionarlo, ti rendi conto del fatto che non puoi più permetterti di andare avanti in quel circolo vizioso assurdo che, inevitabilmente ti mantiene più vicino alla morte che alla vita.

Sai tutto, hai approfondito, indagato, riflettuto, interpretato.

Sopravvivi, immaginando con aria speranzosa e sognante un possibile ed idilliaco futuro senza malattia e ripetendoti, più o meno tre/quattro volte al giorno: "devo smettere, DEVO SMETTERE!" ma, intanto…non smetti!

La ragione lavora febbrilmente e arriva a toccare una logica sconcertante, eppure le azioni non seguono, il corpo non ascolta, il cuore si chiude e non riesci, nemmeno a forza, ad uscire dalla solita imperterrita strada battuta e ribattuta.

Credo fermamente che, in questa "fase" della malattia si vada a creare un subdolo equilibrio che necessita, in qualche modo, di essere squilibrato, ma penso anche che calcare la mano non serva a molto.

E’ inutile costringere una persona aggrappata con i denti e con le unghie all’unica propria fonte di sfogo ad abbandonarlo. Neanche puntandole una pistola alla testa si riuscirebbe a farle cambiare ottica o atteggiamento.

Riflettendoci, penso che, arrivati ad un punto di blocco tale, una delle poche cose utili da fare per aiutare se stessi o chi sta male sia quella di arginare il problema.

Forse la ragione non riesce a convincere il cuore perché semplicemente non si è pronti.

Raggiunta l’importantissima consapevolezza di star male ed arrivati alla ancora più grande consapevolezza che dipende in gran parte da se stessi uscire dalla malattia, si vorrebbe quasi subito fare il salto ma, avendo ancora troppo poca fiducia nelle proprie capacità e sentendosi estremamente chiusi, deboli, spaventati, ci si inchioda nell’angolo dell’abitudine.

In certi casi si arriva perfino ad obbligarsi a combattere ma un atteggiamento del genere, che continua a coinvolgere la testa e la malattia e non i sentimenti né il vero ascolto interiore, porta a non superare in profondità l’ostacolo.

E’ inutile dunque incaponirsi sul "dover" smettere di abbuffarsi o vomitare senza preparare il terreno.

E quando parlo di preparare il terreno: non intendo dire che serve fare il conto delle volte nelle quali finalmente si è riusciti a trattenersi dall’ingurgitare in modo compulsivo, intendo dire che è utile, secondo il mio punto di vista, cominciare a fare dei micro passi fuori dalla solita propria realtà.

Anche "solo" regalarsi dei piccoli nuovi stimoli può aiutare, anche "solo" mettere il naso in nuovi interessi può creare un nuovo punto di vista; queste nuove esperienze, col tempo, faranno accordare la ragione con il cuore e forniranno le basi per permettere nuovi avvicinamenti alla guarigione.

Questo atteggiamento assume una grande valenza per quanto riguarda i disturbi alimentari ma credo che sia bello, in generale, nell’arco di tutta una vita.

Vi riporto un esempio calzante che riguarda me, ora.

Ho 32 anni e: prima per la malattia, poi perché avevo tempo zero, non ho mai imparato a cucinare! Tutti ormai mi conoscono come la "maga nell’aprire le scatolette di tonno" ed io (lo ammetto) nonostante sia una grande creativa in altri campi, mi ero un po’ adagiata in questa etichetta di cuoca mancata

Sotto sotto la cosa però un po’ mi urtava…così ho iniziato a chiedermi: "ma sarà veramente così?".

Risultato? la scorsa settimana mi sono detta "perché no? Vediamo se sono così un cane a seguire una ricetta!".

Lo stimolo esterno ha fatto scattare qualcosa in me che si è trasformato in energia positiva. Invece di stare lì a criticarmi ho provato ad agire.

Detto, fatto! Ho comprato tutti gli ingredienti occorrenti ed ho sfornato la mia prima torta margherita. Beh, con immensa soddisfazione, è pure buona!

Ovviamente ora non mi ritengo affatto una cuoca provetta, ma posso scrivere in tutta sincerità che domenica era una giornata di M, eppure: assaggiata la prima fetta di torta fatta interamente con le mie mani, tutto, per qualche minuto, si è colorato!

Non male come risultato, no?

Questo per me significa squilibrare: non adagiarsi, non auto criticarsi in continuazione, provare ad affrontare le proprie paure senza obbligarsi ad essere perfetti, sbagliare, sbagliare, ancora sbagliare e, nel farlo, cercare di riderci su, se possibile!

Credo che uno degli errori più grandi per una persona consista nel non provare a seguire ciò che viene dettato dalla propria anima. Sempre meglio buttarsi, cadere e rialzarsi che rinunciare in partenza a qualsiasi forma di tentativo.

Mi piacerebbe dunque inaugurare, con questo post, una serie di articoli intitolati "QUESTO MI FA STARE BENE!" nei quali ognuno sarà liberissimo di scrivere tutto ciò che davvero gli piace e lo fa sentire sereno, in armonia con se stesso e con il mondo che lo circonda.

Penso che sarà bello condividere gli aspetti positivi della propria vita e suggerire ad altre persone i propri interessi.

Cosa ne pensate??

Attendo le vostre mail! Colme di…cosa vi va! Canto, ballo, disegno, cinema, scrittura, sport…Pubblicherò con piacere le vostre parole che, già so, saranno bellissime!

Per ora vi mando un forte abbraccio

Forzaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Con affetto,

Selvatica

 
 
 

eccomi!

Post n°174 pubblicato il 20 Gennaio 2010 da StefySelvatica

Riemergo un attimo da mesi di duro lavoro e di problematiche varie che mi hanno costretta lontana dal pc.

Per ora vi lascio un enorme grande abbraccio che vi faccia  sentire di nuovo la mia presenza.

Mi impegno a rispondere il più presto possibile a tutte le splendide mail che mi sono state inviate. Chiedo a tutti voi che mi avete scritto di avere ancora un po’ di pazienza e ringrazio tutti coloro che sono passati di qua anche solo per dei semplici saluti: fanno sempre piacere!

UN BACIO SUPEEEEEEEEEEERRRRR!!!!

Con affetto,

Selvatica

 
 
 

DIFFERENZE DI VISUALI TRA GENITORI E FIGLI - 1a parte

Post n°173 pubblicato il 16 Ottobre 2009 da StefySelvatica
 

Ultimamente capita spesso che io e mia madre ci mettiamo a parlare del passato.

Non so spiegare il motivo per il quale, proprio ora, si abbia voglia di fare luce su determinati punti: forse, semplicemente, certi tipi di chiarimenti si possono ottenere soltanto dal momento nel quale si è davvero pronti.

Fatto sta che, proprio ora, la rabbia, il rancore, la voglia di rivendicazione hanno lasciato spazio ad uno scambio di opinioni sereno e questo permette un dialogo aperto e sincero.

Da entrambe le parti non c’è voglia di accusare ma più che altro voglia di rendere l’altra persona partecipe del proprio punto di vista che, fino anche solo a qualche anno fa, sarebbe stato interpretato in modo distorto.

Curiosamente, in parallelo, proprio nei giorni scorsi ho avuto modo di parlare con genitori di persone che stanno soffrendo di disturbi alimentari: questo mi ha spinta ad approfondire determinati argomenti.

Risultato? Vi racconto…

Durante la malattia, io, cosa percepivo?

In sostanza un comportamento passivo da parte dei miei genitori.

Per quanto riguarda mia madre: ricordo soltanto un episodio in particolare nel quale il confronto tra me e lei avvenne apertamente, ma in modo casuale. Io mi ero chiusa, come al solito, a vomitare in bagno e, per caso, il mio fidanzato di allora passò da casa mia per chiedermi di uscire. Mia madre, non avendomi vista in camera, iniziò a cercarmi dappertutto. Quando sentii i suoi passi nel corridoio feci soltanto in tempo a ripulirmi alla bene meglio il viso e, ancora tutta arrossata per lo sforzo, ad aprire la porta, anticipandola, per evitare spiegazioni. Lo sguardo di mia madre in quel momento valse più di mille parole.

Essendo sicura di essere stata "scoperta", dopo un’ora, spinta dal senso di colpa, le raccontai della mia situazione. Impreparata a quella confessione mia madre rimase ad ascoltarmi contratta per tutto il tempo: la cosa finì lì.

Mio padre preferiva l’approccio: critico di fronte a te le modelle in televisione così magari la "fissa della dieta" ti passa. Regolarmente, ogni volta che al telegiornale trasmettevano il servizio su una sfilata, uscivano dalla sua bocca frasi del tipo: "ma guarda che magre, sembrano tutte anoressiche!". Risultato? Invece di vomitare una volta, dalla tensione accumulata in seguito ad un commento come quello, vomitavo due, tre volte di fila.

Ultimo episodio degno di nota? Mesi dopo l’ultima crisi bulimica, un giorno entrai nella camera dei miei genitori per comunicare una cosa a mio padre il quale, tutto a un tratto, mi chiese: "stai meglio adesso? La fai più quella cosa?". In tutta risposta, rigida come una statua di marmo, gli risposi: "no papà, non la faccio più, ora sto meglio…".

Punto.

Questi atteggiamenti defilati, sottobanco, non diretti, non mi aiutarono per niente durante la malattia, anzi alimentarono dentro di me una rabbia che rimase annidata da qualche parte per anni e anni ed anni. Il mio pensiero fisso: "potrei anche crepare ma loro si girerebbero dall’altra parte. Cosa dovrei fare per farli reagire? Va bene! posso arrivare più in basso…".

Nella mia testa e nel mio cuore si confondevano, si integravano, si incancrenivano molteplici e contrastanti convinzioni e sentimenti: volevo attrarre in tutti i modi l’attenzione dei miei genitori ed ero disposta a tutto pur di raggiungere questo scopo ma, contemporaneamente, desideravo essere lasciata totalmente in pace.

Forse la mia battaglia interna era causata dal fatto che li accusavo, per certi aspetti, del mio malessere ma, nonostante tutto, ero talmente debole da non riuscire a staccarmi da loro e da aspettarmi, al contrario, che mi salvassero. Secondo la mia mentalità distorta: me lo dovevano, in fondo ero la loro brava figlia fragile da proteggere!

Dilatato per 10 anni questo tira e molla mentale contribuì a farmi toccare il fondo.

Quando arrivai a capire che ero io la diretta responsabile della mia salute e che ero stanca di farmi del male senza ottenere, ovviamente, nessun vantaggio, cominciai a distanziarmi mentalmente da insensate attese o pretese nei loro confronti ed iniziai a camminare con le mie gambe, per me.

I rispettivi ruoli di figlia e genitori e le distanze corrette tra la mia vita e la loro cominciarono a prendere forme più sensate e, soprattutto, più sane.

Credo che la vittoria contro la bulimia ed il tempo trascorso durante gli anni successivi a questa svolta abbiano donato il proprio contributo ad un’ulteriore evoluzione dei rapporti famigliari e molto probabilmente tutti questi motivi assieme hanno fatto sì che ora, almeno con mia madre, siamo arrivate a parlarci con franchezza.

Ma qual è la versione di mia madre?

...CONTINUA...

con affetto,

Selvatica

 
 
 
 

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ASL DI CIRIE' tel 0119217506 Via Mazzini n° 13, 3° piano. Orari: tutti i giorni dalle 9 alle 17 (seguono i pazienti che fanno parte dell'asl di ciriè e di Ivrea).

 

OSPEDALE SAN LUCA, Via Spagnoletto 3, Milano, tel. 02-61911.2500 linea PRIVATA; il servizio è attivo dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 18.30, il sabato dalle 8.00 alle 12.30. CPS (centro psicosociale) di Zona 6 Via Procaccini 14, Milano - Tel. 02 63632731. Orario di apertura al pubblico: dal lunedì al venerdì dalle ore 8.00 alle ore 16.30. Se sono qui, lo devo anche a loro!

 

 

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