SOLTANTO L'INFINITO

ANDREA


Caro don G.le scrivo chiamandola "caro" anche se non la conosco, non l'ho mai vista, né sentita parlare, anzi, a dire il vero, posso dire che la conosco in quanto - se ho capito qualcosa de Il senso religioso e di quello che mi dice Ziba - la conosco per fede e, aggiungo io ora, grazie alla fede. Le scrivo solamente per dirle grazie. Grazie del fatto di avere dato un senso a questa mia arida vita: sono un compagno di università di Ziba, con il quale ho sempre tenuto un rapporto di amicizia in quanto, pur non condividendo la sua posizione, mi ha sempre colpito la sua umanità, la disponibilità disinteressata. Di questa travagliata vita penso di essere arrivato al capolinea, portato dal quel treno che si chiama AIDS e che non lascia tregua a nessuno. Adesso dire questa cosa non mi fa più paura. Ziba mi diceva sempre che l'importante nella vita è avere un interesse vero e seguirlo. Questo interesse io l'ho inseguito tante volte, ma non era mai quello vero. Ora quello vero l'ho visto, lo vedo, l'ho incontrato e incomincio a conoscerlo, a chiamarlo per nome: si chiama Cristo. Non so neanche cosa vuol dire e come posso dire queste cose, ma quando vedo il volto del mio amico o leggo Il senso religioso che mi sta accompagnando e penso a lei o alle cose che di lei mi racconta Ziba, tutto mi sembra più chiaro, tutto, anche il mio male e il mio dolore. La mia vita ormai appiattita e resa sterile, resa come una pietra liscia dove tutto scorre via come l'acqua, ha un sussulto di senso e significato che spazza via i pensieri cattivi e i dolori, anzi, li abbraccia e rende veri, rendendo il mio corpo larvoso e putrido, segno della Sua presenza. Grazie, don G., perché mi ha comunicato questa fede o, come lei lo chiama, questo Avvenimento. Adesso mi sento in pace, libero e in pace. Quando Ziba recitava l'Angelus davanti a me che gli bestemmiavo in faccia, lo odiavo e gli dicevo che era un codardo perché l'unica cosa che sapeva fare era dire quelle stupide preghiere davanti a me. Ora, quando balbettando tento di dirlo con lui, capisco che il codardo ero io perché non vedevo neppure a un palmo dal naso la verità che mi stava di fronte. Grazie, don G., è l'unica cosa che un uomo come me può dirle. Grazie perché nelle lacrime posso dire che morire così ha un senso. Non perché sia più bello - ho una grande paura di morire -, ma perché ora so che c'è qualcuno che mi vuole bene e che anch'io forse mi posso salvare e posso anch'io pregare affinché i compagni di letto incontrino e vedano come io ho visto e incontrato. Così mi sento utile, pensi, solamente usando la voce mi sento utile, con l'unica cosa che ancora riesco ad usare bene io posso essere utile; io che ho buttato via la vita posso fare del bene solamente dicendo l'Angelus. E' impressionante, ma anche se fosse un illusione questa cosa è troppo umana e ragionevole, come lei dice nel Senso religioso, per non essere vera. Ziba mi ha attaccato sul letto una frase di San Tommaso: "La vita dell'uomo consiste nell'affetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione". Penso che la mia più grande soddisfazione sia quella di averla conosciuta scrivendole questa lettera, ma la più grande ancora è che nella misericordia di Dio, se Lui vorrà, la conoscerò la dove tutto sarà nuovo, buono e vero. Nuovo, buono e vero come l'amicizia che lei ha portato nella vita di molte persone e della quale posso dire: "anch'io c'ero". Anch'io in questa zozza vita ho visto e partecipato di questo avvenimento nuovo, buono e vero. Preghi per me, io continuerò a sentirmi utile per il tempo che mi rimane pregando per lei e per i suoi amici. La abbraccio. Andrea." Era il novembre del 1993 don G. non ha fatto in tempo a conoscere Andrea che è morto pochi giorni dopo aver scritto questa lettera.