ADALBERTOBUONOFIGLIO

Le parole del dopo


Le parole del dopo:quelle che maledettamente mancanoequelle che sono maledettamente troppeLe parole che ho cercato per spiegare a mio fratello il perchè sia potuta accadere l'assurda tragedia di un padre che toglie la vita al proprio figlio.Di quel padre che tante volte ha incontrato e con cui tante volte ha riso e scherzato.Di quel figlio che aveva sempre un sorriso caldo e piccole grandi attenzioni. Gesti minimali talvolta, ma  densi di sensibilità e affetto, come ad esempio il raccogliere il week end i tagliandi dei biglietti del cinema in cui lavorava, perchè poi i suoi amici potessero andare a vedere un film con lo sconto il giovedì.Cercare il mostro è uno sport sin troppo praticato in questi ultimi tempimi ritornano sulle labbra (anzi, sulle dita) le parole che ho speso pochi giorni fa, riflettendo sull'episodio della crociera affondata..."Ma si sa, l'italiano ha da tempo smesso di essere popolo e ormai s'accontenta d'esser bianco muro su cui affiggere fugaci icone"e in questo caso l'icona è bella e pronta. Così tanto pronta che, forse, c'è anche un po' di rammarico per quel pizzico di mistero mancato, che magari avrebbe reso più succulento il chiacchiericcio del villaggio. Avetrana insegna da queste partiHo percorso, in corteo, il tratto di strada dalla camera ardente alla chiesa, in compagnia di una persona che non incontro spesso, ma di cui ho una stima profonda e radicata.Entrambi siamo, in un qualche modo, investiti del dovere di rimettere in sesto, per quanto possibile,  le macerie di una famiglia devastata dall'assurdità di quest'evento.Abbiamo scambiato molte parole condividendo sgomento, rabbia e preoccupazioni per quello che sarebbe stato da quel momento in poi. Abbiamo parlato di Giovanni. Ricordi preziosi, densi di affetto e commozione.Ma abbiamo anche parlato di quel padre e, per quanto oggi possa sembrare impossibile e retorico, sono emerse alla memoria una sequela di fotografie dai colori chiari e luminosi.Una in particolare mi è vivida e pregnante. Una giornata in barca, alla fonda, nel cristallino mare di Gallipoli, nella quale padre e figlio insegnavano a pescare ai nostri ragazzi dell'associazione.Una giornata di sorrisi, di ilarità, di complicità, di affetto che galleggia negli occhi e nei pensieri di tutti. I sorrisi di quell'uomo, a volte accalorato, ma mai burbero con gli amici di sua figlia.  Una giornata, fra le tante, che rende ancora più incredibile ed inspiegabile quanto è accaduto.Non posso e non voglio fare apologie dell'accaduto, ma non riesco a tollerare il coro da stadio che inneggia al mostro per comodità di cronaca.Ci sarà una giustizia, che spero ferma ma umana, per presentare il conto di un gesto orribile e irreparabile, ad un uomo che già, allo svanire dei fumi dell'alcool, ha cominciato una personale espiazione molto più feroce e inconciliante della retorica legale.Ma c'è anche una giustizia sociale a cui non si dovrebbe abdicare. O forse, più correttamente, ci dovrebbe essere una giustezza sociale a cui non si dovrebbe abdicare, soprattutto quando il proprio narrare non è chiacchiera da comare di paese, ma compito scelto per  professione.Ho letto con profondo disgusto innumerevoli articoli in cui la cronaca, ormai esaurita, o sufficientemente intuibile, ha lasciato il posto ad un voyeuristico gossip da necrofili dell'anima.L'ho già detto prima, non cerco pietistiche apologie sociologiche dell'accaduto.Il paese è piccolo e la gente ha già mormorato. Ognuno già sa i giusti chi, come, cosa e perchè.Lo sa anche chi avrebbe potuto fare qualcosa di più prima, e che invece ci costringe a sperare che non faccia qualcosa di troppo ora.La verità, signori è che proprio non ci serve un novello De Falco, che a nave affondata, si metta ad urlare un altro vada a bordo, cazzo