dagherrotipi

in risposta alle parole del papa


(l'immagine è di:mysterium.blogosfere.it/images/tristan)è una situazione in cui ci si ritrova, volenti o nolenti, prima o poi, tutti.indiscriminatamente. poveri o ricchi. la malattia. e la lenta agonia verso la morte.non so fare discorsi importanti. posso solo, a fatica, ricordare la lenta agonia di due persone a me care: mio padre, e mia nonna.e se per la seconda l'età avanzata poteva in qualche modo giustificare il lento declino e la morte, compreso un tumore al pancreas, per il primo no. a distanza di anni faccio fatica ad accettare come un uomo forte, pieno di vita, curioso, intraprendente si sia potuto trasformare in pochi mesi, sei mesi, in una larva, un vegetale.ricordo che la cosa che m'impressionò maggiormente fu il repentino cambiamento da lui subito in ospedale dopo l'assunzione, necessaria, di morfina. non ragionava più. girava dando vita ad improbabili scenette che se non fossero state tragiche potrei ricordarle come ridicole.ecco, questo è quello che era diventato. era bastato un giorno e si era trasformato in un uomo "ridicolo", uno per cui ridere dellle battute che faceva, forse anche avere paura degli scatti che aveva. ma era altro da quello che era stato per 67 anni.era necessario dargli la morfina. il dolore era tale che bisognava scegliere tra il ricordo che noi avevamo di lui ed il suo dolore. forte come artigli che prendono la carne e ti tolgono il respiro.ricordo la prima volta che parlai con i medici: ce la può fare?- no!- e quanto tempo gli resta?-meno di un anno- per favore, non fate nulla che gli allunghi la vita.quella sera piansi, disperata. l'uomo che avevo amato/odiato stavo morendo. e non sarebbe più tornato quello di prima, mai più.per me, lui, mio padre, morì in quel momento.poi stetti con lui tutto il tempo possibile, gli dedicai ore e giorni, ma lo guardavo con occhio diverso. era altro da ciò che io avevo imparato a conoscere.un corpo disteso su un letto, bisognoso di ogni cura, sofferente, sempre con gli occhi vitrei sbarrati, con il respiro affannoso che di tanto in tanto rendevamo regolare con un apparecchio che serviva a liberarlo dal catarro. una specie di aspiratore infilato in gola. una tortura.è morto fisicamente spegnendosi dopo giorni di coma. nel suo letto. spero tranquillo. ad un certo punto nemmeno le flebo potevano fare qualcosa. ridicolo il tentativo di mia madre di fargli mangiare il budino. molti anni prima, al cinema, avevo visto "il piccolo grande uomo". ho ferma nella mia mente l'immagine del grande capo che un giorno, vestito dei suoi paramenti migliori, comunica che: "questo è un buon giorno per morire". e in solitudine s'avvia verso il luogo che aveva scelto per aspettare la morte.lo so, oggi è difficile trovare un luogo giusto per morire. e forse anche il giorno giusto. ma dentro di noi , ne sono convinta, ci sia la consapevolezza di quando è il momento giusto per accettare la morte.e io chiedo, invoco, pretendo, sia rispettato.in nome della vita che abbiamo vissuto