Luigi Bracco

La scoperta del pensiero di Dio oggettivo in noi.


Qui si parla di ultimo giorno della festa. La festa era quella dei Tabernacoli. Ultimo giorno fa pensare che la festa stia passando. Il concetto di festa è legato al concetto di riposo. Riposo da che cosa e riposo per che cosa? Normalmente si dice che la festa è riposo dai lavori servili e che sia sufficiente questo. L’interpretazione del mondo è che la festa è data per recuperare le forze. C’è anche una interpretazione religiosa della festa che si richiama al riposo del Creatore nel sabato, dopo avere fatto tutta la creazione. Per cui secondo l’interpretazione religiosa, il giorno di festa bisogna andare a messa e compiere certi doveri. Ma è tutto un concetto di festa inteso come assenza di occupazione nel mondo. Invece quello che è sopratutto efficace nel concetto di festa è il riposo per-, per quale motivo? Cioè essendo tutto opera di Dio, dobbiamo chiederci perché nell’ultimo giorno Dio si riposò. Cioè tutto quello che Dio ha fatto, lo ha fatto per noi. Se l’ha fatto per noi dobbiamo chiederci quale possa essere il significato di questo suo riposo. Questo riposo di Dio è un invito all’uomo ad entrare nel riposo di Dio, nella pace di Dio. C’è questo silenzio, questa assenza d’impegni nella creazione, affinché la nostra anima possa essere disponibile ad occuparsi delle cose di Dio, ad entrare nel riposo di Dio, nella pace di Dio. San Paolo nella sua lettera agli ebrei dice: “Se tu oggi ascolti la parola di Dio affrettati ad entrare nel suo riposo, nella sua pace affinché non t’avvenga come avvenne a quegli ebrei che non poterono entrare nella terra promessa, perché mancò loro la fede”. Qui ci fa capire che la fede è quel sostegno che ci deve condurre e introdurre nella terra promessa, cioè che ci deve introdurre nella pace del Signore. Questa pace viene a noi dalla scoperta oggettiva della presenza di Dio tra noi e in noi. Quando si parla di pace s’intende un accordo con-, un armonia con-. L’accordo è presentare un rapporto tra due termini, tra due esseri. L’elemento fondamentale del rapporto è sempre il termine fisso a cui si rapporta ogni cosa. Nel rapporto ci sono due termini, uno è fisso e l’altro si misura su quello. Quello fisso serve come misura per l’altro. Tutto dipende da ciò che nel rapporto teniamo come punto fisso di riferimento. Per cui possiamo stabilire in noi dei rapporti sbagliati, oppure possiamo stabilire dei rapporti giusti. Il rapporto è sbagliato, quando il termine fisso a cui noi rapportiamo non è quello vero, se ad esempio noi abbiamo come termine fisso di rapporto il pensiero di noi stessi, tutto ciò che noi riferiamo al pensiero del nostro io, crea in noi dei rapporto sbagliati. Perché il nostro io non è un punto fisso di riferimento. Da questi rapporti sbagliati, ne deriva che le soluzioni sono sbagliate: anziché pace, noi troviamo inquietudine, noi troviamo incertezza, noi troviamo dubbi. Lo sbaglio consiste nell’avere messo come punto fisso di riferimento a cui rapportare ogni dato, ogni cosa, ogni parola, ogni pensiero. Ne consegue che le soluzioni sono sbagliate, quindi noi non troviamo la pace. Questo è quello che ogni uomo verifica. Noi tutti verifichiamo questa tristezza di vita in cui non troviamo un luogo di pace. Quello che è difficile a noi è fare la diagnosi di questa malattia. Cioè è difficile identificare il punto fisso di riferimento sbagliato che noi mettiamo nella nostra vita. Certamente avendo come punto fisso di riferimento il pensiero del nostro io, noi riteniamo realtà, dato oggettivo, tutto quello che si riferisce al nostro io, ci appare realtà ma non è Realtà, sono effetti della Realtà e quindi tutti i nostri giudizi restano sbagliati. Questo è il campo di soggettività, in cui noi veniamo a trovarci, un cerchio chiuso da cui noi da soli, assolutamente non ne possiamo uscire. E poi c’è il rapporto giusto, il rapporto giusto è quando noi mettiamo come termine, come principio, come termine fisso di riferimento quello che veramente è, il termine fisso di riferimento è il Creatore. Dio è il vero principio “In principio era il Verbo”. Questo è il dato, il “Principio”. Ci viene detto affinché ognuno di noi lo metta come principio, e non abbia quindi a stabilire dei rapporti sbagliati e non abbia a venirsi a trovare in situazione di impossibilità di entrare nella pace. Se noi mettiamo come principio, quindi come termine fisso di riferimento, quello che è il vero Principio, cioè Dio, allora le soluzioni vengono giuste, allora noi entriamo nella pace di Dio. E la pace di Dio vuol dire certezza, vuol dire riposo, vuol dire luce, vuol dire conoscenza. E questa è la festa. Ora, questo principio, questo punto fisso di riferimento è in noi, perché Dio abita in noi. Dio creando l’uomo ha fatto dell’uomo il suo santuario, il suo tempio, la sua abitazione, la sua casa ma l’ha fatta senza di noi, per cui Dio è presente in noi, Dio è in noi senza di noi e forma la nostra stessa coscienza. Noi non ci rendiamo conto ma il nostro sapere di essere è sapere l’Essere, è la presenza dell’Essere in noi. Dio si è dato a noi senza di noi, però non si fa conoscere senza di noi. Farsi conoscere per noi è entrare nella pace di Dio ma in questa pace noi non entriamo senza di noi, perché la pace è effetto di un rapporto giusto. Non basta quindi avere Dio presente in noi, bisogna rapportare a Dio, tutto quello che Dio ci presenta, le sue parole, i fatti, le opere, il pensiero stesso del nostro io. Il pensiero stesso del nostro io, rapportato a Dio come Principio, come termine fisso di riferimento, è una cosa buona e c’illumina, ci porta nella pace. Se invece il pensiero del nostro io viene posto come principio a cui rapportare tutto diventa principio d’inquietudine, di tenebre e d’incertezza. Il pensiero di Dio è in noi, lo portiamo in noi. Ogni uomo lo porta in sé ma la grande difficoltà è giungere alla scoperta oggettiva di questa presenza del pensiero oggettivo di Dio in noi. Abbiamo visto l’impotenza dell’uomo a giungere nel luogo in cui si trova il Figlio, il luogo cioè in cui il pensiero di Dio ha l’essere, esiste indipendentemente da noi. L’uomo è impotente da solo a giungere in questo luogo: “Dove Io sono, voi non potete venire”, cioè dove Lui ha l’essere. Noi entriamo in questo luogo soltanto ascoltando la parola di Dio, è la parola di Dio che ci conduce a trovare questa presenza oggettiva di Dio, cioè indipendente da noi, cioè non riferita a noi. Campo soggettivo è tutto ciò che si riferisce al nostro io come punto fisso di riferimento, per cui quando diciamo: “Questa cosa è così perché io la vedo così”, noi facciamo riferimento a un principio (il nostro io) che non è un principio e allora noi stabiliamo un campo di soggettività, di dubbio, d’incertezza da cui da soli non ne possiamo assolutamente uscire. Soltanto se noi abbiamo la grazia, la possibilità di scoprire il vero principio e cominciare a guardare da questo punto di vista, dal punto di vista di Dio, noi cominciamo a stabilire questo campo di oggettività, in cui troviamo la nostra pace, in cui entriamo nella festa. Ma abbiamo detto che c’è una festa che sta passando...se festa è avere la possibilità di stabilire questo rapporto con il vero Principio e se per potere stabilire questo rapporto con il principio è necessario giungere a individuare, a scoprire la presenza oggettiva del pensiero di Dio in noi, questo ci fa capire che soltanto con la presenza fisica del Cristo che parla con noi, con la sua parola noi, potendo giungere alla scoperta della presenza oggettiva del pensiero di Dio in noi, abbiamo la possibilità che è grazia, di stabilire dei rapporti giusti e quindi di entrare nella nostra pace, cioè nella pace di Dio. Ho detto “possibilità”, perché non è detto che avendo scoperto la presenza del pensiero oggettivo di Dio in noi, si sia già entrati nella pace. La pace viene nella misura e per quello che noi rapportiamo a questo dato oggettivo, a questo principio ed è tutto un lavoro interiore, perché questo principio è dentro di noi, quindi è tutto un lavoro di raccolta, di subordinazione di ogni cosa a questo dato oggettivo in cui noi abbiamo la possibilità di raccogliere tutto e raccogliendo possiamo trovare la nostra pace. Ora, se la possibilità di entrare in questa festa ci viene data dalla presenza del Cristo che parla a noi, ecco che abbiamo un nuovo concetto di festa: il concetto di essere con-. Cioè c’è una festa che è data dalla presenza di Cristo nel nostro mondo e fintanto che è nel nostro mondo. Una festa che passa, perché Gesù stesso dice: “Non sempre avrete Me”. “Fintanto che Io sono nel mondo, sono luce del mondo”, fintanto! Quindi Lui entrando nel nostro mondo inaugura una festa, poiché inaugura un “essere con-“, soltanto se il Verbo di Dio entra nel nostro cerchio di soggettività in cui noi ci siamo chiusi, dà a noi la possibilità di spezzare questo cerchio e di uscire e di recuperare un dato oggettivo, di recuperare cioè il Principio che è poi il principio della nostra pace e della nostra salvezza. Però questa presenza del Cristo tra noi è transitoria e la transitorietà da cosa è determinata? La parola di Dio, cioè la presenza del Cristo tra i Giudei e la sua parola, siano state frustrate. Mentre Gesù diceva: “Mi cercherete e non mi troverete...” Lui era il Verbo di Dio con loro che parlava a loro. E quindi era una festa, essere con- è la festa, il paradiso terrestre era essere con-, l’impossibilità di essere con un altro, cioè essere soli, non è più festa: l’uomo che non riesce a uscire dal pensiero di se stesso, l’uomo che parla sempre con sé, anche quando parla con altri, è un essere che non può godere della pace, che non può godere della festa. La festa è data dall’essere con un altro. Se l’Altro viene a noi, in quanto è con noi, anche se è transitoriamente con noi, inaugura un giorno di festa. Però questa festa sta passando, l’occasione temporanea offerta da questa presenza transitoria è determinata dal Cristo che parla a noi e dalla risposta che noi diamo. Cioè il tempo di questa festa è determinato dallo spazio che passa tra la parola di Dio che arriva a noi e la ricerca da parte nostra del pensiero di Dio in essa o il rivestimento della parola stessa di Dio del pensiero del nostro io. Come noi rivestiamo la parola di Dio della nostra realtà che ha come punto fisso di riferimento il pensiero del nostro io, noi usciamo dalla festa, la festa è terminata. Qui questi giudei, hanno perso l’occasione del “Cristo con loro”. Perché Cristo mentre diceva loro: “Mi cercherete e non mi troverete, dove Io sono, voi non potete venire” offriva loro l’occasione della scoperta oggettiva del pensiero di Dio in loro. Poiché il parlare del Cristo è un parlare di salvezza, non è un parlare di giudizio o di condanna, mentre apparentemente sembra escluderli, realmente Lui apre una strada. Però questa strada è necessario percorrerla e per percorrerla è necessario intendere le parole del Cristo che giungono a noi nel pensiero di Dio e non nel pensiero del nostro io. Se noi intendiamo le parole di Cristo nel punto fisso di riferimento del pensiero del nostro io, noi proiettiamo sulle parole del Cristo il nostro campo di soggettività e quindi usciamo dalla festa. Perdiamo cioè l’occasione della salvezza offertaci dal Cristo stesso. Abbiamo visto in questi giorni un brano di Ezechiele che è molto interessante. Nel capitolo 37 versetto 28 di Ezechiele: “Le genti sapranno che io sono il Signore che santifico Israele quando il mio santuario sarà in mezzo a loro per sempre”. “Il mio santuario” è il suo pensiero, Dio abita nel suo pensiero. Santificare vuol dire fare entrare nel giorno del riposo, della festa. “Per sempre” cioè oggettivamente, non dipendente da loro. Soltanto quando l’uomo sa, trova, per grazia della parola del Cristo che giunge a lui, trova questa presenza oggettiva del pensiero di Dio in sé, ha la possibilità di sapere che “Io sono il Signore”, per sempre, quindi indipendente dall’uomo.