CAFFE' AMARO

To taste or not to taste...


Forti gli esperti di enogastronomia e i giornalisti di settore. Per andare a cena con loro bisognerebbe portarsi il block notes. E’ tutto un degustare e parlare di vini, della loro tannicità, dell’invecchiamento o delle chiusure. Ad ogni piatto si analizza il metodo di cottura, le varianti già assaggiate, la qualità della materia prima, la stagionalità degli ingredienti. E’ come quando a scuola spiegano i classici greci a un quindicenne. Io mi sentivo molto il quindicenne della situazione mentre il tecnico vitivinicolo, il sommelier, il direttore della rivista di enogastronomia o il giornalista esperto del settore mi illustravano in questi giorni in portogallo la bellezza celata dietro l’endecasillabo  saffico, che in questo caso aveva le sembianze di un buon calice di Porto o di una portata del ristorante. Io li ascoltavo parlare inebetita come Alice nel paese delle meraviglie, dall’alto della mia ignoranza enogastronomica, di Ph e residui dell’acqua minerale, di strumenti che gli chef usano per fare il sorbetto, di abbinamenti da fare con quello o quell’altro vino. Il mio approccio all’enogastronomia è quello del turista che vede Venezia senza aver mai studiato storia dell’arte. E l’enogastronomia è un’arte raffinata e affascinante almeno quanto la pittura o la scultura. Si può mangiare pasta col ton, per carità, nella stessa misura in cui si può sopravvivere senza conoscere Dante, Omero, o le poesie di Ikmet. Ma non è lo stesso.Un po' come dire che “Si può vivere senza musica, senza gioia, senza amore e senza filosofia”. Come disse un certo Vladimir Jankélévitch. Che però aggiunse “Ma mica tanto bene”.