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Interviste con l'autore: Elisabetta Bucciarelli.

Post n°94 pubblicato il 19 Settembre 2007 da atellibrai

Elisabetta Bucciarelli ha i capelli lunghissimi e gli occhi dietro le lenti degli occhiali hanno sempre l'aria di notare tutto e poi ricordarlo tempo dopo. E' autrice di scritti che tutti insieme fanno pagine fitte fitte di titoli e nomi. E' da poco in libreria con un giallo, edito da Mursia, Dalla parte del torto, recensito poco più sotto in questo blog.

Quando hai imparato a leggere? hai un ricordo speciale di questo momento?

Ho imparato a leggere poco prima della scuola grazie allo zio Sandro, polonista e professore di Italiano. Ero minuscola, forse tre anni, passavo le giornate dai nonni paterni e lui, ancora studente, mi leggeva il quotidiano ogni giorno. Guai a saltare quell’appuntamento.

Quali sono i libri che hanno segnato la tua crescita? 

Tre in particolare. I promessi sposi, che ho divorato l’estate prima dell’anno scolastico in cui erano materia di studio e questo, credo, me li ha fatti vedere come un romanzo d’avanguardia, coraggioso e pieno di pathos. L’Odissea, che mi faceva vagare con l’immaginazione e nutriva la mia voglia di avventura. E la Divina Commedia, per la lingua, che già allora mi ossessionava.

E quando è stato il momento in cui hai pensato di scrivere?

Ho un quadernino di poesie scritte a sette anni. L’insegnante di Italiano del liceo mi disse di prendere in considerazione l’ipotesi. Ma la scelta consapevole l’ho fatta a venti anni, superando una censura familiare. Mi sono iscritta di nascosto al laboratorio di Drammaturgia del Piccolo Teatro di Milano, (che ai tempi aveva sede in Corso Magenta di fianco alla vostra libreria), ho vinto il concorso e sono stata ammessa. Così a ventitrè anni ho scritto il mio primo testo teatrale e ho capito che non avrei mai più lasciato la penna.

Scrivi con leggerezza e facilità, il tuo linguaggio è immediato: c'entra il cinema? 

In realtà il mio linguaggio è un tormento. Per raggiungere leggerezza e fluidità lavoro molto. Sono ossessionata dalla lingua, dai suoni, dai colori. A volte perdo giorni interi a rincorrere un ritmo. Certo la matrice teatrale e i molti maestri del cinema avuti come insegnanti hanno indubbiamente lasciato il segno. Penso a Tonino Guerra o Giorgio Arlorio. Maestri di visioni e creatori di meravigliose immagini scritte.

Cosa ti ha spinto ad occuparti di una storia gialla? 

Di solito dico che scrivo gialli/noir perché mi “piovono i morti” davanti. E’ abbastanza vero. Così sono costretta a capire perché siano morti e di solito non sono mai decessi per cause naturali. Per forza mi trovo nelle maglie del “genere”. E’ anche vero che il rigore della trama gialla mi obbliga a contenere la visionarietà, che tenta sempre prepotentemente di esplodere.

Dove scrivi, fisicamente?

Scrivo al computer dopo aver preso montagne di appunti. A Milano ho una grande scrivania e moltissima luce. In Valle d’Ayas, dove mi trasferisco molti mesi all’anno, ho una piccolissima scrivania con poca luce. La costante è il disordine, fogli sparsi, cancelleria, libri che devono circondarmi e tenermi compagnia.

Che libro tieni ora sul comodino? 

Di solito un libro di poesie. Fa eccezione l’ultimo di Edoardo Sanguineti, Smorfie. Romanzi e racconti, Feltrinelli. Non è proprio di versi ma di ritmi poetici da cercare, questa volta, negli scritti in prosa.


Che progetti stai seguendo ora?

Il terzo romanzo e un saggio sulla poesia.

Un sogno... 

Scrivere un libro capace di commuovere profondamente chi lo legge.

Il tuo mito: uno scrittore, un regista, un artista, colui o colei che significa molto per te scrittrice. 

Una donna che ha avuto una vita e una scrittura completamente opposta alla mia, Simone De Beavoir. Ho per lei una stima quasi surreale. Un regista: Stanley Kubrick, che è stato capace di aprirmi mondi mentali che mi terrorizzavano. Ma anche Bertolucci, altro grande, che ha saputo raccontare la guerra e l’amore in modo altamente poetico. E poi i Poeti. Tutti, in questo momento Sanguineti più di altri.

Vuoi aggiungere qualcosa che ho tralasciato? 

Sì, una cosa. Sul mio modo di narrare ho imparato più dal confronto con i librai che mi hanno letta, che da nessun altro. Per questo li ringrazio pubblicamente e ringrazio anche te per questa intervista.

 

 
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