errando nel mattino

frammento...


Era la prima volta che non mi addormentavo dopo lo sforzo dell’amplesso, forse proprio perché non mi era costato nessuno sforzo: era stata, piuttosto, una lotta voluttuosa che seguiva un ritmo silenzioso, scandito da sguardi e sospiri di cui l’orgasmo aveva segnato solo un’interruzione. Seguivo la linea di quella schiena che si ergeva contro il cielo, fiera colonna che suggeriva la nostra incolmabile distanza; quella stessa schiena che docilmente si era inarcata sotto di me nell’illusione di una fusione impossibile. Era stato un attimo, un sogno che cerca di trattenere la notte, mentre i raggi del sole penetrano la coscienza. Non l’avevo posseduta. Era lì, con i suoi pensieri indecifrabili, a interrogare l’orizzonte senza la pretesa di una risposta, sconosciuta e silenziosa.Avrei dovuto dirle qualcosa, era così che solitamente funzionava…Lei si girò, mi sorrise in silenzio e i miei pensieri tacquero. Si alzò e in silenzio la seguii: sapevamo ciò che c’era da sapere, cioè nulla… sorrisi.-         Vengo con teLa guardai…-         OkMi guardò…Il sole stava tramontando. Arrivammo a Dolceacqua ch’era già buio; per tutto il viaggio nessuno dei due aveva parlato, ma con lei il silenzio non aveva nulla di imbarazzante: entrambi eravamo assolti nei nostri pensieri e nelle nostre contemplazioni, immuni dal bisogno di riempire vuoti in fallimentari tentativi di rivelarci l’uno all’altra in ogni istante.Il borgo medievale si ergeva davanti a noi, imperscrutabile.-         Non si lascia guardare, vuole essere penetrato, percorso…La sua voce, alle mie spalle, sembrò ricondurmi a una realtà dimenticata proprio mentre cercavo di mettere a fuoco quella che ora mi sembrava solo una facciata, un’impassibile vedetta che celava passioni e tormenti sotto una maschera fredda e, se vogliamo, anche un po’ ironica. Lasciai perdere la macchina fotografica per immergermi nel suo ventre. Solo la luce di qualche timido lampione illuminava quel labirinto di vicoli, dove intere epoche si erano susseguite.Ogni muro trasudava storie e ogni storia era un volto, un nome, un frammento tanto piccolo, quanto unico.In alcuni punti l’oscurità ci inghiottiva, allora lei si fermava, respirava, chiudeva gli occhi e raccontava… sembrava che quei muri lei sapesse ascoltarli e si faceva trasportare, mentre io, incantato, la seguivo vivendo ogni singola pietra.Feci molte foto tra quelle case inghiottite dalla notte, in quel luogo dove il tempo sembrava essersi fermato vidi donne piangere per amore, ribellarsi alla schiavitù dell’etichetta, vidi duellanti e mendicanti, provai il freddo, la fame e il calore d’un camino acceso e di una famiglia riunita attorno a un unico piatto di minestra. Vidi il presente nel passato, il passato nel presente in un annullarsi del fu e del sarà.E lei danzava sulla scia della  memoria, mi precedeva, s’incantava, si perdeva ,mentre io la seguivo con l’obiettivo, cercando di carpire il segreto di quell’estasi che mi coinvolgeva. Le sue dita s’intrecciarono alle mie, ma il suo sguardo era lontano, si perdeva oltre l’oscurità che precedeva ogni nostro passo e la sua voce mi giungeva in un soffio.-         Potrei perdermi in queste strade, sento che potrei non tornare se mi facessi penetrare dalle voci che gridano la loro storia nel sudore di queste pietre…Sentivo il suo cuore… il suo respiro… sapevo che stava correndo, non qui… non ora… ma stava correndo e non si sarebbe fermata.-         Non riesco a starti dietro… è bello… ma è troppo…Ero stanco, dolcemente e felicemente stanco. Mi guardò, i suoi occhi sembravano trafiggermi e sentivo la carne scoperta, viva e bruciante sotto il suo sguardo.-         Troppo… già, sono sempre eccessiva.Rideva e nella sua risata risuonava la sua verità, chissà se qualcuno l’aveva mai capito, chissà se io lo capivo davvero. Era così distante… eppure… sentivo di sfiorarla la sua verità, non avrei potuto mai possederla, ma non m’importava se solo sfiorarla mi dava questa certezza di sentirla.