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Acqua e Medioevo

Post n°64 pubblicato il 13 Marzo 2006 da vergine_e_martire
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La medicina, per lunghi secoli impregnata di idee tratte dalla fisica aristotelica, dall'igiene ippocratica e dai principi medici di Galeno, attribuiva all'umidità e alla freschezza dell'acqua una valenza negativa se usata come bevanda e, se usata per le abluzioni corporali, il potere di «relácher la cohésion des parties» e dunque di aprire la strada alle infezioni dall'esterno attraverso i pori dilatati della pelle.

L'acqua, scrive Leonardo, «penetra tutti li porosi corpi». Così, dal XVI secolo in poi (quando la peste è un accidente ciclico che provoca vere e proprie ondate di panico in cui incorrono tutte le generazioni), il timore che i pori della pelle possano aprirsi in seguito a un bagno caldo diventa quasi una ossessione. E non soltanto per la peste, che nel 1546 Girolamo Fracastoro attribuirà a minuscole particelle viventi (seminaria) in grado di riprodursi da una persona all'altra, ma anche per altre forme di contagio i cui timori si propagano nel XVI e nel XVII secolo.

Se infatti l'acqua e il vapore riscaldano il corpo, ne dilatano i pori e ne «indeboliscono la natura», nulla vieta di immaginare che possano anche diffondere le malattie sifilitiche e che favoriscano, addirittura, gravidanze senza la penetrazione. Infatti c'era chi sosteneva che «una donna èuò rimanere incinta immergendosi nei bagni nei quali sono rimasti per qualche tempo degli uomini», grazie allo sperma vagante fra i tepori dell'acqua.


Più in generale il bagno debilita e quindi espone al rischio di ogni genere di malattie. Chi vuole rischiare lo fa a suo danno e pericolo, ma i temerari sono veramente pochi e a scanso di equivoci cercano di limitare i danni con alcune precauzioni. Per esempio, dopo le abluzioni totali, almeno per due o tre giorni, non escono di casa per non esporsi all'aria malsana; osservano un assoluto riposo per permettere all'organismo di riprendersi dall'indebolimento, oppure fanno precedere i bagni da purghe e salassi.

 
 
 
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