Colonnello Kurtz

Testosteruomini®


Era un po’ di tempo che pensavo a questo post. Poi il “la” finale me lo ha suggerito una serata passata molto piacevolmente a guardare su YouTube la performance di Benigni sul V canto della Divina Commedia in 18 spezzoni video (qui il primo). Mi è piaciuto tutto, ma quello che più mi ha colpito sono due passaggi in particolare, che mi hanno fatto pensare e in cui mi sono riconosciuto. Nel primo Benigni parla della passione, che ti fa desiderare di “far l’amore sei (6) volte di seguito con una donna, e tutte e sei (6) amandola”. Nel secondo passaggio se la prende, definendole “spregevoli” con le religioni e le filosofie che professano il distacco da queste passioni terrene, che tuttavia ci rendono così umani e così speciali. “Scintille” che accendono la vita: ecco, così le ha definite. Non sono certo tra quelli che apprezza Benigni qualsiasi cosa dica, ma quando ha ragione, ha ragione. Il “suo” V canto mi ha consentito di mettere meglio a fuoco una cosa a cui penso da tempo: l’ingiustizia della solitudine che spesso si accompagna, come il cieco e lo zoppo, all’incomprensibile incapacità di vivere la passione di alcune persone. Fatto, questo, le cui radici sono tutt’altro che ascetiche. Guardandomi intorno, e pensando anche al momento di particolare felicità che sto vivendo (ebbene sì, confesso, sono innamorato e anche corrisposto), vedo delle cose che mi appaiono ancor più assurde ed incomprensibili. Vedo ad esempio, diverse amiche (alcune ci leggono e sanno bene che mi riferisco proprio a loro, capito V., M., G., A., D., L., T., E.,?) che sono davvero carine, più che gradevoli nell’aspetto e nei modi, intelligenti, interessanti da diversi punti di vista, molto dotate (e non solo di virtù morali) che stanno da sole! Ecco, io questa cosa non me la spiego tanto, per quanto me la senta ripetere praticamente come una litania. Pare che, a parte proposte completamente improbabili, nessuno le inviti ad uscire. Nessuno che faccia loro la corte, nemmeno un po’. Mai un mazzo di fiori, un cioccolatino, una proposta sconcia ma non gratuita e volgare. La cosa peggiore è che vista la situazione (leggasi mala parata) si organizzano e prendono l’iniziativa, ma, con svizzera puntualità si ritrovano alle prese con uomini “zuppa di pinna di pescecane”, che della carcarinea ferocia non hanno nulla, ma hanno parecchio della gelatinosa insipienza del piatto cinese. Lamentano problemi di caduta dei capelli, di difficoltà di dare una dimensione progettuale al rapporto, di comprendere la più intima essenza della natura dei propri sentimenti, de qua e de llà. Campano d’aria, di finto impegno politico, di uscite al cinema (rigorosamente indirizzate ai grandi successi di critica), di rarefatte atmosfere da sala da tè, da giardino dei ciliegi di Cechov, di seduzioni che tra gli scaffali delle librerie tanto furtive nel vedo non vedo risultano impercettibili. Mai sentito una di queste amiche lamentarsi di un siffatto tipo d’uomo per un’avance in stile “viè qqquà bella ciaciona che te pijo e te ‘mpasto come un filone de Genzano” oppure “Nina, scenni senza mutanne, t’ho da parlà d’amore”. Niente. Questi sono tutti atarassici. Morti e sepolti, pallide imitazioni di maschi latini, di mozartiani Don Giovanni. Sbiadite icone di ciò che rimane di un ruolo di genere. Felicità a momenti e futura disfunzione erettile.Si apra una pubblica sottoscrizione: cercansi testosteruomini® per accompagnare degnamente (e magari, più in là) rendere felici gentili donzelle di grazia e beltà dotate. Io purtroppo non posso più, ho già i miei impegni e debbo passare il testimone. Quello che posso fare è coordinare qui, in questo post, un gruppo di autosostegno per rafforzare l’autostima di queste fanciulle, ed aiutarle a sbloccarsi, di trarsi da questo pantano russo di gelo e terreno ghiacciato. Se volete, care amiche vicine e lontane, cominciamo da qui: raccontate la vostra storia. “Ciao, sono Susan e sono stanca di uomini gelatina.”
L'impasto della ciaciona de Genzano.