Colonnello Kurtz

Un uomo da sposare


“Sei proprio un uomo da sposare!” Me la sono sentita dire tante volte questa frase, da fidanzate ed ex fidanzate, amiche, colleghe, semplici conoscenze. Più che altro perché in cucina me la cavicchio, perché faccio quel che posso per essere gentile e attento, perché so cavarmela benino anche nelle faccende domestiche e cerco sempre di darmi da fare per far stare bene le donne. Ma ho concluso che è una di quelle frasi che portano più sfiga della maledizione di Montezuma e di una bomboletta Voodoo di cera con gli spilloni messe insieme. E’ peggio di farsi spazzare le scarpe. Ed è anche una frasetta un po’ subdola e pericolosa, perché anche se può sembrare un complimento puoi star certo che chi te la dice ti sposerebbe solo se fossi l’unico uomo su un’isola deserta o cose così. Senza contare poi che l’idea di matrimonio implica che si trombi, e sinceramente non mi è mai sembrato che ci fosse la benché minima intenzione in chi mi ha detto stà cosa. Mai che qualcuna ti dicesse “vorrei prenderti, sbatterti contro un muro, spogliarti come un verme e trombarti focosamente fino a farti implorare pietà, aita, mercé”. Mai che capitasse una cosa del genere, mi accontenterei anche di un più discreto “perché non vieni a casa mia, stasera, ca t’fecc l’orecchiètt cu le cim’ de rep’…” Col cazzo, che capita. A parte il fatto che generalmente dovrei essere d’accordo anch’io sulla possibilità che io mi voglia sposare con chi la pronuncia, al giorno d’oggi il matrimonio è diventato una cosa fottutamente seria. Ho partecipato a tanti matrimoni di amici, parenti e colleghi; a qualcuno a cui ho fatto anche da testimone (e prima o poi farò un post anche su questo, perché i riti nuziali meritano), ma quelli che stanno riuscendo bene sono davvero davvero pochi. Per quanto riguarda la mia personale casistica sono due. Si, due soltanto, a fronte di decine di cerimonie generalmente pallose, dove il prete racconta sempre le stesse cazzate, l’ufficiale di stato civile ha sempre fretta, nel ristorante fa sempre troppo caldo o troppo freddo, il cibo - malgrado i nomi altisonanti[1] - fa sempre schifo, e le scarpe prima o poi iniziano sempre a fare male. Troppo pochi, questi matrimoni riusciti per capire perché certi funzionano e altri invece no. Quelli che invece non funzionano invece si vedono subito. E poi ci sono sempre le statistiche, che per definizione sono impietose, specie quando si parla di quest’argomento. Ma non è questo ciò di cui parlavamo. Sarò un uomo da sposare, ma non mi basta esserlo perché sono bravo come cuoco, come domestico o come amico galante. Vorrei semplicemente essere amato per ciò che sono, ed essere capace di amare una donna per ciò che è. Finora non ci sono riuscito, e il resto sono chiacchiere. Per ora mi accontento di dare quel che posso e quel che so, così come mi riesce di farlo. E se è per una sera, una settimana o un mese, poco importa. L’importante è aver voglia di mettere dentro le cose qualcosa di sé stessi, senza “astiparsi”[2]. Sincero e libero. Non sarà mai soltanto per mettere una tacca. La varietà mi interessa e m’incuriosisce, ma le collezioni mi annoiano un po’. E se proprio devo, preferisco collezionare altro. Esche da spinning, mulinelli, canne da pesca e altre fregnacce del genere. Ma le donne no. Le donne sono una cosa seria. Eccheccazzo.[1] Leggete i menù dei ristoranti specializzati in cerimonie, non è raro trovare spernacchiamenti tipo questo “filetto di spigola in carpaccio royale con patate delice”[2] Conservarsi, mettersi via, rinunciare a darsi.