Colonnello Kurtz

Dulcedo veneris


Era una ragazza piuttosto ordinaria, non era particolarmente bella né poteva dirsi brutta. Carattere impossibile o quasi lei, insofferenza e marcata insoddisfazione lui, dopo una storia breve ma eroticamente intensa, si erano lasciati ormai da un paio d’anni, di comune accordo e con reciproco compiacimento. Entrambi si erano trovati un altro partner, e in tutti e due i casi le cose da tempo filavano nel migliore dei modi. Eppure, lei continuava ad assillargli la testa, non per le sue qualità morali ma per una spiccata qualità fisica: la sua dulcedo veneris. Tra tutte le donne che aveva conosciuto, questa parte era in lei particolarmente sviluppata, molto di più che nelle donne conosciute precedentemente. Meraviglioso bocciolo, in lei era particolarmente prominente, senza per questo avvicinarsi al senso del bizzarro o peggio del mostruoso, del deforme. Lui era attratto sin da bambino da quella piccola e nascosta parte del corpo femminile, e poteva a memoria ricordarne la forma ed il colore esatti ed il colore per ogni donna che aveva incontrato. Quella che più gli rimase impressa aveva la perfetta forma di una conchiglia, persino le scanalature, di quelle grosse sul bruno arancio che talvolta si trovano sul bagnasciuga dopo una mareggiata. Poi arrivò la sua.  Era perfetta, grande e ben formata, sembrava dunque fatta apposta per farsi trovare da labbra, lingua e dita. Ed era sensibilissima. Fu quasi inevitabile che la curiosità che li accomunava fece sì che ben presto la sua dulcedo diventasse il centro di numerose ed appaganti pratiche, che solitamente vedevano lui applicarsi alla faccenda con la più grande dedizione e lei pienamente soddisfatta. Malgrado la qualità dell’intesa erotica, litigarono, come avviene per quasi tutte le coppie, e decisero così di rompere. Dopo un periodo abbastanza lungo costellato di goffi tentativi di mandarsi definitivamente al diavolo o di riavvicinarsi timidamente, quello stato di sospensione amniotica dovette terminare per forza e ognuno si dedicò alla propria vita. Non si sentirono più. Si incrociarono, ciascuno a braccetto con un nuovo amore, in una lontana città straniera, e vista la situazione non poterono fare altro che fingere di non essersi riconosciuti. Fu un messaggino di lei a rompere il silenzio. O forse, della sua dulcedo, che non aveva certo dimenticato quei momenti. Da allora, stretto tra l’incudine del desiderio e il martello del senso di colpa, lui non riuscì più a dormire come prima. Ancora poche settimane e si sarebbero visti, al matrimonio dei comuni amici che li avevano presentati. Gli sembrò di impazzire. Già sapeva che, malgrado le sue migliori intenzioni, avrebbe finito per comportarsi come un vizioso Ulisse legato all’albero della nave soltanto con dell’esile spago per insaccati. Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza. [...]Secondo voi, come andrà a finire? Usa i commenti per il tuo finale. Al resto penso io.