DIRITTO & ROVESCIO

Al direttore della testata giornalistica on-line, non può essere esteso il regime dell’art. 57 c.p.


La Cassazione si è pronunciata su una importante questione oggetto di querelle ormai da molti anni, ossia la applicabilità – ai mezzi di comunicazione elettronici e via internet (quali blog, newsletter, forum, social network, ecc.) – della disciplina prevista dal nostro diritto positivo per la stampa, ivi compresa la normativa sugli illeciti penali. La decisione della S.C., con argomenti molto netti e convincenti, opta per una soluzione contraria all’estensibilità della disciplina prevista per la carta stampata, anche al giornalismo telematico, così come è ugualmente avvenuto in precedenza per i contenuti su videocassette preregistrate, e per le trasmissioni televisive, per i quali mezzi di comunicazione la giurisprudenza di legittimità sembra essere pacifica e stabile. Non così, almeno perché vi sono diversi precedenti contrari soprattutto dei giudici di merito, per le pubblicazioni effettuate via internet, ad esempio su giornali telematici o blog, sui quali è presente spesso un contenuto offensivo e diffamatorio, al di là della critica valutativa riconducibile alla libertà di pensiero costituzionalmente tutelata (art. 21 Cost.). In breve, quindi, ci si è più volte chiesti se la normativa – specie penalistica – prevista in tema di stampa, possa essere applicata anche al di là della sua iniziale progettazione legislativa, coinvolgendo gli scritti diffusi in rete. Più in particolare, nella sentenza che si commenta, ci si è chiesti se al direttore di un giornale telematico possa essere applicata la disciplina dell’art. 57 c.p., il quale come noto, punisce il direttore responsabile del giornale che – per omesso controllo sul contenuto dello stesso – colposamente abbia consentito la commissione di reati, da parte dei redattori del periodico (beninteso, qualora egli partecipi attivamente e scientemente alla perpetrazione di un reato commesso da altri giornalisti, non potrà che essere punito secondo i dettami del concorso di persone ex artt. 110 e ss). Ebbene, sul punto la Cassazione ha affermato chiaramente che non sarebbe possibile – allo stato della legislazione vigente – operare siffatta estensione di normativa, evidenziando pertanto la presenza di un vuoto precettistico, che soltanto il legislatore può colmare. Diverse le ragioni a sostegno della suddetta affermazione. In primis, il Supremo Consesso ha evidenziato che il contesto normativo di riferimento, per ciò che attiene ai reati commessi con il mezzo della stampa, è la L. 47 del 1948, ed in particolare al suo art. 1, il quale richiede – perché possa parlarsi di stampa in senso giuridico – due concorrenti requisiti: a) che vi sia una riproduzione tipografica (prius); b) che il prodotto dell’attività tipografica sia destinato alla pubblicazione e quindi debba essere effettivamente distribuito tra il pubblico (posterius). Ebbene, rilevano gli ermellini, nelle pubblicazioni telematiche mancherebbe in maniera del tutto evidente, la produzione tipografico-meccanica dello scritto da diffondere presso il pubblico, ossia verrebbe meno il prius del concetto di “stampa” (tanto vero che usualmente si impiega l’analogo termine di “carta” stampata). Quindi, al giornale diffuso in rete non potrebbe applicarsi in via diretta la nozione normativamente stabilita dalla legge n. 47 del 1948. Inoltre, a tali forme di pubblicazione giornalistica la normativa in materia di stampa non potrebbe nemmeno applicarsi “per estensione”, ossia in via indiretta, atteso che in materia penale – stante il principio di tassatività enucleato dall’art. 25 Cost. e dall’art. 1 c.p. – non è utilizzabile il procedimento analogico, normalmente impiegato dall’interprete per colmare i vuoti normativi lasciati dalla legge vigente, la quale non potrebbe ragionevolmente occuparsi di tutte le innumerevoli fattispecie della vita quotidiana. Invero, estendendo la disciplina positiva prevista per la stampa anche ai prodotti giornalistici telematici, si farebbe uso dell’analogia in malam partem, ossia in danno del reo, operazione non autorizzata dagli argini garantistici contenuti nella Costituzione e nel codice penale, citati in precedenza. Infine, non soltanto argomenti di segno oggettivo deporrebbero per la soluzione negativa al quesito posto in epigrafe, bensì anche motivazioni di tipo soggettivo e psicologico. Assoggettare il direttore responsabile del giornale telematico alla disciplina dettata dall’art. 57 c.p. ed alla conseguente responsabilità per culpa in vigilando, costringerebbe l’interprete – al fine di non ricadere nella tagliola della responsabilità oggettiva c.d. occulta – a ricercare i profili di effettiva e concreta negligenza, imprudenza ed imperizia tenuti dal reo, nel consentire la pubblicazione del giornale contenente contenuti stigmatizzati dalla legge penale. E ciò, sostengono i Supremi Giudici, non sarebbe razionalmente possibile nel caso di specie, poiché la “interattività” del materiale telematico – ossia la possibilità di essere modificato da chiunque acceda al suo contenuto attraverso la rete – implicherebbe la oggettiva impossibilità, nonché la soggettiva inesigibilità dell’attività di vigilanza da parte del direttore responsabile, il quale non riuscirebbe mai ad assicurare un pieno e compiuto controllo dello scritto. Quindi, concludendo, la Cassazione non permette all’interprete – rebus sic stantibus – di estendere la normativa sulla stampa al prodotto giornalistico telematico, che lì non rientra, sollecitando l’intervento del legislatore per colmare il vulnus di tutela. Nemmeno può essere, tra le altre cose, invocata la disciplina della legge n. 62 del 2001 – la quale fornisce una definizione di “prodotto editoriale” comprendendo altresì gli scritti telematici ed ogni altro mezzo in grado di raggiungere la diffusività – considerato che l’ambito di operatività della normativa riguarda la concessione di provvidenze economiche agevolatrici per l’editoria, nulla disponendo relativamente al settore criminale