DIRITTO & ROVESCIO

VIZIO TOTALE O PARZIALE DI MENTE? UN PROBLEMA ATTUALE.


Le recenti vicende di cronaca nera hanno portato alla ribalta una questione giuridica mai sopita e di grande rilevanza pratica: l'importanza dello stato psichico nella commissione di un reato. Deve, invero, rilevarsi che la spinta della dottrina penalistica all'analisi della tematica in oggetto ha condotto a diversi esiti: vi è stato chi ha considerato l'incapace di intendere e di volere quale soggetto da tutelare, privilegiando le istanze protezionistiche a quelle custodialistiche improntate sulla emarginazione del soggetto ritenuto pericoloso; altri, al contrario, hanno rilevato la necessità di escludere l'incapace dalla vita sociale al fine di assicurare una più adeguata tutela della sicurezza della collettività dagli individui potenzialmente offensivi.Ad ogni modo, il legislatore afferma chiaramente che "nessuno è punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile" e quindi " è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere" (art. 85 c.p.). Ora, secondo diffusa opinione, la capacità di intendere si avrebbe nel soggetto che sia in grado di percepire consapevolmente le conseguenze delle proprie azioni, mentre la capacità di volere consisterebbe nell'idoneità dell'individuo a portare a compimento - mediante un'azione pratica - le proprie pulsioni e intenzioni.Nonostante sembri piuttosto chiara la definizione di imputabilità penale (capacità di intendere e di volere in grado di giustificare la sanzione penale), sono altamente discusse le ipotesi in cui questa venga meno, determinando di conseguenza la non punibilità dell'imputato di un fatto-reato. Il codice penale individua soltanto alcune cause di esclusione della medesima capacità quale la minore età (artt. 97 e 98), il sordomutismo (art. 96), l'ubriachezza o l'intossicazione da sostanze stupefacenti (artt. 91 e ss.) ed il vizio parziale e totale di mente (artt. 88 e 89). Con particolare riferimento a quest'ultima situazione, la legge prevede che non è punibile ovvero è punito con una pena minore chi, nel momento di commettere il reato ed a causa di <<un'infermità>>, non aveva la capacità di intendere e di volere o questa era grandemente scemata. E proprio attorno al concetto di infermità che sia la dottrina che la giurisprudenza si sono più concentrate. Infatti, mentre inizialmente la Corte di Cassazione si orientava per un'interpretazione fondata sulla considerazione dell'infermità soltanto come malattia psichica medicalmente accertabile e conosciuta, di recente si è prospettata una lettura diversa delle norme citate. Infatti, con la famosa decisione a Sezioni Unite 25/01/2005 n. 9163, la Suprema Corte ha aderito ad una tesi che la dottrina minoritaria aveva precedentemente avanzato: il concetto di <<infermità>> sarebbe da intendersi come riferito a qualsiasi disturbo della personalità, stato emotivo, disturbo border-line, reazione a corto circuito, ecc. in grado di incidere concretamente sulla capacità dell'autore del fatto annebbiandogli completamente i sensi ovvero alterandoli sensibilmente. Come è stato attentamente rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, ciò che interessa al legislatore non è il tipo di disturbo che affligge il reo, piuttosto la mancanza di autocontrollo del medesimo nella commissione del fatto. Si adotta, così, una prospettiva non medica o psichiatrica ma prettamente giuridica. Di talchè non sarebbe necessario accertare (eventualmente con la famigerata perizia psichiatrica!) lo stato patologico di cui fosse affetto il soggetto-agente, ma il suo grado di sconvolgimento ed obnubilamento psichico tale da depotenziare i freni inibitori e da condurlo, quindi, a delinquere. In estrema sintesi: non è importante capire di quale malattia soffra il criminale ma semplicemente verificare che nel momento di delinquere la sua capacità di intendere e di volere fosse inesistente o fortemente limitata.Da ultimo, e data la grande importanza sul piano afflittivo, giova precisare che sarebbe compito del giudice - con l'indispensabile aiuto dello strumento della Consulenza Tecnica d'Ufficio - individuare i casi in cui il disturbo mentale (o anche fisico, secondo taluni) sia stato in grado di offuscare completamente l'agire del reo - così da renderlo totalmente incapace ed esentarlo da pena ex art. 88 c.p. -  e le ipotesi nelle quali, viceversa, il vizio sia stato tale da limitare grandemente la capacità di intendere e di volere - ragion per cui la pena sarà comminata ma in misura minore ex art. 89 c.p. -. E' fuor di dubbio, allora, che l'accertamento del giudice presenterà rilevanti profili di complessità e di opinabilità, con buona pace del tanto sospirato canone della certezza del reato e della pena.