NEBBIA La nebbia era una galassia distesa sui petali dei fiori, io e lei eravamo statue tristi che facevano odi all’ingresso misteriosissimo in paradiso degli umani,semplicemente saldate uno all’altra sperduti sotto l’abbraccio,dentro il tunnel che pulsava di resina di due alberelli di prugne con ragnatele di brina,ci sembrava che il mondo fosse una eterna lode ma noi non capivamo dove salisse,irrompevano insetti che schizzavano le rinunce del rinascimento con i loro ancheggiamenti,io e lei eravamo non occhi eravamo le voci di saggi maniscalchi sulle nostre saldature;stormi, stormi di uccelli solo un frastuono gigantesco tutt’intorno,bussole e cannocchiali e una luna così vicina da riconoscere le sue abitudini e io e lei eravamo un funerale di pietra che chiedeva di evocare solo feste e pioggie scordate. Danzavano fra le foglie, le ombre. Correvano le linee prima degli spigoli, si inginocchiavano i marciapiedi alla salvezza, io e lei forse eravamo quelli che la statue raffiguravano e ci chiedevamo cosa mai avessimo fatto da star sempre lìchiedevamo vita essendo solo pietre perchè eravamo andati via rincorrendo il piegarsi delle chiome degli alberi più alti,schizzando l'ombra,cercando di addestrare il panorama a portarci l'osso solo per rubargli una carezza,fischiando più del vento alla luna, Si alzarono in volo animali, balzi e cadute e tuffi e avvitamenti, il mare che volle urlare, onda sonora, nucleare, agghiacciate circonferenza di pianeta dalle rive la certezza degli uccelli che mangiavano in volo. Con la tenacia della schiuma delle onde che veniva intrappolata dalla nebbia scomparsa all’alba sulle nostre saldature verdi di nessuna o di qualche speranza vista da noi due la musa che si infilava una spada nel punto più sensibile del cuore pregando di vedere come due innamorati riconoscono Dio solo per frottole al mondo quando la nebbia va via.ALESSANDRO IDISIUM lupoeditore
ILLUSIONI CERTE DI ESSERE REALI E NON TIRARE A VIVERE
NEBBIA La nebbia era una galassia distesa sui petali dei fiori, io e lei eravamo statue tristi che facevano odi all’ingresso misteriosissimo in paradiso degli umani,semplicemente saldate uno all’altra sperduti sotto l’abbraccio,dentro il tunnel che pulsava di resina di due alberelli di prugne con ragnatele di brina,ci sembrava che il mondo fosse una eterna lode ma noi non capivamo dove salisse,irrompevano insetti che schizzavano le rinunce del rinascimento con i loro ancheggiamenti,io e lei eravamo non occhi eravamo le voci di saggi maniscalchi sulle nostre saldature;stormi, stormi di uccelli solo un frastuono gigantesco tutt’intorno,bussole e cannocchiali e una luna così vicina da riconoscere le sue abitudini e io e lei eravamo un funerale di pietra che chiedeva di evocare solo feste e pioggie scordate. Danzavano fra le foglie, le ombre. Correvano le linee prima degli spigoli, si inginocchiavano i marciapiedi alla salvezza, io e lei forse eravamo quelli che la statue raffiguravano e ci chiedevamo cosa mai avessimo fatto da star sempre lìchiedevamo vita essendo solo pietre perchè eravamo andati via rincorrendo il piegarsi delle chiome degli alberi più alti,schizzando l'ombra,cercando di addestrare il panorama a portarci l'osso solo per rubargli una carezza,fischiando più del vento alla luna, Si alzarono in volo animali, balzi e cadute e tuffi e avvitamenti, il mare che volle urlare, onda sonora, nucleare, agghiacciate circonferenza di pianeta dalle rive la certezza degli uccelli che mangiavano in volo. Con la tenacia della schiuma delle onde che veniva intrappolata dalla nebbia scomparsa all’alba sulle nostre saldature verdi di nessuna o di qualche speranza vista da noi due la musa che si infilava una spada nel punto più sensibile del cuore pregando di vedere come due innamorati riconoscono Dio solo per frottole al mondo quando la nebbia va via.ALESSANDRO IDISIUM lupoeditore