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« L'AMORE E' DOLORE E LO...PAROLE SUL FIRMAMENTO »

NOTTE STELLATA

Post n°16 pubblicato il 12 Gennaio 2010 da purceddduzzzi
 

NOTTE STELLATA

Oblio, rosa nera dai petali secchi,

più grande dell’eden è la tua ombra,

ma come se potessimo fare miracoli

in un giuramento ad una lucciola scompari!

Il freddo raggiunge il fondo della tua fede,

deserto dove ogni granello di sabbia è più scaltro di te perché nel divino,

allora nello slancio d’amore,

nel salto cieco segui la prima frase sacra e si realizza, oh gloria d’amore!

In questa notte tutte le false divinità muoiono

sotto i colpi della tua reale soprannaturalità.

Ti fermi a pregare come se ti mancasse ossigeno,

lanci meteoriti su tutto ciò che non ha il suo vero nome,

io su sanguisughe fluorescenti che si prendono il merito dell’anima,

la luna ti salva in questa notte,

ti tiene con fili di santità nel tuo lanciarti dalla scogliera,

ti mostra ventidue uscite dall’inferno,

è colei che scinde il sacro dal profano per alleggerirti la corsa,

ti dice le parole d’amore che nessuno ha il coraggio di dirti.

In questa notte dalle sconfitte umane sale un lagno assordante

che cerca la tua anima come se fosse il sogno un peccato,

la misticità una illusione,

allora nella follia che ti vorrebbe cogliere guardi la notte stellata

e accenni un ballo con venere,

proponi agli uccelli notturni di scrivere ciò che pensi nel cielo,

lanci urla che hanno come eco l’eternità.

 

ALESSANDRO IDISIUM

 

 

 

Toccami

 


 

Andiamo, andiamo, andiamo, andiamo adesso
Toccami, piccola
Non vedi che non sono impaurito?
Cos’era quella promessa che mi hai fatto?
Perché non vuoi dirmi d cosa lei parlava?
Cos’era quella promessa che lei mi ha fatto?

Ora, ti amerò
Finché dal paradiso non pioverà più
ti amerò
Finché le stelle non sprofonderanno dal cielo
Per te e per me

Andiamo, andiamo, andiamo, andiamo adesso
Toccami, piccola
Non vedi che non sono impaurito?
Cos’era quella promessa che mi hai fatto?
Perché non vuoi dirmi d cosa lei parlava?
Cos’era quella promessa che lei mi ha fatto?

Ora, ti amerò
Finché dal paradiso non pioverà più
Ti amerò
Finché le stelle non sprofonderanno dal cielo
Per te e per me
Ora, ti amerò
Finché dal paradiso non pioverà più
Ti amerò
Finché le stelle non sprofonderanno dal cielo
Per te e per me
 
THE DOORS
 
 
 
PAMPA

Quiere Usted Mate? uno spagnolo mi profferse a bassa voce, quasi a non turbare il profondo silenzio della Pampa. – Le tende si allungavano a pochi passi da dove noi seduti in circolo in silenzio guardavamo a tratti furtivamente le strane costellazioni che doravano l’ignoto della prateria notturna. – Un mistero grandioso e veemente ci faceva fluire con refrigerio di fresca vena profonda il nostro sangue nelle vene: – che noi assaporavamo con voluttà misteriosa – come nella coppa del silenzio purissimo e stellato.

Quiere Usted Mate? Ricevetti il vaso e succhiai la calda bevanda.

Gettato sull’erba vergine, in faccia alle strane costellazioni io mi andavo abbandonando tutto ai misteriosi giuochi dei loro arabeschi, cullato deliziosamente dai rumori attutiti del bivacco. I miei pensieri fluttuavano: si susseguivano i miei ricordi: che deliziosamente sembravano sommergersi per riapparire a tratti lucidamente trasumanati in distanza, come per un’eco profonda e misteriosa, dentro l’infinita maestà della natura. Lentamente gradatamente io assurgevo all’illusione universale: dalle profondità del mio essere e della terra io ribattevo per le vie del cielo il cammino avventuroso degli uomini verso la felicità a traverso i secoli. Le idee brillavano della più pura luce stellare. Drammi meravigliosi, i più meravigliosi dell’anima umana palpitavano e si rispondevano a traverso le costellazioni. Una stella fluente in corsa magnifica segnava in linea gloriosa la fine di un corso di storia. Sgravata la bilancia del tempo sembrava risollevarsi lentamente oscillando: – per un meraviglioso attimo immutabilmente nel tempo e nello spazio alternandosi i destini eterni. . . .

Un disco livido spettrale spuntò all’orizzonte lontano profumato irraggiando riflessi gelidi d’acciaio sopra la prateria. Il teschio che si levava lentamente era l’insegna formidabile di un esercito che lanciava torme di cavalieri colle lancie in resta, acutissime lucenti: gli indiani morti e vivi si lanciavano alla riconquista del loro dominio di libertà in lancio fulmineo. Le erbe piegavano in gemito leggero al vento del loro passaggio. La commozione del silenzio intenso era prodigiosa.

Che cosa fuggiva sulla mia testa? Fuggivano le nuvole e le stelle, fuggivano: mentre che dalla Pampa nera scossa che sfuggiva a ratti nella selvaggia nera corsa del vento ora più forte ora più fievole ora come un lontano fragore ferreo: a tratti alla malinconia più profonda dell’errante un richiamo:... dalle criniere dell’erbe scosse come alla malinconia più profonda dell’eterno errante per la Pampa riscossa come un richiamo che fuggiva lugubre.

Ero sul treno in corsa: disteso sul vagone sulla mia testa fuggivano le stelle e i soffi del deserto in un fragore ferreo: incontro le ondulazioni come di dorsi di belve in agguato: selvaggia, nera, corsa dai venti la Pampa che mi correva incontro per prendermi nel suo mistero: che la corsa penetrava, penetrava con la velocità di un cataclisma: dove un atomo lottava nel turbine assordante nel lugubre fracasso della corrente irresistibile.

. . . . . . . . . . . . . . . . .

Dov’ero? Io ero in piedi: Io ero in piedi: sulla pampa nella corsa dei venti, in piedi sulla pampa che mi volava incontro: per prendermi nel suo mistero! Un nuovo sole mi avrebbe salutato al mattino! Io correvo tra le tribù indiane? Od era la morte? Od era la vita? E mai, mi parve che mai quel treno non avrebbe dovuto arrestarsi: nel mentre che il rumore lugubre delle ferramenta ne commentava incomprensibilmente il destino. Poi la stanchezza nel gelo della notte, la calma. Lo stendersi sul piatto di ferro, il concentrarsi nelle strane costellazioni fuggenti tra lievi veli argentei: e tutta la mia vita tanto simile a quella corsa cieca fantastica infrenabile che mi tornava alla mente in flutti amari e veementi. La luna illuminava ora tutta la Pampa deserta e uguale in un silenzio profondo. Solo a tratti nuvole scherzanti un po’ colla luna, ombre improvvise correnti per la prateria e ancora una chiarità immensa e strana nel gran silenzio.

La luce delle stelle ora impassibili era più misteriosa sulla terra infinitamente deserta: una più vasta patria il destino ci aveva dato: un più dolce calor naturale era nel mistero della terra selvaggia e buona. Ora assopito io seguivo degli echi di un’emozione meravigliosa, echi di vibrazioni sempre più lontane: fin che pure cogli echi l’emozione meravigliosa si spense. E allora fu che nel mio intorpidimento finale io sentii con delizia l’uomo nuovo nascere: l’uomo nascere riconciliato colla natura ineffabilmente dolce e terribile: deliziosamente e orgogliosamente succhi vitali nascere alle profondità dell’essere: fluire dalle profondità della terra: il cielo come la terra in alto, misterioso, puro, deserto dall’ombra, infinito. Mi ero alzato. Sotto le stelle impassibili, sulla terra infinitamente deserta e misteriosa, dalla sua tenda l’uomo libero tendeva le braccia al cielo infinito non deturpato dall’ombra di Nessun Dio.
DINO CAMPANA
 

 
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