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« AMORI INCONSOLABILICIRCA GLI ANGELI »

I POETI

Post n°19 pubblicato il 15 Febbraio 2010 da purceddduzzzi
 

I poeti

Trafugano, i poeti, arcobaleni di fede dal paradiso,

loro lanciano un grillo di preghiera sulla terra,

hanno sfinito la giovinezza fino ad ottenere pozioni magiche,

loro amano le donne, cavalle d’acido che devono essere scalze sulla vertigine di vivere,

loro amano gli uomini, che hanno le stelle nelle vene e liberano sogni indomabili,

i poeti con le loro parole prevedono il volo degli albatros,

i poeti tolgono le catene al miraggio irrimediabile,

il sole calma i poeti che prendono a calci le porte del paradiso,

ogni domanda umana si racchiude nella fedeltà dei poeti ai giorni divini,

i poeti esorcizzano pozzanghere, mettono cattedrali nell’ignoto,

costruiscono chimere, dipingono invisibilità, fanno arrossire le prostitute,

portano umiltà nell’umanità, domano la follia e la lasciano nelle fauci del sacro,

i poeti raccontano di cose solo di altri mondi, da dove vengono le parole dei poeti?

Sicuramente dai momenti che non spendeva nel peccato,

i poeti mettono i cigni a predare ingiustizie e chimere a rubare bambini tristi,

i poeti uccidono il tempo, mettono trappole sui tetti, i poeti sono un ulcera al male,

i poeti strillano più forte della morte lasciando l’umanità sola con la stella polare.

 

ALESSANDRO IDISIUM

 

 

BENEDIZIONE

 


 

Allorché, per decreto delle potenze supreme, il Poeta appare in questo mondo attediato, sua madre impaurita e carica di maledizioni stringe i pugni verso Dio che l'accoglie pietoso:

- "Ah, perché non ho partorito un groviglio di vipere piuttosto che nutrirmi in seno questa cosa derisoria? Maledetta sia la notte d'effimeri piaceri in cui il mio ventre ha concepito la mia espiazione!

Poi che m'hai scelta fra tutte le donne perché divenissi disgustosa al mio triste marito, non potendo rigettare nelle fiamme come un biglietto amoroso questo mostro intristito,

farò ricadere il tuo odio che m'opprime sul maledetto strumento della tua cattiveria e torcerò talmente quest'albero miserabile che esso non potrà innalzare i suoi germogli impestati."

Inghiotte così la schiuma del suo odio e, ignara degli eterni disegni, prepara essa stessa in fondo alla Geenna i roghi consacrati ai delitti materni.

Tuttavia, assistito da un Angelo invisibile, il figlio ripudiato s'inebbria di sole, e in tutto quel che beve e che mangia trova ambrosia e nettare vermiglio.

Gioca col vento, discorre con la nuvola, s'ubbriaca, cantando, del Calvario; e lo Spirito che lo segue nel suo pellegrinaggio, piange al vederlo gaio come uccello di bosco.

Tutti coloro che egli vuole amare l'osservano intimoriti o, rassicurati dalla sua tranquillità, fanno a gara a chi gli caverà un sospiro, sperimentando su di lui la propria ferocia.

Mescolano al pane e al vino destinati alla sua bocca cenere e sputi impuri; con ipocrisia buttano quanto egli tocca, s'incolpano d'aver posto il piede sulle sue orme.

Sua moglie va gridando per le piazze: - "Poi che mi trova tanto bella da adorarmi, farò come gli idoli antichi, come essi vorrò che egli m'indori, e m'indori ancora;

m'ubbriacherò di nardo, di incenso e di mirra, di genuflessioni, di carne e di vino, per sapere se io possa, in un cuore che m'ammira, usurpare, ridendo, gli omaggi destinati alla divinità.

E, stanca di queste farse empie, poserò su di lui la mia forte e fragile mano; le mie unghie, come quelle delle arpie, sapranno farsi strada sino in fondo al suo cuore.

Simile ad un uccellino che palpita e che trema gli strapperò il rosso cuore dal petto e lo butterò, sprezzante, al mio animale favorito perché se ne sazi."

Verso il cielo, ove il suo occhio mira uno splendido trono, il Poeta sereno leva le pie braccia, e i grandi lampi del suo spirito lucido gli precludono la vista dei popoli inferociti:

- "Sii benedetto, mio Dio, che concedi la sofferenza come un rimedio divino alle nostre vergogne e come l'essenza più pura ed efficace per preparare i forti a sante voluttà.

So che tu tieni un posto al Poeta nelle file beate delle tue Legioni, e che tu l'inviti all'eterna festa di Troni, Virtù e Dominazioni.

So che il dolore è la sola nobiltà cui mai potranno mordere e terra e inferno; e che per intrecciare la mia mistica corona si dovranno tassare tutti i tempi e tutti gli universi.

Ma i gioielli perduti dell'antica Palmira, i metalli ignoti, le perle del mare, montati dalla tua mano, non basterebbero al bel diadema, chiaro, abbagliante;

esso sarà pura luce attinta al focolare santo dei raggi primigeni, di cui gli occhi mortali, al massimo del loro splendore, non sono che specchi oscuri e lagrimosi.

CHARLES BAUDELAIRE

I POETI DI SETTE ANNI

E la Madre, chiudendo il libro del dovere,
Se ne andava soddisfatta e fiera, senza vedere,
Negli occhi azzurri e sotto la fronte piena di protuberanze,
L'anima del suo bambino in preda alle ripugnanze.

Tutto il giorno sudava obbedienza; molto
Intelligente; tuttavia neri tic, e alcuni tratti
Rivelavano in lui un'aspra ipocrisia.
Nell'ombra di corridoi dai parati ammuffiti,
Tirava fuori la lingua, coi pugni all'inguine,
e negli occhi chiusi vedeva punti.
Una porta si apriva nella sera: alla lampada
Lo si vedeva, lassù, rantolare sulle scale
Sotto un golfo di luce che pendeva dal tetto.
Soprattutto d'estate, vinto, sciocco,
Si rinchiudeva nella frescura delle latrine:
Lì pensava, tranquillo, dilatando le narici.

Quando, ripulito dagli odori del giorno, il giardinetto
Dietro la casa, d'inverno, s'illunava,
Sistemandosi ai piedi di un muro, sepolto nella marna,
E schiacciandosi l'occhio per avere visioni,
Ascoltava brulicare le spalliere scabbiose.
Pietà! Suoi compagni erano solo quei bambini
Che, gracili, la fronte nuda, l'occhio spento sulla guance,
Nascondendo le magre dita gialle e nere di fango,
Sotto abiti vecchi e puzzolenti di diarrea,
Conversavano con la dolcezza degli idioti!
E se, avendolo sorpreso in immonde compassioni,
Sua madre si spaventava, le tenerezze profonde
Del bambino si gettavano su questo stupore.
Era bello. Lei aveva lo sguardo blu, - che mente!

ARTHUR RIMBAUD

 
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