I passi della luna.

Recensione "Fino a quel faro..."


  FINO A QUEL FARO CHE CHIAMASTI AMORE, CARLO BRAMANTICarlo Bramanti è nato nel 1974 ad Augusta (Siracusa); narratore e poeta esperimenta forme diverse di espressione, come l'omissione del titolo, come l’haiku, composizione poetica di origine orientale, dalla struttura sintetica costituita da tre versi dal senso compiuto. La copertina di Fino a quel faro che chiamasti Amore è di Elisa Serena, le illustrazioni all’interno sono in parte della stessa Serena, di Ketty Muscas e Cinzia Capeci; in chiusura ospita una poesia di Lucia Russo.Questa raccolta si aggiunge alle altre sue pubblicate; comprende quattro episodi, così è riportato nella bandella, prevalentemente di prosa. La nostra attenzione è particolarmente posta sulla poesia che occupa una porzione dell’ultima parte. Mi pare frequente l’uso del nome della ‘rosa’, cioè fiore, ma forse inteso anche come metafora. Nella sua ispirazione amorosa, credo si celi un disincanto, segno di un sentimento messo alla prova; palese l’autocompiacimento per la poesia d’amore, specialmente con l’avvicinarsi della sera, quando dice: "Continuo a sfogliare,/ col guanto rammendato,/ stupide poesie/ d’amore" (pag. 43).Fin dall’inizio la voce poetante fa sentire il suo Io in maniera palese, con una espressione concisa che penetra in profondità, pur nella sua varietà di linguaggio forbito scelto con oculatezza, sentimenti e descrizioni del reale sembrano balzare dalla pagina, percepirsi fisicamente. La sua è la viva partecipazione di un protagonista della vita reale, intima, che risale dalla memoria propria come quando si rivolge all’amata: "Posami sul palmo metà/ del tuo sogno./ Dalle mie labbra lo riavrai/ per intero." (51); ma anche dalla memoria collettiva con echi di attualità, p. es. le canzoni di John Lennon che canta ‘Sopra di noi/ soltanto il cielo’, il suo pensiero vola sempre e comunque nel sentimento appassionato e tenero: "mentre dormivi,/ m’è scivolata/ una lacrima" (49).Carlo Bramanti, come si è detto in apertura, si esprime in modo preponderante in prosa, con episodi riguardanti argomenti vari; cionondimeno direi, in sintesi, che i vari temi ruotano intorno alla vita reale, con un linguaggio semplice, giovanile, diretto che va al nocciolo di problemi sociali planetari: "Mi parla di calcio, di donne, delle sue scarpe firmate, mentre chissà dove una bimba percorre a piedi nudi chilometri di fuoco per un sorso d’acqua. Vaffanculo vorrei dirgli, ma la voce non esce." (70). In un mondo evoluto e pure povero a dismisura.Fino a quel faro che chiamasti Amore, è raccolta, prosa e poesia, che risente dal sedimento nella memoria di esperienze vissute o conosciute o solo immaginate. Il sentimento, nei momenti più intimi, risale in superficie con la consapevolezza di chi vive la condizione tra l’uomo dalla coscienza civile e l’uomo-poeta dal sogno al quale non vorrebbe rinunciare. Gli ultimi versi mi sembrano emblematici di questo suo modo di sentire e di dividersi e di fondersi nello stesso tempo, e cioè all’insegna di un faro di luce che è la speranza:"Lascia che ascolti/ scure ali di falena/ fendere l’aria/ del cuore,/ per dare un’oasi/ a un battito stanco/ sull’abisso del tempo." (96). La gente è come se fosse inesistente, inconsistente. Frammenti di memoria trasformati in sogni, il desiderio di "un bacio/ mai avuto", il silenzio intorno, l’arcobaleno svanito, la poesia come rosa e baluardo: rimaniamo immobili nel nostro guscio dorato, nel nostro egoismo, cercando pace e non ci accorgiamo che basterebbe un po’ d’amore...  Tito Cauchi