sogni incurabili

Post N° 21


Sicuramente sarò linciata...ma permettetemi di aggiungere alcuni personali dubbi sull'atteggiamento di Roberto Saviano rispetto alle vicende che lo circondano dal momento in cui ha pubblicato quell'infausto "Gomorra". Ora cosa voglio dire col termine infausto lo devo spiegare. Certamente "fausto" non lo è stato, nè per i camorristi sputtanati se ha dato loro tanto fastidio, e fin qui, questo è il mal minore; ne per il popolo che se, pur ha il diritto di sapere come va il mondo, scoprendolo non ha sicuramente voglia di fare i salti di gioia; ne tantomeno per l'autore, e non farò come hanno fatto i suoi giovani coincittadini che hanno posto l'accento sul mero rendiconto economico, ma mi soffermerò sul fatto che si è ridotto ad essere "l'uomo coraggio" del momento, osannato, acclamato, santificato subito ma, naturalmente proprio come gli antichi cristiani portatori della verità in un mondo pagano, perseguitato. Al punto che adesso dice di non farcela più e voler lasciare l'Italia per rifarsi una vita. Ecco, dubbio n°1: due minuti dopo il signor Saviano dice che non ha nemmeno mai voluto lasciare il paese dove vive, e dove è sotto tiro. Boh! A me non la dice tutta giusta. Non che io voglia insinuare sulla sua onestà e sulla veridicità delle sue affermazioni. Non ho letto il libro, a dire il vero, ma ho visto il film. Mi è sembrato molto ben fatto, realistico e, purtroppo, realista, e scevro dalla spettacolarizzazione della violenza, cosa a mio avviso molto importante per un film che narra la realtà. I miei dubbi sul signor Saviano nascono dal fatto che io credo che in lui rimanga forte l'impressione di una componente mitomane, che fa dell'arroganza l'arma principale con cui costruirsi il personaggio. L'arroganza, concessa benevolmente, all'eroe buono che salva tutti. L'Ercole del 2000 che, privo di clava, ma con una tagliente penna, ci dimostra il suo coraggio contro l'Idra di Lerna. Cosa che non ho riscontrato nella persona del giudice Gratteri, conosciuto personalmente ad una conferenza stampa, nelle stesse condizioni di Saviano per aver combattuto e scritto un libro sulla ndrangheta calabrese.Al di là del dramma quotidiano di vivere una vita "scortata" nel timore di perderla a causa di qualcuno più arrogante ancora, dramma di cui ho il massimo rispetto, tutto in Saviano confessa una soddisfazione narcisistica per l'opera compiuta. Il suo modo di muoversi, di esprimersi, lo sguardo. E pur con la dovuta gratitudine sociale al coraggio dell'autore, non posso fare a meno di provare pena per l'uomo, rimasto così invischiato dal personaggio, forse anche a causa di chi lo incita curandosi più del fenomeno che non della persona, da far di tutto affinchè gli echi delle gesta di quest'ultimo non si spengano, anche a scapito della propria libertà. Se lo vuole, lasciatelo andare almeno per un po', a riprendersi se stesso. Anche dalla lotta e dalla gloria si ha "bisogno di staccare", soprattutto quando il prezzo è quello pagato da quest'uomo. Ma se invece vuole davvero andare a fare indagini internazionali alla grande, se gli volete bene davvero, legatelo al letto. Alla Camorra avrà dato fastidio ma forse in fondo ce lo hanno ancora lasciato perchè la paura è il loro spot preferito e questa è tutta pubblicità gratuita. Ma i narcotrafficanti e i malavitosi d'oltre confine sono di tutt'altra pasta, e se lo vogliono Saviano selo mangiano in un boccone.