il canto del gitano

Mimo


immobile.le persone gli passavano davanti distratte, alcune parlavano, altre ridevano, c'era chi frugava nella borsa senza sapere cosa stesse cercando,forse per non dovere affrontare la fissità dei suoi occhi. uomini d'affari che parlavano al telefono e camminavano veloce, ragazzi con lo sguardo assente, bambini che gli saltellavano intorno,giovani donne che si facevano ammirare. le luci, il brusio, la mobilità dei gironi di festa.restava immobile.in questo consisteva il suo lavoro: doveva abbandonarsi all'inerzia della staticità e lasciare che il movimento gli  scivolasse sugli occhi.il giorno gli si svegliava sul  viso, trascorreva la luce sulla sua pelle, le ombre giravano intorno ai suoi lineamenti.il passare del tempo, che per tutti era un'ossessione da sfidare e vincere, sembrava poter avere un senso solamente fuori da quel suo sguardo. sembrava che potesse arrivare alla sera senza essere invecchiato neppure di un giorno.il cerone bianco pareva poter soffocare i segni del vivere.restava immobile.un uomo fermato in un istante che trascorre per tutti, ma non per se stesso,che fa dell'attesa la sua ragione di esistere.non cedeva ai richiami dei bambini, non alle lusinghe delle voci ammirate dei turisti,non so dire se per professionalità o perché avesse nascosto la mente troppo in fondo. potrebbe anche essere che le statue siano state, un tempo, uomini, che sono riusciti a fermare il tempo dei loro corpi. in fondo, quando si passa davanti ad una scultura, spesso si ha l'impressione di percepire il suo sguardo. uomini che hanno capito come sfidare il logorio della morte, ma che sono rimasti intrappolati in un'esistenza seza Vivere.sapeva che avrebbe potuto anche non riuscire ad andarsene,anzi, forse già non poteva farlo, altrimenti  non sarebbe rimasto  lì, con questa consapevolezza nel cuore. o forse non gli importava,in fondo, se se ne fosse andato avrebbe dovuto ricominciare a lottare per trovare di che vivere.si fermò  a guardarlo, come tante altre persone. una ciocca di capelli le tagliava lo sguardo e le prolungava la linea sottile delle labbra.tin, tin.l'unico suono che potesse richiamarlo e destarlo dall'oblio: il tinntinnare delle monete.l'anima gli cigolò tra le membra e improvvisò,a scatti, un goffo inchino. lei sorrise. non poteva sapere che anche avesse voluto fare diversamente, non sarebbe riuscito che a donarle quella cortese performance da automa.di nuovo immobile.spostò appena gli occhi per vederla sparire nel brusio, nelle luci, nella mobilità dei giorni di festa.