il canto del gitano

non figlio


"no, non potrei, mi dispiace. anche tu potessi guardarmi, non riusciresti a farmi cambiare idea".pensava ad alta voce e camminava avanti e indietro per la stanza.non se ne sarebbe più andato, come un tatuaggio,con i suoi significati nascosti, con quello che ricorda, ma a differenza di esso avrebbe potuto respirare, camminare,parlare e avere bisogno di lei.non avrebbe potuto essere la culla di una vita, lei, che della vita si era quasi convinta di poter fare a meno.questa volta non sarebbero bastate due dita in gola per liberarsi di ciò che la faceva sentire inadeguata.non le sarebbe restato che essere vigliacca e farlo morire finché non avesse potuto difendersi."se ci sei, vattene". ripeteva sussurrando con voce stanca.teneva stretta tra le mani la verità e negli occhi chiusi il coraggio per guardarla. nei respiri tratteneva la sua innocenza e nella mente era già donna, senza sapere come  fosse arrivata ad esserlo.si fermò di fronte alla finestra e abbassò lo sguardo. si portò una mano al ventre e accennò una carezza. in fondo non sarebbe stata colpa sua.  forse, in quel momento anche lui avrebbe fatto di tutto per riuscire a divincolarsi dall'abbraccio mucoso della vita, dentro di lei, forse le avrebbe sussurrato, con voce stanca: " se non mi vuoi, lasciami".se non ce l'avesse fatta a tornare non-vita, se avesse dovuto farsi ferire gli occhi dalla luce, avrebbero potuto tenersi per mano e odiarsi ed amarsi insieme, per non sentirsi in colpa e non sentirsi soli.continuava ad "accarezzarlo". non so dire se non ci sia mai stato o se sia riuscito davvero a scivolare via, in silenzio, così come era arrivato, per non dover vedere  negli occhi di quella che avrebbe duvuto ( e non voluto ) essere sua madre, il suo riflesso. perché sapeva che in quegli occhi avrebbe per sempre galleggiato nell'ombra di un passato che non lo comprendeva se non per errore e che non avrebbe voluto conoscerlo.solo ironia,quella della Vita, che crea se stessa per non desiderarsi vivente.fece come per abbracciarlo, dentro il suo corpo, stringeno le braccia intorno a quello che avrebbe potuto essere  il suo rifugio e cominciò a dondolare dolcemente, con gli occhi ancora chiusi, senza il tempo nei pensieri.immaginava come sarebbe stato essere scrutata da chi avrebbe potuto dedicarla la prima parola, da chi avrebbe trovato nel suo calore, la forza di abbandonarsi al sonno e nei suoi respiri il coraggio di darle fiducia.si sedette sul letto stringendo forte la risposta tra le dita. fece un respiro profondo e lentamente aprì lo sguardo versodi essa.non esisteva.disse che solo una lacrima le aveva bagnato il viso. solo una, piccola, tiepida, trasparente,umida e fragile, come una vita.