il canto del gitano

L'anima in un sorso


                                                          mi domando cosa ci faccio qui,adesso. le osservo intorno,che parlano,che ridono e si scambiano nomi e racconti come respiri,che si truccano e fumano.l'aria è pesante in questa stanza, viziata dai ricordi e dal colore denso del fumo,che ci trasforma in un presente torbido.mi torna alla mente tua madre,sparita a poco a poco dietro questa stessa nebbia che assorbi quasi per paura che possa andare perduta. non mi hai mai chiesto di ascoltarti piangere,non hai mai voluto ascoltarmi piangere. andiamo a una festa stasera.è tardi. la notte giace,fredda e immobile lontana da qualsiasi giorno che possa animarla. La notte,la morte della luce. Come tanti altri sprechiamo sorrisi distratti tra quelle pareti strette e veloci che ci trasportano verso la nostra stessa dimenticanza;illusi che possa servire,certi che al ritorno saremo come prima,in cerca,di nuovo,di qualcosa che possa servire.Mi guardano e cercano di indurmi a mandare giù la mia anima in sorso. Mi dipingerei la pelle,tra gli aborigeni; fumerei per la pace,tra gli indiani. Tra loro devo solo bermi l’anima.Ecco,adesso la sento rannicchiata nello stomaco,che neanche cerca più di risalire. È strano guardare solo con gli occhi,quando l’anima non può vedere.Le immagini mi si strusciano nella mente,lente e pesanti, poi si fanno inspirare dal buio delle pupille e rigettare fuori e in un piccolo vortice si ricompongono e continuano a sfilarmi davanti.Mi domando quanto siano lontani i miei piedi. Non mi sentono. La testa è pesante e si fa confondere dal loro fuggire disordinato.Mi domando cosa ci faccio qui,adesso.La musica degli altoparlanti che cantano dall’alto verso il basso mi tiene sospesa e solo le membra restano molli e inermi di fronte al ritmo che rimbomba. Ho lo sguardo socchiuso come una finestra al chiarore accecante del tramonto.Intorno a me altri sguardi socchiusi,altri burattini sospesi ai fili del Ritmo,altri illusi che bersi l’anima possa servire.Vigliacchi.Si confondono le  reminiscenze con ciò che accade ed entrambi fanno meno male nell’inconsapevole oblio.Sfumerà tutto,un po’ come tua madre,dietro questa nebbia, ma a noi sarà possibile tornare a casa e fingere che non sia accaduto niente. Ancora una volta.Le parole che scorrono veloci,ricominciamo a sprecare sorrisi e a fare inchini alla convenzione. Si sta facendo giorno. Non è altro che un solo, fottuto e insignificante attimo quello che trasforma la vita in morte,il giorno in oscurità, l’asciutto in bagnato, la lentezza in velocità.Rido,parlo,mi fermo,penso. Una luce rossa,il fumo, i tuoi capelli scompigliati che si disegnano nelle mie immagini. Cazzo. Devo uscire,non si apre,aspetta, non capisco, sono fuori,scavalchi il sedile,esci,stiamo in piedi.Quello che è successo,la rabbia,lo sgomento,chiamare aiuto,non c’è tempo per capire. Mi sento male. No. Mi sento bene. No. È a terra,voglio andare  via,non piangere,telefona,ho paura.La mia anima è ancora in fondo a me stessa,per questo non piango,non rido,non capisco. Tremo un po’.Va tutto bene. State tranquilli,sono sola,si deve imparare ad esserlo,mi portano via di qui.Sono io,non so chi sono,troppe domande, scusate,con la sirena non sento mia madre,va tutto bene,è solo la prassi,guardo il vetro,siamo arrivati,aspetto il mio turno,ho bisogno di parlare.E di nuovo lentamente riprende a vivere il mondo intorno. Il mondo del mattino, affaticato e stordito, dopo la lotta contro il buio.Non piangere e non sentirti in colpa, volevo andare a quella festa,perché anch’io come te,avevo bisogno di vedere il mondo solo con gli occhi,per un po’. Adesso torniamo a casa a dormire.