come le nuvole

Post N° 247


   Eravamo così poveri, che mia madre non poteva avermi.  Mi ha avuto una vicina di casa. (Mel Brooks)  Parecchi Natali fa, quando il buco nell’ozono era appena uno strappo e gli iceberg non galleggiavano ancora nei Martini, regalai a mia figlia il primo prototipo di bambola robotica.                                             
La pubblicità me l’aveva rappresentata, in accattivanti spot, grande, bella e bionda. Camminava, se la si prendeva dolcemente per mano, mangiava, imboccata col cucchiaino e, soprattutto, parlava.Non vi stò a descrivere gli occhi sgranati della mia bambina quando, la notte della vigilia di Natale, si trovò tra le mani, da scartare, un pacco più grande di lei….                                                       
Quale mamma, sufficientemente buona, mi sentivo soddisfatta della scelta compiuta! Peraltro, al contrario del “Camper di Barbie” dell’anno precedente, quello che, per renderlo fruibile alla bimba entusiasta, ci fece trascorrere la vigilia in compagnia del suo libretto di istruzioni (formato Treccani, praticamente un incubo), per il  montaggio della bambola, non vi fu bisogno di impiantare uno studio di ingegneri, con specializzazione a Palo Alto.                                            
I giorni seguenti, fu tutto un chiacchiericcio ininterrotto.     La bambola parlante, parlava: “Mamma ho fame” , “Mamma dammi la pappa!” , “Mamma, facciamo una passeggiata?” , “Mamma, ho sonno, cullami!”, “Mamma pettinami!”,  “Mamma, giochiamo!”, ecc. ecc.       E, la mia povera bimba, affannata, cercava disperatamente di essere all’altezza del compito che, man mano, si rivelava sempre più, imprevedibilmente, gravoso.                                                 
                                  La bambola, oltretutto, se non la si contentava con sufficiente efficienza, cominciava a frignare e, sempre più spesso, notavo mia figlia mentre, quasi di soppiatto, la abbandonava nella stanza, chiudendo accuratamente la porta dietro di se….E, probabilmente,  sviluppando inestinguibili sensi di colpa!                                                                                             
Come fù, come non fù,  dopo una settimana di “maternage”, la bimba me la consegnò, sull’orlo dell’esaurimento nervoso, annunciandomi imbronciata   “Pensaci tu, io vado a giocare con le Playmobil!”                              
Così ebbe termine quello che, col senno di poi,  può essere considerato un ottimo esperimento per una politica finalizzata alla disincentivazione delle gravidanze tra gli adolescenti.  Affidare, ad ognuno di loro, un simil bambino che tolga un po’ della romantica retorica che circonda l’idea di  “Bebè”, mostrandolo nella sua cruda realtà di alieno rompipalle, da “mettere in cantiere” solo quando l’orologio biologico ha suonato (e magari pure diverse volte!) e, soprattutto, allorquando siamo certi di essere stufi di giocare con le Playmobil !