come le nuvole

Post N° 349


  “Recentemente ho compiuto 50 anni, che è una età giovane per un albero, media per un elefante e avanzata per uno che ama correre. Perché avanzata? Perchè mio figlio mi ha detto:  “Papà non vengo più a correre con te, a meno che non mi porti dietro qualcosa da leggere”  (Bill Cosby) La mia vetusta amica Tesi, cara dolce vecchietta, comincia a manifestare chiari sintomi di quella che, in linguaggio scientifico, viene definita la  “sindrome del nido vuoto”.                      
Tra le mie amiche “più anziane” questi disturbi, ahimè, esistono e si manifestano con una certa virulenza. Figli che partono per studiare fuori, figli che non hanno più bisogno di te e delle tue pappine, figli che vedi nell’intervallo concessoti tra uno dei loro mille impegni e studi, che vivono le loro vite (solitamente al telefono!)  e che rendono le tue giornate improvvisamente “vuote” ( o come direbbe qualcuno a caso... io, “libere”). Questa patologia rende le carissime, un po’ lagnose, sospiranti di struggimento qualora si nomini il figliol prodigo, lamentose che non chiama, che non torna, che non c’è….Guardano la stanza perfettamente ordinata del bimbo ventenne lontano, accarezzano i suoi peluche e la play station e rimembrano i tempi felici in cui “lui” chiedeva la cotoletta e urlava “Maaaa!” se non trovava, stirata, la maglietta preferita. Ebbene, la cosa che un po’ mi inquieta, è la constatazione, introspettiva, che personalmente sembro essere totalmente immune dalla patologia. Nella migliore delle ipotesi potrei arrivare a definirmene come una “portatrice sana”.     
Sarà che, approfonditi studi zoologici escludono che i dobermann possano lasciare “il nido” (implumi come sono), sarà che le mie due cucciolotte non sembra abbaino (?) intenzione alcuna di abbandonarlo (se non per brevi periodi), sarà che, se ho la certezza che loro stanno bene, sono felici e serene, e si stanno godendo la vita, riesco solo a provare autentica felicità e sollievo, saranno tutte queste cose insieme, ma non riesco a rintracciare, nel fondo del mio amorevole cuore di madre, nemmeno l’ombra di un rimpianto per il bel tempo andato, in cui loro erano piccole e dipendevano da me.                                                         
Nessuna nostalgia per i pannolini, nessun dolce rimpianto per i vomiti notturni (possibilmente tra le due e le tre di notte, in piena fase REM, con tanto di cambio completo di lenzuola, coprimaterasso e passata di straccio), niente per le mille ed una pappa amorosamente preparate e, regolarmente, rifiutate a suon di divertite sputacchiate, né voglia di rivivere la paranoia di: “oh mio Dio, adesso deperisce e muore”…Non nutro desiderio di quando constatavo “stasera non posso uscire, non c’è nessuno che resti con le bimbe”, né per i sensi di colpa risvegliati dal  guardarle dormire saporitamente, sopra i cappotti nella stanza da letto della padrona di casa, nel caso avessi deciso di “fare follie” e passare una serata a cena da amici. Nessun rimpianto per le noiosissime recite scolastiche a Natale, né per i compiti pomeridiani. E dell’acetone ne vogliamo parlare?                                         
Certo, mi capita di guardare con occhi teneri le foto dove le loro gambette sono paffutelle, e guardo con piacere i filmini dove parlano, disinvolte, di “patandine” (mutandine”) e “cacalli” (cavalli).   Certo, mi piacciono i bambini piccoli (quelli sui tre anni, poi, sono spettacolari), con i loro sguardi stupefatti sul mondo, le loro riflessioni originali e poetiche, lo stimolo che ti dà sapere che è nelle tue mani lo sviluppo di ogni loro potenzialità.Ma credo di poter aspettare, se è per questo, l’arrivo di eventuali nipoti. Sì, credo che con un po’ di buona volontà, potrò resistere a questo momento di ritrovata libertà personale e di coppia, potrò sforzarmi di sopportare uscite serali senza programmazione triennale e  viaggi privi di quel sottofondo di perenne lamentazione su ogni argomento possibile. Sì, con un po’ di buona volontà, ce la dovrei fare….