IL CASELLANTE

BREVE STORIA DEL MIO MAL DI SCHIENA


Soffro il mal di schiena, a periodi. Va e viene. Qualche volta ingoio una pillola di Voltaren, più spesso niente: aspetto che passi. Quasi sempre il dolore sparisce entro un paio di giorni, senza lasciare residui. Quasi sempre, all’improvviso, riappare. Giulia minaccia di trascinarmi dal medico per le orecchie. Giro in scooter col cattivo tempo, sollevo pesi, non mi asciugo a dovere quando faccio la doccia. Se il mal di schiena resiste, la colpa  è mia che lo trascuro. Giulia mi legherà mani e piedi, come i capponi al mercato. Dal medico di corsa!  Non ammette ragioni. Giulia funziona come la mia schiena: quando mi ostino a non darle retta, si incattivisce.  Le prometto che chiamerò subito il dottore per fissare un appuntamento. So riconoscere  i miei torti.Alle quattordici e trenta di venerdì nove maggio siedo in sala d’aspetto sfogliando una vecchia copia di Novella Duemila. Dentro una stanza azzurrina, sei persone ingannano il tempo: si alzano, si siedono; si toccano spesso, ora i capelli, ora il viso, ora un lembo fuori posto del vestito; leggiucchiano, parlottano. Io sono il sesto. Come gli altri ho appuntamento per le tredici in punto. Mezz’ora d’anticipo non è sufficiente. Certamente tra i presenti qualcuno ha saltato il pranzo per essere qui prima di me. I pazienti del dottor Marconi sono abituati. Il dottore non è ancora arrivato. Alle tre, forse, o alle quattro, se aveva altre visite nell’ambulatorio specialistico. Magari alle sei, se le altre visite sono tante. Il dottore arriverà. Bucatemi una vena con l’ago: io non ho paura delle siringhe. La vista del sangue mi raccapriccia, però non svengo. Ditemi in faccia che la mia schiena è incurabile, e io pazienterò. Quel che detesto delle visite mediche è l’incertezza dell’attesa. Prima o poi il dottore arriverà. Esco in strada a fumare una sigaretta. Gironzolo intorno ai bidoni dell’immondizia, leggo le etichette della raccolta differenziata, torno dentro, mi siedo, apro una rivista a caso, fantastico sul topless di Gaia de Laurentis, risolvo il maxi cruciverba in  ultima pagina, guardo l’orologio rotondo affisso alla parete, sorrido ad un signore anziano, ragiono di politica con una ragazzetta, guardo l’orologio rotondo, mastico un chewingum, tamburello con le dita, mi sgranchisco, sbadiglio, guardo l’orologio, fa caldo, sono irrequieto, l’aria ristagna, il tempo è fermo. Sono sempre le tre. Sempre, maledettamente, le quattro. Quattro e un minuto, quattro e due minuti. Sono già fottutamente  le cinque. A volte il dottore non arriva. Alle diciassette e quarantacinque del nove maggio  duemileotto, seduto in sala d’attesa, nervoso e maldisposto, la schiena smette di farmi male. Noi ci intendiamo. Le presto attenzione quando scapriccia, ma lei capisce sempre quand’è giunto il momento di lasciarmi stare. Come tra me e Giulia. Tornerò a casa. Non mi serve un medico. Giulia mi chiederà della visita, per sapere com’è andata. Le dirò: tutto bene. E’ ancora troppo presto per invecchiare nelle sale d’attesa.