Creato da Il_casellante il 24/01/2008
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PORCI CON LE ALI

Post n°46 pubblicato il 08 Maggio 2008 da Il_casellante
 

Roberto non s’è neppure informato. Stabilire se l’animale vale più da vivo che da morto è una storia inutile, perché a Roberto il maiale non interessa. Non trova uno spazio mentale dentro il quale collocarlo. Le salsicce si comprano al supermercato, pronte da cuocere. Un fedele socio Coop si colloca ad un preciso livello della catena alimentare: dopo gli allevatori,  i macellai e, soprattutto, dopo i commercianti. Subito prima di sedersi a tavola. Noi non siamo contadini. Il maiale è roba che non ci riguarda. Noi spingiamo avanti un carrello. Troviamo soddisfazione ai nostri bisogni acquistando prodotti finiti. A Roberto sta bene, a Veronica no. Nubi di piombo si addensano tra i loro sguardi tesi come gli elastici di una fionda. Veronica macellerà Roberto: una coltellata nel  basso ventre, lenta e lunghissima. Poi vuole infilargli un gancio dov’è maggior vergogna, e appenderlo a sgocciolare con la testa all’ingiù. Inutile cercare una mediazione. Sulle questioni che prevedono una  possibilità d’accordo tra l’uomo e la donna,  non occorre convocare il comitato degli amici.  Io Giulia Anna Cesare e Marta siamo qui riuniti per scongiurare una crisi di coppia. Ci assumeremo la responsabilità di decidere la sorte del maiale, e la colpa conseguente, per Roberto o Veronica, di emettere una sentenza iniqua.  In fondo, a che servono gli amici? Roberto vota per vendere il maiale  ancora vivo a chi sa come  trattarlo: noi no; il contadino, invece, avrà il coraggio e la competenza di sgozzarlo, spellarlo, sbudellarlo, disossarlo e quant’altro si deve. Veronica, al contrario, si batte con le unghie per salvare il suino dai crimini del cannibalismo capitalista. Come Giulia, anche lei pensa che potremmo adottare il maiale, per ragioni di natura etica. Il vegetarianismo per Veronica è più di un regime alimentare salutista. Bisogna scegliere da che parte stare. Ad Occidente siamo tutti tendenzialmente diabetici e ipercolesterolemici perché la nostra dieta è satura di grassi animali. Questo determina un’alterazione degli equilibri ecologici e fomenta un’iniqua distribuzione delle risorse primarie. Esattamente Veronica non dice attraverso quali collegamenti; o forse sono io che non capisco. Nel mondo si produce troppo foraggio (okay) per allevare il bestiame (può darsi) con cui si producono le bistecche per la tavola dei ricchi (ammettiamo). Poi le multinazionali  congiurano col governo americano per affermare il privilegio degli oppressori (come ovviamente farei anch’io, mangiando bistecche). In mezzo al discorso di Veronica devo aver smarrito qualche passaggio. Mentre Veronica cerca di convertirmi al pacifismo militante,  una vampa di fuoco le arrossa il viso e le gonfia il seno. Questo mi distrae molto: quando i discorsi diventano passionali, il filo del ragionamento si aggroviglia e io, per lo più, mi metto a pensare ad altro. Veronica è una ragazza sanguigna. Spalle quadrate e petto capiente, ama la lotta e ama Roberto. Magro, alto alto, un po’ curvo ed anemico. Penso, per esempio, a Dio che gioca. Al piacere birichino con cui  li accoppia. L’elementare attrazione delle cariche opposte è una forza semplice che rimescola gli uomini e le donne, impastando l’umanità futura. Quale discendenza produrremo? Veronica propone un modello nonviolento a base di sole verdure. La scelta è tra Abele e Caino. Noi non staremo dalla parte del sangue. Cesare sembra aver capito. Annuisce platealmente. Applaude. Sbatte i piedi per ricreare il tumulto delle piazze in rivolta. Scandisce slogan per l’abolizione delle salsicce. Infine torna improvvisamente serio. Comprende le buone intenzioni di Veronica, ma, ugualmente, non trova un collegamento concreto col nostro maiale, cioè il maiale di nonno Benito, cioè di Roberto, suo legittimo erede. Finché si discute di maiali simbolici, oppressi e diseredatati, Cesare ammette girotondi e cortei. Ma il nostro maiale non è del popolo. Neppure dell’umanità reietta, che noi, qui, adesso, quattro cani sparuti, non possiamo salvare. Vendere è la soluzione più semplice, perché tutti ci schifiamo di  accompagnare il maiale al patibolo, ma uno solo tra noi non si troverebbe (a parte Veronica e, forse, Giulia) disposto a riempire la mangiatoia e spalare merda nella porcilaia. Infine, nulla esclude che Giulia e Veronica, se proprio Roberto decidesse di vendere, comprino loro il maiale: libere, allora, di prenderselo in casa e ammaestrarlo. Chi di noi volesse, potrebbe anche aiutarle, magari partecipando all’acquisto. Lui, comunque appoggia Roberto, e del maiale mette in chiaro che non intende occuparsi in alcun modo.  I maiali si rotolano nel fango ed emanano cattivi odori. Il sangue macchia le camice irrimediabilmente. Col maiale Cesare non desidera alcun contatto, né da vivo né da morto. Se davvero Veronica e Giulia ne sono convinte, adottino loro il maiale; da Cesare non pretendano. Giulia, però, non ha soldi e tempo abbastanza. Protesta che allevare una maiale in due, sola con Veronica, l’affaticherebbe troppo. Comunque lei è convinta che il maiale, vivo o morto, non sia il nocciolo dell’oliva che sta masticando. Con gesti enfatici lo sputa nel palmo della mano, stringe il pugno, soffia sulle nocche, schiude le dita una alla volta dal pollice al mignolo, e ce  lo mostra come fosse un diamante su un vassoio d’argento: il seme ancestrale dell’umanità; l’origine della specie; il nocciolo rosicchiato dell’oliva . Marta spalanca la bocca. Anna si gratta il sopracciglio. Io continuo a non capire. Mangio un salatino e bevo un sorso di spritz. Cerco di ricapitolare.

-          Roberto vende. Cesare vende. Giulio, non pervenuto. Marta e Anna si astengono. Due voti per vendere, un voto di Veronica per allevare il maiale. Giulia, tu il nocciolo a chi lo dai?

-          Il centro vero di questa inutile storia, Cesare, Roberto, non è il maiale. Veronica, scusa, non è neppure la pace nel mondo. Io penso che il nocciolo dell’oliva siamo noi.           

Dal punto di vista di Giulia, il problema verte intorno a questioni circoscritte: cosa ci occorre, dove procurarci il mangime, come imparare l’arte di accudire un maiale. Per gioco o per prova. Ci manca forse il coraggio? L’ingegno no di certo. I soldi neppure, ed il tempo si troverebbe, purché tutti contribuiscano. Per un gruppo di amici che decidono di allevare un maiale, Giulia prevede mille comiche peripezie. Misura divertita l’altezza dei tacchi di Anna, aggiusta il nodo della mia cravatta, si risistema il filo del tanga sotto i jeans stretti a vita bassa. Ride di noi così bene agghindati, mentre ci immagina col fango alle ginocchia e il naso tappato, a spalar merda nella porcilaia. Perché non provare? Forse è proprio una storia inutile, ma, infondo, anche Alberto dice sempre: ‘i finali migliori si sviluppano spesso da trame collaterali.’ La mia teoria degli esiti imprevisti: i  risultati che sfuggono all’indagine della storia, abitualmente trascurati anche dalla fantasia dei romanzieri.  Quando Giulia mi cita in giudizio, è segno inequivocabile che si aspetta da me un appoggio incondizionato. E’ vero: mi piacciono le trame ordinarie del frattempo perché custodiscono, in un solo istante, miliardi di vite, reali o immaginate. Mi emoziona l’idea che la vita accada dappertutto, contemporaneamente, in ogni forma possibile, senza che questo enorme palpito produca un collasso energetico del pianeta. Io credo che nessun istante ci appartenga in via esclusiva. Adesso, per esempio, alle diciannove e venti del due di maggio, bevo uno spritz con gli amici in Piazza Ariostea. Altrove, alla stessa ora, altra gente starà facendo altre cose. Per esempio a New York. Io non ci ho mai messo piede. So semplicemente che New York esiste, contemporaneamente a me, in un posto diverso. A New York non ho amici, né parenti, né alcuno che abbia mai conosciuto di cui possa ragionevolmente dire che stasera potrebbe trovarsi a New York. Io però immagino New York, tumultuosa e affollatissima, piena di gente che non conosco. Anzi, se chiudo gli occhi, la vedo. Strade affollate che sfrecciano in mezzo a grattacieli vertiginosi; il flusso caotico delle automobili ingorgate da cui ristagna a mezz’aria un asfittico odore di benzina e metallo; milioni di abitanti in transito attraverso le loro esistenze ordinarie da newyorkesi del duemilaotto.  A spasso lungo la Fifth Avenue vedo gente che non esiste: prototipi di possibili altre vite, che circolano assieme alla mia nel groviglio gigantesco di anime e corpi venuti al mondo.  Persone che non conosco, se chiudo gli occhi e  le posso vedere, passeggiano dentro la mia testa: involucri di  vite che nessuno abita veramente, a parte la mia immaginazione. Più che agli altri, quelle vite mi appartengono: ciascuna di essa potrebbe rappresentare un potenziale sviluppo della mia stessa  esistenza, se io non l’escludessi perentoriamente, standomene qui, in piazza Ariostea, a bere lo spritz con gli amici. Certamente un giro a Central Park mi intrigherebbe. Potrei trasferirmi a New York, vivere a New York, morire a New York. Ma non accadrà. Come i sondaggisti e i romanzieri tendiamo a percepire le nostre vite in funzione di poche traiettorie portanti, escludendo istintivamente ogni fatto, ogni pensiero, ogni emozione secondaria. Percepiamo della vita soprattutto la dimensione temporale: cause che produco effetti, momenti che si susseguono, prospettive. Io penso che il passato e il futuro siano tempi privi di una dimensione spaziale: non c’è un luogo in cui accadono speranze e ricordi. Il presente, invece, è albergo di infinite stanze, quanti saranno gli astri del firmamento e i chilometri che percorre la luce per bucherellare il cielo stellato della notte.  Ecco un esempio brillante di ossessione temporale: misurare le distanze in funzione del tempo che impiega un fotone a percorrerle. E’ vero, la luce viaggia, il sole si consuma, gli uomini nascono e muoiono. Ma i cieli stellati sono un fermo-immagine: la luce che adesso pervade lo spazio, ovunque intorno a noi. Contro chi ambisce alla vita eterna, la qualità di Dio che io preferisco è l’ubiquità. Mi basterebbe campare anche un solo secondo se in un istante potessi vivere ovunque, in ogni forma possibile. Quando il soffitto della nostra stanza ci sembra incombere come un pesante coperchio, la vita che desideriamo duratura potremmo intanto cercare di estenderla: abitare i fatti, i pensieri e le emozioni secondarie, esplorare le traiettorie collaterali, concedere spazio agli esiti imprevisti, dislocarci.  Voto per allevare il maiale. E’ fuori dai miei orizzonti mentali: non conosco il modo e la maniera, non so che spese comporta, e il tempo se davvero lo troveremo. Ma soprattutto non mi va. Non ne ho voglia. Mi imbarazza. E poi, questo maiale, da dove sbuca fuori? Nonno Benito è morto. Mi è dispiaciuto. Anche a Roberto è dispiaciuto. A Giulio, a Giulia, a Cesare. Forse dispiace anche ad Anna, che non l’ha mai visto. Era un brav’uomo, nonno Benito. Anche lui fuori dai nostri orizzonti mentali. Siamo tutti un po’ dispiaciuti.  Non superficialmente. Io, Roberto e gli altri amici siamo umanamente dispiaciuti per il destino mortale che ci accomuna. Ogni vita che scompare è un pezzo di morte che si avvera. Della nostra stessa morte. Questo, tuttavia, non ci obbliga a proseguire le vite altrui. Chi muore, muore: ha fatto e ha detto la sua. Noi, con nonno Benito, non abbiamo niente da spartire. Vogliamo bere un altro spritz in piazza Ariostea, guardare le partite su Sky, e vivere dentro un blog. Una porcilaia è uno spazio mentale che ho escluso dalla realtà; una variante che ho scartato; una casella del gioco su cui non fermerò la mia pedina. Perché? Esattamente di cosa non ho voglia? Cosa non mi va?  La mia indolenza, che così spesso assecondo, potrei adesso tentare di abitarla. Infondo, se chiudo gli occhi, vedo anche Noè sull’arca, il vecchio zio Tom e la casa nella prateria. Potrei trasferirmi in campagna, vivere in mezzo agli animali, e morire col fango alle ginocchia. Perché questo non accadrà? Giulia ride, e rido anch’io. Mi irrita quando  riesce a convincermi delle mie stesse idee. Ho sempre l’impressione che lei le abbia capite meglio. Per esempio, i miei discorsi cervellotici sugli esiti imprevisti, approdano inequivocabilmente alle ragioni di Giulia, che vota per allevare il maiale, e non alle mie.

-          Alberto, che pensi?

-          Alleviamolo.

-          Alberto, che dici?

-          Proviamo.

-          Alberto, quanti spritz hai bevuto?

La mia idea era di vendere il maiale vivo in cambio di carne morta. Il contadino porta il maiale al macello, lo spella, lo pulisce, e fa le porzioni. Poi una quarto se lo mangia lui e tre quarti noi. E’ ancora proporrei di procedere così, per far dispetto a Giulia. Non sopporto che lei ragioni esattamente come me, giungendo a conclusioni diverse dalle mie, e però più coerenti col mio pensiero. Basta. Sto per grippare. Alleviamo il maiale,  e basta. Non chiedetemi che penso; non costringetemi a dir nulla. Altrimenti io e Giulia finiremo per litigare.     

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Commenti al Post:
cordelia.p
cordelia.p il 08/05/08 alle 14:19 via WEB
Casellante, questa storia è veramente inquietante. Ma hai mai pensato che al povero maiale inquestione potrebbe girar storto e sbranare tutti? E se fosse affamato? Io ci penserei molto, e forse, con questi presupposti eviterei di adottarlo. Non sottovalutarlo, i maiali sono animali pericolosi. Un bacio.
 
cordelia.p
cordelia.p il 08/05/08 alle 14:41 via WEB
Casellante, rispondimi quando ti lascio commenti! Io dico che il povero maiale dovrebbe mangiarti, punto. Nessuna pietà per il casellante, e comunque non è divertente questa storia. Mi piaceva più quella dell'idromassaggio. Tu sei proprio uno strano personaggio, mi ricordi qualcuno.
 
HoLaPanzaEMeNeVanto
HoLaPanzaEMeNeVanto il 08/05/08 alle 16:42 via WEB
Beh, nella mia ridente cittadina c'è un tizio che va a passeggio col suo "bel" maialone nero di nome Valerio, ogni tanto lo si vede anche in piazza e sotto i portici del centro...fa un certo effetto...
 
my_moleskine
my_moleskine il 12/05/08 alle 18:03 via WEB
pensavo fosse il libro :)
 
sharaaa_v
sharaaa_v il 26/05/08 alle 17:13 via WEB
ciao sono passata a lasciarti un sorriso valentina
 
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