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Ambrosoli, l'eroe borghese trent'anni dopo


    
di Lorenzo Frigerio - 10 luglio 2009La lezione dell’avvocato che si scontrò contro mafia e corruzione“Mi scusi, signor Ambrosoli”: sono queste le parole – decisamente inusuali visto il contesto – utilizzate dal killer italoamericano William Aricò, un attimo prima di scaricare la sua 357 magnum all’indirizzo di Giorgio Ambrosoli. È l’11 luglio del 1979, è da poco passata la mezzanotte e l’avvocato Ambrosoli si trova improvvisamente e inaspettatamente solo davanti alla morte, dopo avere passato le ultime ore della sua vita in compagnia di alcuni amici, per assistere ad un match di pugilato in televisione.Sono passati trent’anni da quel giorno e ancora oggi conserva intatta tutta la sua freschezza e validità la lezione di vita offerta da quest’uomo che non esitò, in nome e per conto di uno Stato titubante per non dire colluso, a scontrarsi con il sistema mafioso e di corruttela costruito da Michele Sindona.Giorgio Ambrosoli nasce il 17 ottobre del 1933 a Milano da una famiglia agiata, di estrazione borghese; il padre, pur essendo avvocato, lavora in banca e l’educazione che offre ai figli – Giorgio è il primogenito di tre – è fondata su rigidi principi e una robusta fede cattolica. Durante il periodo degli studi, Ambrosoli manifesta simpatia per la monarchia e quel riferimento si consoliderà anni dopo in una cultura profondamente liberale. Una cultura che, insieme alle radici cattoliche e borghesi, lo renderanno sempre particolarmente diffidente nei confronti della politica, come ben ci ricorda lo scrittore Corrado Stajano nel suo indimenticabile “Un eroe borghese” (Einaudi, Torino 1991): “La politica, per lui, è ancora peggio dell’arte del possibile, è solo l’arte dell’intrigo, dell’imbroglio, della sopraffazione. La politica è la maledetta politica, i partiti sono i responsabili della degradazione nazionale, nemici dell’interesse collettivo, sempre dalla parte dell’interesse particolare, anche se inverecondo, anche se contrario a ogni codice naturale, morale, penale. Uomo dello Stato proverà su di sé che cosa significa avere nemiche le istituzioni e alleati solo uomini anomali e senza potere”.
Laureatosi in legge all’Università Statale, contrariamente all’idea del padre che sogna per lui un futuro sicuro in banca, decide di dedicarsi anima e corpo all’avvocatura e alla famiglia, che costruisce con Annalori, conosciuta proprio ai tempi dell’Unione Monarchica e dalla quale avrà tre figli di cui andrà sempre estremamente fiero. Anche dal punto di vista professionale, i motivi di soddisfazione non mancano; specializzatosi in diritto fallimentare, trova un primo serio impegno nella gestione del fallimento della Società Finanziaria Italiana, in capo alla quale si registra un crack di settanta miliardi.È questo il banco di prova per l’avvocato milanese che, il 24 settembre 1974, viene chiamato dall’allora governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, per fare luce sui castelli di carte e di inganni messi in piedi da Michele Sindona: appare fin da subito chiaro che il finanziere siciliano si è mosso certo dell’impunità e andando avanti Ambrosoli si convincerà sempre di più dell’ampia libertà di manovra concessa dal sistema. Grazie alle carte che riesce a collazionare e alle irregolarità e falsità che scopre di giorno in giorno, Ambrosoli risale ai legami che Sindona ha con la politica (Andreotti, Piccoli, Fanfani), la Chiesa (Marcinkus e lo Ior), la massoneria (Gelli e la P2), la finanza (Cuccia), per finire con la magistratura e la mafia siciliana.Del resto la complessità diabolica di un intreccio tra politica, finanza, massoneria e criminalità mafiosa appare evidente ad Ambrosoli fin da subito, come ben si coglie dalla lettera indirizzata alla moglie, scritta a pochi mesi dall’incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana e trovata per caso dalla donna, all’insaputa del marito: “E’ indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese (…) A quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito”. Quella lettera, un testamento nei fatti, ha i toni accorati di un forte impegno civile, è una pagina di etica della professione che andrebbe imparata a memoria nelle scuole. Nelle parole di Ambrosoli1 si coglie una profondità di riferimenti valoriali che oggi più che mai mancano al nostro Paese, si percepisce l’orgoglio di chi si sente servitore dello Stato, ma non per questo affatto sminuito, anzi pronto piuttosto a sacrificarsi per il bene comune senza ambire a risultatiA nulla valgono le pressioni e finanche i tentativi di avvicinarlo e di corromperlo che Sindona mette in atto, per evitare strascichi in ambito civile e penale. I cinque anni che vedono Ambrosoli alla guida della Banca Privata Italiana sono costellati di difficoltà e ostacoli frapposti alla sua azione anche da ambienti istituzionali e politici. Sono gli anni in cui Sindona viene celebrato come il “salvatore della lira” da Giulio Andreotti e in un contesto di isolamento, l’avvocato milanese può contare solo sull’apporto generoso del maresciallo Silvio Novembre, un finanziere tutto d’un pezzo. Un isolamento che si ampia a dismisura, quando anche i vertici della Banca d’Italia, nelle persone di Paolo Baffi e Mario Sarcinelli, vengono colpiti da un’inchiesta giudiziaria dai contorni poco chiari ancora oggi, in realtà tolti di mezzo per privare Ambrosoli di ogni appoggio. Le pressioni si fanno più pesanti fino a sfociare in minacce vere e proprie alla sua incolumità e a quella dei suoi cari, ma nonostante tutto Ambrosoli, ben cosciente dei rischi che corre, chiude il procedimento di liquidazione, dopo cinque anni di duro lavoro. L’avvocato impedisce così il salvataggio dell’istituto richiesto da più parti a nome di Sindona, ma soprattutto getta le basi perché venga riconosciuta la piena responsabilità di Sindona in sede penale e civile. Negli stessi mesi l’intransigente commissario liquidatore collabora con la magistratura statunitense e con l’FBI per il crack negli Stati Uniti di un’altra banca controllata da Sindona, la Franklin National Bank e, proprio il giorno prima del suo assassinio, depone come testimone nell’ambito di una rogatoria internazionale, eseguita presso il Palazzo di Giustizia di Milano alla presenza delle autorità americane. Una deposizione che avrebbe dovuto sottoscrivere il 12 luglio, ma che non arriverà mai a firmare, bloccato dalle pallottole del killer mafioso.Per l’omicidio Ambrosoli vengono condannati all’ergastolo Michele Sindona e Robert Venetucci, un mafioso italoamericano coinvolto nel traffico di stupefacenti. Sindona muore in carcere a Voghera, dopo aver ingerito un caffè contenente cianuro. Ancora oggi non è chiaro se sia stato messo a tacere oppure se la morte sia stata l’epilogo di un tentativo di suicidio, che lo avrebbe dovuto portare fuori dal carcere.Giorgio Ambrosoli venne lasciato solo anche il giorno del suo funerale. Nessuna autorità, nessun rappresentante di quello Stato per il quale l’avvocato milanese si era speso con coraggio, fino all’estremo sacrificio.Oggi le vicende di quegli anni sono raccolte in un bel libro scritto dal figlio di Giorgio Ambrosoli, Umberto. Il titolo è tratto proprio da quella lettera testamento lasciata dal padre “Qualunque cosa succeda” (Sironi Editore, Milano 2009). Una testimonianza di prima mano, con particolari inediti: “Toccare con mano la disinvoltura con la quale lo Ior ha operato insieme a Sindona genera in papà una sorta di imbarazzo, quasi una crisi della dimensione spirituale. Ma per noi tre continua a volere una formazione religiosa”.L’esempio di Ambrosoli è ancora vivo dopo trent’anni, soprattutto perché la situazione del nostro Paese non sembra essere cambiata. La corruzione, dopo gli anni di Mani Pulite, non ha mai allentato la presa sulla società e sull’economia e la certezza della pena per quanti si macchiano di crimini in ambito economico e finanziario resta una petizione di principio. Ricordare Ambrosoli significa consegnare il ricordo di un uomo dello Stato a quanti non l’hanno conosciuto, nella speranza che il suo impegno possa trovare altre gambe su cui camminare. [1] Anna carissima, è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I. (Banca Privata Italiana n.d. r.) atto che ovviamente non soddisfarà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E’ indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese.Ricordi i giorni dell'Umi (Unione Monarchica Italiana n.d.r.) , le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato - ne ho la piena coscienza - solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro.. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi (…) Giorgio