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Ancora due vittime della mafia da ricordare


Ieri un post per commemorare Antonino Agostino oggi un nuovo post per commemorare altri due operatori di giustizia.
E' il 6 agosto 1985, Antonino Cassarà, detto Ninni, dirigente della sezione Investigativa rientra a casa sita in viale Croce Rossa, 41. L'alfetta è blindata, Ninni sa che dopo la morte di Beppe Montana, suo amico e maestro, è nel mirino di Cosa Nostra. E' per questo che da una settimana vive barricato negli uffici della squadra mobile. Il 6 decide di tornare a casa. Ad attenderlo un gruppo di nove uomini armati di fucile AK-47 (il Kalashnikov) appostati nella palazzina in costruzione di fronte alla sua abitazione. L'agente Roberto Antiochia apre lo sportello a Cassarà e quasi subito i due vengono investiti da una pioggia di proiettili (si conteranno circa 100 bossoli). Cassarà riesce a trascinarsi fino alle scale di ingresso della palazzina dove morirà fra le braccia della moglie che affacciata al balcone ha visto tutta la scena insieme alla figlia. Alla sua richiesta di aiuto nessuno risponde.Un altro agente, Natale Mondo, rimase illeso nascondendosi sotto l'auto blindata. Chi fu la talpa? Chi informò il commando che Ninni stava tornando a casa?  
Sempre il 6 agosto ma del 1980 viene ucciso in strada il Procuratore Capo della Repubblica della città di Palermo. Una delle più accreditate ricostruzioni del movente è legata al fatto che egli avesse firmato personalmente dei mandati di cattura nei confronti del boss Rosario Spatola ed alcuni dei suoi uomini. Che altri suoi colleghi si erano rifiutati di firmare! Non credo ci siano parole migliori per ricordarlo di quelle che la moglie Rita Bartoli Costa pronunciò nel 2000 durante la Messa di commemorazione..."Vent’anni fa, in un caldo pomeriggio di Agosto, nella parte alta di via Cavour, senza scorte, mentre era fermo a guardare i libri esposti in una bancarella, un killer di mafia, indisturbato, in tutta tranquillità, aggrediva alle spalle, uccidendolo, mio marito, Gaetano Costa, Procuratore Capo della repubblica di questa città, colpevole di aver sempre fatto rispettare le leggi dello Stato da ogni forma di prevaricazione criminale, in difesa della società di questa Repubblica.Ho deciso, in questo ventesimo anniversario di prendere io la parola per commemorarlo, credo giustamente, perché sono la persona che meglio di ogni altra ne ha conosciuto il non comune spessore umano sia nel privato che nel pubblico.Come i suoi colleghi ben ricorderanno, Gaetano Costa è stato magistrato di grande valore e di indiscussa preparazione e ciò malgrado non ebbe la dovuta solidarietà, diciamo, dal suo ufficio e da chi aveva il sacrosanto dovere di difendere il suo modo di amministrare la giustizia.Io non voglio fare polemica con nessuno, perché ritengo che gli anni coprano tante cose, coprono con una coltre di silenzio vizi e anche virtù.E gli anni che passano pesano sulle mie spalle e sono tanti e mi avvicinano, in fretta, al grande viaggio senza ritorno; e davanti a Dio credo sia giusto che ci si presenti senza rancori, ma dopo tanti anni non posso non dire che mi mortifica e che mi addolora ancora dover prendere atto che tra i tanti pentiti che hanno parlato di tutto e del contrario di tutto, nessuna ha saputo dire dell’uccisione del Procuratore Costa.Fatta eccezione del cosiddetto "principe dei pentiti" il signor Buscetta, che parlò del delitto Costa come da copione valido a scagionare tutti addossandone la sola responsabilità a un certo mafioso "allora emergente" il quale era convinto che uccidendo Costa, avrebbe dimostrato tutta la sua forza ai grandi capi.Dopo vent’anni ho il diritto di pensare che i mandanti del delitto Costa non si sono voluti cercare né trovare, nel rispetto della logica dominante secondo la quale i morti sono morti e i vivi debbono sopravvivere e magari fare carriera ed essere rispettati.Conseguentemente invito tutti dall’onorevole Ministro della Giustizia all’ultimo uditore voglioso di amministrarla alla maniera di Gaetano Costa, di non dimenticare che in questa città è stato assassinato dalla mafia, dai suoi ispiratori, dai suoi suggeritori , dai suoi protettori e dalla indifferenza, un Uomo giusto che ancora non riposa in pace perché non ha avuto giustizia anche se è morto per l’affermazione della stessa.Io oggi, dopo vent’anni, parlo non solo come donna privata, ma come cittadina delusa e mortificata nelle sue aspettative di giustizia.Mi rimetto alla loro coscienza a alla loro sensibilità Signori Magistrati, perché la Giustizia è la più importante delle amministrazioni dello Stato e, anche se tanti anni sono passati, loro non dovranno mai dimenticare la solitudine in cui Gaetano Costa fu lasciato, solo, a contrastare l’impatto con la criminalità di questa città: e il modo ancor mi offende e offende i miei figli".