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Il Disegno di legge sulle intercettazioni - analisi del prof Abruzzo

Post n°210 pubblicato il 25 Giugno 2009 da Ganim

Tornano in auge le norme fasciste del 1930!
Cronaca giudiziaria imbrigliata. Niente carcere per i giornalisti, ma sospensione cautelare dalla professione fino a tre mesi.
Gli editori, che rischiano sanzioni da 25mila euro a232mila euro, potrebbero decidere di intervenire (con la scusa delle sanzioni) nella fattura dei giornali, minando così l’autonomia dei giornalisti.

Analisi del disegno di legge all’esame del Senato.

L’applicazione del dlgs 231/2001 alle imprese multimediali in relazione alla violazione dell’articolo 684 del Cp (Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale) potrebbe determinare una ingerenza (giustificata dai rischi delle sanzioni pecuniarie) degli editori nella vita e nella fattura dei giornali con conseguente compromissione dell’autonomia della professione di giornalista. Probabilmente questo è il vero obiettivo (per ora  “incartato”) del disegno di legge del Governo Berlusconi. Le imprese multimediali italiane, così,  diventerebbero simili a quelle americane, inglesi, tedesche e francesi nelle quali l’editore gioca un ruolo determinante nelle scelte quotidiane delle notizie da pubblicare. La nuova normativa è soltanto apparentemente contro gli editori, ma in realtà mira a dare agli stessi il “potere” di fare i giornali, riducendo il ruolo dei direttori e dei redattori a quello di impiegati di redazione. I giornalisti devono difendere con  determinazione la legge 69/1963, che, forte della deontologia elevata a norma, delinea, con l’aiuto dell’articolo 21 (II comma) della  Costituzione, una professione indipendente, libera da  “censure” e da  “autorizzazioni”.

1. Premessa. Si torna alla legislazione del 1930. Aziende multimediali sotto tiro, ma, con l’alibi delle sanzioni, in grado di “impossessarsi” delle scelte redazionali.  I 14 articoli del disegno di legge (varato dal Governo il 9 settembre 2005 ed all’esame del Senato)  sulle “Disposizioni in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità negli atti del fascicolo del pubblico ministero e del difensore”, una volta diventati legge, decreteranno la fine della cronaca giudiziaria. Si torna alla legislazione del 1930: viene, infatti introdotto il divieto di pubblicazione “anche parziale o per riassunto o nel contenuto, di atti di indagine preliminare, nonché di quanto acquisito al fascicolo del pubblico ministero o del difensore, anche se non sussiste più il segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare….. E' in ogni caso vietata la pubblicazione anche parziale o per riassunto della documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche di cui sia stata ordinata la distruzione". Con queste clausole in  vigore,  i quotidiani non avrebbero potuto pubblicare le conversazioni telefoniche (intercettate dalla polizia giudiziaria) tra il Governatore di  Bankitalia Fazio e il banchiere Fiorani.
 Sergio Beltrami, magistrato, ha scritto (D&G, n. 35 del 1° ottobre 2005): “Con l’estensione del divieto di pubblicazione degli atti, anche se non più coperti da segreto, al loro contenuto, ed anche solo per riassunto, a guisa di informazione, si ritornerebbe indietro di 75 anni, reimponendo inaccettabili bavagli alla stampa: non sarebbe, ad esempio, consentito dar notizia neanche di un arresto, ovvero della esecuzione di una ordinanza applicativa di una misura  coercitiva, atti non soggetti a segreto, e questo appare  francamente aberrante”.
 I cronisti e i direttori “riottosi e ribelli” rischiano la sospensione cautelare dalla professione fino a 3 mesi, pubblicando “arbitrariamente atti di un procedimento penale” oppure non pubblicando le lettere di rettifica o di smentita dei cittadini/lettori. La norma, però, come vedremo, non è applicabile.
 Il disegno di legge introduce, nel  contesto del Dlgs n. 231/32001,  la responsabilità delle imprese editoriali “per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato”  (il reato è quello previsto dall’articolo 684 Cp,  che punisce “la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale”). Gli editori  potranno arrivare a pagare  da 25.800 a 232.500 euro di sanzione pecuniaria, a seconda della tiratura e della diffusione della testata.
 L’applicazione del dlgs 231/2001 alle imprese multimediali in relazione alla violazione dell’articolo 684 del Cp (Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale) potrebbe determinare una ingerenza (giustificata dai rischi delle sanzioni pecuniarie) degli editori nella vita e nella fattura dei giornali con conseguente compromissione dell’autonomia della professione di  giornalista. Probabilmente questo è il vero obiettivo (per  ora “incartato” e sotto traccia) del disegno di legge del Governo Berlusconi. Le imprese multimediali italiane, così,  diventerebbero simili a quelle americane, inglesi, tedesche e francesi nelle quali l’editore gioca un ruolo determinante nelle scelte quotidiane delle notizie da pubblicare. La nuova normativa è soltanto apparentemente contro gli editori, ma in realtà mira a dare agli stessi il “potere” di fare i giornali, riducendo il ruolo dei direttori e dei redattori a quello di impiegati di redazione. I giornalisti devono difendere con  determinazione la legge 69/1963, che, forte della deontologia elevata a norma, delinea, con l’aiuto dell’articolo 21 (II comma) della  Costituzione, una professione indipendente, libera da “censure” e da “autorizzazioni”.
 Il disegno di legge (ddl)  interviene su numerosi articoli della legge n. 47/1948 sulla stampa, del Codice penale, del Codice di procedura penale. Ecco le principali novità  che riguardano la professione di giornalista:

1.1. Vietata la pubblicazione degli atti giudiziari (e delle intercettazioni) fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Il ddl modifica il comma 2 dell’articolo 114 del Cpp: "2. E' vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto o nel contenuto, di atti di indagine preliminare, nonché di quanto acquisito al fascicolo del pubblico ministero o del difensore, anche se non sussiste più il segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare".
 L'articolo 114, comma 7, del  Cpp è sostituito dal seguente: "7. E' in ogni caso vietata la pubblicazione anche parziale o per riassunto della documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche di cui sia stata ordinata la distruzione ai sensi degli articoli 268, 269, e 271".


1.2. Giornalisti a rischio di sospensione cautelare fino a tre mesi, ma la norma è inapplicabile. Il ddl apporta sostanziali modifiche al comma 2 dell’articolo 115 del Cpp:  "2. Di ogni iscrizione nel registro degli indagati per fatti costituenti reato di violazione del divieto di pubblicazione commessi dalle persone indicate al comma 1, il procuratore della Repubblica procedente informa immediatamente l'organo titolare del potere disciplinare (il Consiglio territoriale dell’Ordine dei Giornalisti, ndr), che, nei successivi trenta giorni, ove sia stata verificata la gravità del fatto e la sussistenza di elementi di responsabilità e sentito il presunto autore del fatto, può disporre la sospensione cautelare dal servizio o dall'esercizio della professione fino a tre mesi". Il comma 1 dell’articolo 115 Cpp specifica che “salve le sanzioni previste dalla legge penale [684 Cp], la violazione del divieto di pubblicazione previsto dagli articoli 114 e 329 (comma 3 lettera b) del Cpp costituisce illecito disciplinare quando il fatto è commesso da impiegati dello Stato o di altri enti pubblici ovvero da persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato”. I giornalisti professionisti sono tali, infatti, in quanto hanno superato l’esame di Stato previsto dall’articolo 33 (V comma) della Costituzione e dall’articolo 32 della legge n. 69/1963. Conseguentemente la norma esclude sanzioni disciplinari per i pubblicisti (coloro che, accanto a professioni diverse o ad altri impieghi, svolgono attività giornalistica “non occasionale”) e per i praticanti giornalisti.
 La natura della sospensione è cautelare: cautelare significa che dovrebbe essere adottata mentre il procedimento penale è in atto. L’articolo 58 della legge 69/1963 sull’ordinamento della professione di giornalista impedisce al Consiglio dell’Ordine l’adozione di qualsiasi provvedimento prima della conclusione del processo. La norma, pertanto, è inapplicabile, perché non è coordinata con l’articolo 58 citato. Il direttore dell’Ufficio VII del Ministero della Giustizia ha scritto (Prot n. 7/52/5140 del 3 novembre 1993) sul tema, rispondendo a un quesito posto dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia in merito all’interpretazione dell’articolo 58: “Con riguardo poi alla previsione contenuta nel II comma dell’articolo 58 l. 69/63 ("Nel caso che per  il  fatto  sia stato promosso procedimento penale, il termine suddetto decorre dal giorno in cui è divenuta irrevocabile  la  sentenza  di  condanna e di proscioglimento"), si osserva che in base alle sostanziali modifiche intervenute nel campo processuale e alla distinzione introdotta nell'ambito del  processo  penale  tra   la  fase  procedimentale  di  natura investigativa e la fase processuale di natura giurisdizionale, il termine procedimento penale deve intendersi quale processo penale.  Con  la  conseguenza  che  solo  qualora  le  attività investigative  del  Pubblico  Ministero  siano  sfociate  in  una richiesta di rinvio a giudizio, il termine di prescrizione di cui all'art.  58 è sospeso sino alla definizione del giudizio penale,  stante  l’opportunità  di  subordinare  in  tal  caso l’esercizio  dell'azione  disciplinare  all'accertamento  della esistenza dei fatti  compiuti in sede penale”.
 Il Consiglio dell’Ordine non  ha gli strumenti (polizia giudiziaria a disposizione)  per “verificare la gravità del fatto e la sussistenza di elementi di responsabilità”: dovrebbe compiere un atto di fede, accettando supinamente la versione fornita dall’Ufficio del Pm. Chi fornirà la prova che quanto pubblicato è nel fascicolo processuale se la prova è secretata? Come si concilia l’accusa al giornalista con il “dovere” che grava sul giornalista stesso di pubblicate i fatti raccontati secondo i principi deontologici del rispetto della dignità della persona e del rispetto della verità sostanziale dei fatti medesimi?

1.3. Profonde modifiche all’articolo 8 (rettifica) della legge n. 47/1948 sulla stampa. La mancata pubblicazione della rettifica, può determinare la sospensione dalla professione  (fino a 3 mesi) del direttore responsabile della pubblicazione.
 L’articolo 8 del ddl  modifica il seconda comma dell’articolo 8 della legge 47/1948, imponendo la pubblicazione della rettifica "senza commento". Le altre novità:
 a) "Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell'articolo 32 del decreto legislativo 31 luglio 2005 n. 177 (il testo è pubblicato in coda, ndr). Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono";
 b) "Per la stampa non periodica, l'autore dello scritto, ovvero i soggetti di cui all'articolo 57 bis (direttori responsabili, ndr) del Codice penale, provvedono, su richiesta della persona offesa, alla pubblicazione, a propria cura e spese su non più di due quotidiani a tiratura nazionale indicati dalla stessa, delle dichiarazioni o delle rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro reputazione o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto di rilievo penale. La pubblicazione in rettifica deve essere effettuata entro sette giorni dalla richiesta con idonea collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre fare chiaro riferimento allo scritto che l'ha determinata";
 c) "Della stessa procedura (stabilita per la rettifica nei punti precedenti, ndr) può avvalersi l'autore dell'offesa, qualora il direttore responsabile del giornale o del periodico, il responsabile della trasmissione radiofonica, televisiva o delle trasmissioni informatiche o telematiche non pubblichino la smentita o la rettifica richiesta. Dell'avvenuta violazione dell'obbligo di pubblicazione l'offeso dà notizia al titolare del potere disciplinare (Consigli territoriali dell’Ordine dei Giornalisti, ndr) che, verificata la violazione e sentito il responsabile, ne ordina la sospensione dall'attività fino a tre mesi".


2. Niente carcere per giornalisti ma un’ammenda fino a 750 euro di sanzione con la coda della sospensione cautelare dalla professione fino a 3 mesi (ma fortunatamente, come riferito, la norma è inapplicabile). I giornalisti, - dice il terzo comma dell’articolo 12 del ddl -, che pubblicano “in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d'informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione  sono puniti con l'ammenda da euro 250,00 a euro 750,00”. I giornalisti  non  rischiano il carcere come previsto in una prima bozza, ma solo ammende più salate (il testo in vigore dell’articolo 684 Cp prevede l’arresto fino a 30 giorni come misura alternativa all’ammenda dai 51 ai 258 euro). Di ogni violazione, però, la Procura informa il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti che nei successivi 30 giorni "può disporre la sospensione cautelare dal servizio o dall'esercizio della professione fino a tre mesi". La norma, come già riferito, è fortunatamente non applicabile.

3. Pene più severe per i pubblici ufficiali “gole profonde”. Il segreto professionale dei giornalisti tutelato soprattutto dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e dalle sentenze della Corte di Strasburgo. L’articolo 326 Cp non riguarda i giornalisti, ma soltanto i pubblici ufficiali (magistrati, cancellieri, ufficiali di pg).
 I pubblici ufficiali che rivelano il contenuto delle intercettazioni rischiano il carcere da 1 a 4 anni anziché da sei mesi a tre anni: questa la modifica apportata dal comma 1 dell’articolo 12 del ddl all’articolo 326 Cp.
 La  Convenzione  europea dei diritti dell’Uomo (recepita nella legge italiana 848/1955) e le sentenze Goodwin e Roemen di Strasburgo rendono forte il lavoro del cronista. Le vicende Goodwin e Roemen sono episodi  che assumono valore strategico. Quelle sentenze possono essere “usate”, quando i  giudici nazionali mettono sotto inchiesta, sbagliando, i giornalisti, che si avvalgono del segreto professionale. I giornalisti devono rifiutarsi di rispondere ai giudici in tema di segreto professionale,  invocando, con le norme nazionali (legge n. 69/1963 e dlgs n.  196/2003), la protezione dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo nonché le sentenze Goodwin  e Roemen della Corte di Strasburgo. Questa linea è l’unica possibile anche per evitare, come scrive il Tribunale penale di Treviso, di finire sulla graticola dell’incriminazione per violazione del segreto d’ufficio in concorso con pubblici ufficiali (per lo più ignoti), cioè con coloro che, - magistrati, cancellieri  o ufficiali di polizia giudiziaria -, hanno “spifferato” le notizie ai cronisti. In effetti l’eventuale responsabilità, collegata alla fuga di notizie, grava solo sul pubblico ufficiale che diffonde la notizia coperta da vincoli di segretezza e non sul giornalista che la riceve e che, nell’ambito dell’esercizio del diritto-dovere di cronaca, la divulga.
 Va affermato il principio secondo il quale il giornalista, che riceva una notizia coperta da segreto, può pubblicarla senza incorrere nel reato previsto dall’articolo 326 del Cp.  E’ palese la differenza con il reato di corruzione, che colpisce sia il corrotto sia il corruttore. L’articolo 326, invece, punisce solo chi (pubblico ufficiale) viola il segreto e non chi (giornalista) riceve l’informazione e la fa circolare. Ferma restando, ad ogni modo, la prerogativa del giornalista di non rivelare l’identità delle proprie fonti. Il giornalista, che svela le sue fonti, rischia il procedimento disciplinare al quale non può, comunque, sfuggire per l’evidente violazione deontologica. Una lettura ragionevole dell’articolo 326 del Cp evita l’incriminazione (assurda) del giornalista per concorso nel reato (con il pubblico ufficiale…..loquace) e le perquisizioni,  arma ormai spuntata dopo la sentenza “Roemen” della Corte di Strasburgo.
 Il Codice di procedura penale, in base alla relativa legge-delega, ”deve adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale”.  Il Parlamento in sostanza deve calare nel Codice le sentenze Goodwin e Roemen nonché l’articolo 10 della Convenzione, abolendo il potere del Gip di interrogare il giornalista. Finirà la storia dei giornalisti arrestati e condannati perché difendono il segreto professionale anche  come cittadini  europei? L’articolo 200 del Cpp afferma il diritto del giornalista professionista al segreto sulle sue fonti fiduciarie, ma nel contempo autorizza il giudice a interrogarlo sulle sue fonti fiduciarie. Potere, questo,  che fa a pugni con la giurisprudenza   della Corte di Strasburgo. Il Parlamento deve sancire una volta per tutte la regola in base alla quale il giornalista ha diritto al segreto professionale come gli altri professionisti. Punto e basta. Non una parola in più. Strasburgo ha spiegato perché è necessaria ed urgente questa svolta. Il segreto professionale dei giornalisti difende il diritto dei cittadini a essere informati su quel che accade (anche nei  Palazzi del potere e nei Tribunali).


4.  Sanzioni amministrative (da 25mila a 232mila euro) anche per l’impresa multimediale. La salvezza (per le aziende) è la formazione continua dei giornalisti.  L’articolo 14 del ddl  introduce, nel contesto del Dlgs n. 231/2001, la responsabilità amministrativa degli enti (in questo caso “imprese multimediali”) in relazione alla violazione dell’articolo 684 del Cp (Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale). Si applica all'ente la sanzione pecuniaria da cento a centocinquanta quote. L'importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila (258 €) ad un massimo di lire tre milioni (1.550 €).  Le aziende potrebbero essere costretto a versare da  un minimo di 25.800 euro fino a un massimo di  232.500 euro (460 milioni circa delle vecchie lire). L’entità della sanzione sarà collegata sicuramente ai dati della tiratura e della diffusione della testata. “Non è ammesso il pagamento in misura ridotta” ( articolo 10 del dlgs 231/2001)..
 Il  Dlgs 231/2001 “disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica. Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”.
 Se il reato è stato commesso da persone che rivestono funzioni di  direzione dell'ente (come i direttori responsabili considerati dalla giurisprudenza dirigenti dell’azienda, ndr)  o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia funzionale (è il caso delle redazioni giornalistiche rispetto al resto dell’impresa multimediale), l'ente non risponde se prova che l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. In relazione all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di organizzazione devono rispondere alle seguenti esigenze:
 a) individuare le attività nel cui àmbito possono essere commessi reati;
 b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire.
 Bisogna sottolineare che il dlgs 231/2001 già si applica alle società (e, quindi, alle  aziende multimediali), ma per una serie di reati (soprattutto societari, abusi di mercato)  ben più pesanti di quello previsto e punito dall’articolo 684 del  Cp. L’estensione della punibilità all’articolo 684 obbligherà le imprese multimediali ad assumere giornalisti professionisti qualificati (che abbiano alle spalle percorsi universitari) e a curare la formazione  dei dipendenti giornalisti  anche attraverso la costituzione (ex art. 118 della legge 388/2000) del “Fondo nazionale paritetico interprofessionale per la Formazione continua dei giornalisti professionisti; dei giornalisti pubblicisti  contrattualizzati e dei praticanti giornalisti”. L'articolo 118 della legge 388/2000 oggi destina lo 0,30 della legge 21 dicembre 1978 n. 845 alla formazione e non più a incrementare l’aliquota sulla disoccupazione (che gli editori versano all’Inpgi). Quell’aliquota torna alla percentuale dell’1,31 (dall’1,61).  C'è stato un cambio di destinazione,  che è ineludibile. L'Inpgi (esposto anch’esso ai rischi della legge 231/2001) dal gennaio 2001 ha perso il diritto di utilizzare lo 0,30 (pari a circa 2,4  milioni di euro annui) per la disoccupazione, ma deve spenderlo per la formazione. I giornalisti  contrattualizzati e disoccupati hanno bisogno di formazione per stare sul mercato oppure per tornare nel circuito del lavoro dipendente. L’Inpgi soprattutto dal gennaio 2001 non ha più titolo giuridico che lo autorizzi a trattenere lo  0,30. 
 L’applicazione del dlgs 231/2001 alle imprese multimediali in relazione alla violazione dell’articolo 684 del Cp (Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale) potrebbe, però, determinare, come già osservato, una ingerenza (giustificata dai rischi delle sanzioni pecuniarie) degli editori nella vita e nella fattura dei giornali con conseguente compromissione dell’autonomia della professione di giornalista. Probabilmente questo è il vero obiettivo (per ora  “incartato”) del disegno di legge del Governo Berlusconi. Le imprese multimediali italiane, così,  diventerebbero simili a quelle americane, inglesi, tedesche e francesi nelle quali l’editore gioca un ruolo determinante nelle scelte quotidiane delle notizie da pubblicare. La nuova normativa è soltanto apparentemente contro gli editori, ma in realtà mira a dare agli stessi il “potere” di fare i giornali, riducendo il ruolo dei direttori e dei redattori a quello di impiegati di redazione. I giornalisti devono difendere con  determinazione la legge 69/1963, che, forte della deontologia elevata a norma, delinea, con l’aiuto dell’articolo 21 (II comma) della  Costituzione, una professione indipendente, libera da  “censure” e da  “autorizzazioni”.

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