IO E I MIEI COCCI

REAZIONI - Lettera aperta alle mie "esaminatrici" ...


Ecco la reazione scaturita da un'ora di tortura con una neuropsichiatra che ha deciso che devo essere torchiata per meritare di arrivare alla meta. Precisamente ad una domanda che suonava più o meno così "Cosa e come direbbe a un bambino a lei affidato che deve andare ad un incontro con la sua famglia d'origine e fa i capricci?". Io non ho dato la risposta giusta... e son stati dolori...Comincio ad accusare il colpo.Perché nella mia tormentatezza, qualsiasi cosa mi venga detta per me ha un peso – certo, se le persone che me la dicono hanno a loro volta un certo “peso” – e io ci penso, rifletto, la smembro.E’ così da sempre, mi perdono poco, sono certamente piuttosto insicura sulle mie qualità, se vogliamo chiamarle così.Qualche certezza però ce l’ho anch’io. Ad esempio che la decisione di rendermi, con mio marito, disponibile all’adozione, è una scelta a lungo ponderata, passata attraverso dubbi, paure, bisogno di conferme, confronti. Alla fine è lì, bella chiara. E’ una scelta.Mica leggera.Una scelta consapevole, non affrettata, non fatta a caso, non “sostitutiva” di presunte mancanze.Un’altra certezza è quella di non essere stupida e di capire piuttosto bene con quale bagaglio di dolori può arrivare un bambino, piccolo o grande che sia, dichiarato adottabile.Ho ben presente quello che hanno passato le mie bambine, cresciute con un piccolo disastro in famiglia: tutte e due senza avere davvero un padre, tutte due a dover fare i conti con mamme occupate a riprendere in mano la loro vita.So che quelle due piccole, ora diventate donne, mi cercano ancora. Che fino a un mese fa Pai mi chiamava perché la aiutassi con le sue normalissime crisi da ventenne in lotta col mondo.E non è che questo faccia di me una mamma. Non biologica.Tutto questo fa di me solo una persona che può immaginare che le situazioni che ho vissuto crescendo un po’ con loro son ben poca cosa rispetto a quello che potrà aver già passato quel bambino. E che mi sono domandata molte volte se posso e voglio affrontarle. E la risposta è sì. Sì. E mille volte sì. Ma NON CONOSCO – adesso – le parole che userò per spiegare certe cose di fronte a un capriccio. Di fronte ad urla o pianti disperati, di fronte a un morso – chi lo sa -  pure ad un insulto.Non so rispondere a una domanda del genere.E credo che anche se dessi una risposta precisa, sarebbe una bella cazzata. Perdonate il francesismo. Perché magari, il giorno che dovesse capitare la situazione difficoltosa, farei tutto il contrario di quello che posso rispondere oggi. Oggi, che tutto quello che posso fare è IMMAGINARE. Ecco, l’immaginazione ci stava tanto bene quando giocavo con le bambole, alle signore o a fare la maestra. Oggi sono un po’ più grande e la vita, grazie al Cielo, la vedo in maniera un po’ diversa da 30 anni fa. Non pretendo che sappiate – voi e, quel giorno di dicembre, il giudice – chi sono in poche ore. Credo che non lo potrete capire, per quanto esperti siate
Soprattutto non penso di riuscire a convincervi sul fatto che io sia una persona serena, che ama ed è amata, pronta (se mai si può essere certi d’esser pronti ad affrontare l’ignoto – perché tale è) ad accogliere una creatura con tutti i problemi del mondo.So che voi guardate come mi mordo le labbra, che osservate il mio accavallare le gambe o il mio riso nervoso che mi ha sempre portata a “scoprirmi” e a far vedere che, se sono imbarazzata, esaminata, giudicata, mi agito.Ma questo significa poco.Oggi comprendo il vero significato di quelle parole: la tenuta sotto sforzo.Ecco, misuratemi. Continuate a tormentarmi.Sono pronta!