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il caimano colombiano


             
Il caimano e la luna. La notte estiva si consumava in un tranquillo silenzio erboso. Sotto un cielo stellato, i pascoli della vasta prateria sussurravano l’impressione di brezza che scendeva dalla lontana cordigliera. L’acqua sorgiva si radunava in un ruscello tortuoso e correva fino ad apririsi nell’azzurra laguna circondata da un anello di palme. Sotto un secolare saman, poco distante dallo specchio d’acqua, sdraiato su una gobba di candida sabbia, il vecchio caimano teneva lo sguardo fisso su qualcosa d’inafferabile che solo la sua fantasia di mostro poteva immaginare. Nelle ombre della notte intuiva prede rivestite di odore e si rammaricava di non averle al giusto tiro. Si sentiva triste. Nei suoi occhi lucidi le stelle, incapaci di consolarlo, si riflettevano col disegno della Croce del Sud o con la chiglia di Canopo. In alto, una superba iguana, allungata su un ramo, misurava la turpe mole del caimano immobile sotto di lei. Era contenta di non essere tozza quanto il bestione che si rendeva aggraziato e leggero solo nel liquido della laguna, mentre assaliva le prede di passaggio. Luminosa, da un lato salì la Luna fino a fermasi sulla cupola frondosa dell’albero. L’iguana sollevò la cresta della schiena, solleticata dal chiarore giallino e si spostò verso l’esterno del ramo. Il movimento scosse il torpore del caimano. Ruotò appena un globo oculare e notò la Luna. Provò un freddo languore che gli mise in subbuglio lo stomaco. Quel disco dorato e piatto gli ricordava le focacce cucinate dalla donna che lavorava presso il colono. L’india dei sikuani, in certe molli notti di caldo atroce, si spingeva al bordo della laguna e ne lasciava alcune unte di uova di pesce sulla sabbia. Lui ne approfittava, senza gratitudine, anticipando gli altri animali notturni e le ingoiva digerendole dopo lungo tempo. Quella volta pareva che la Luna emettesse lo stesso piacevole odore delle focacce. La brezza ne recava una traccia. Il mostro schioccò la lingua. Il rumore spaventò l’iguana che ruotò di scatto su sé stessa, ancora più all’esterno del lungo ramo del secolare saman. Solo le terminti, alloggiate nel tronco segnato dal tempo, avvertirono quanto stava per accadere.  Il ramo si spezzò e cadde nello specchio d’acqua trascinando l’infelice iguana. Attraverso il varco apertosi nella chioma dell’albero, la Luna riflesse la sua faccia nella laguna. Il caimano capì subito tutto. Con la spinta dei suoi incontrollati riflessi balzò dalla gobba di sabbia e si tuffò agitanto la coda, sollevando colonne d’acqua. In un lampo si trovò sulla Luna e l’azzannò una, due, tre volte. Più mordeva e più si eccitava per un quel senso di falsa sazietà che si liberava dall’innocuo banchetto. Non si accorse delle nuvole arrivate dalla cordigliera a oscurare il cielo. Era troppo preso dal suo istintivo egoismo di feroce divoratore. L’ultimo morso fu decisivo per ingoiare la Luna. Con gli occhi miopi e pigri, uno battente a sinistra, l’altro a destra, si assicurò che non fosse rimasta una sola briciola di quell’impalpabile focaccia. Soddisfatto, uscì dall’acqua e ritornò sulla gobba di sabbia. Socchiuse le palpebre e considerò il suo rimorso. Ora gli sarebbe cominciato il mal di pancia, come le altre volte, dopo ogni pasto. Una lacrima spuntò dalla sua preisotrica coscienza e gli piovve sulla guancia rugosa assieme alle prime gocce che cadevano dalle nuvole sparse nel cielo.