CyberArguti Blog

Lettera aperta al sultano


Non riesco a comunicare con te mio sultano. E così dichiaro ammutinamento e ti scrivo da qui, pubblicamente, sono certa che ci leggi, ovunque tu sia, non puoi averci abbandonato! Mi hai lasciata chiedendomi di danzare per te in questo blog. Una richiesta formulata in maniera gentile che mi ha impaurita ma anche lusingata. Io tra le tante, mi sono detta, perché? Io non sono capace di comunicare cose profonde facendo sorridere, non mi riconosco così arguta. Mi diverto con le rime a volte, ma tu dici di non nascondermi tra le rime, di non guardare lo stile ma la sostanza, con eleganza. Mi dicesti buttati hai talento ed io accettai. Ma ti confesso di non credere di avere il talento che generosamente mi riconosci. Sto cercando di fare il mio meglio di ragionare come tu mi hai insegnato, di costruire i pensieri partendo dalle emozioni, scavando dentro guardando sotto e provando a descriverle. ..."Ascolta il tuo cuore, condividi i tuoi sentimenti con pulizia e sincerità, i nostri sentimenti meritano sempre grande rispetto, nulla é come ti sembra"... così mi hai sempre ammonito. Ci sto provando ma ho bisogno ancora di te te lo confesso. Scrivere sapendo che tanti mi leggeranno, comincia a divertirmi, ma nello stesso tempo mi impaurisce ancora. In definitiva scrivo a te di me, non riesco ad allargare il pensiero. Se comunicassi cose diverse da quelle che ho nel cuore? Se non riescissi a dire ciò che realmente vorrei dire? Se risulto noiosa o ridicola o non interessante? Un sacco di dubbi mi assalgono e torno la ragazza repressa e confusa che hai conosciuto. ..."sei un bel involucro con tutto il mondo dentro"... mi dicesti una volta, lusingandomi un sacco. Vedi continuo a citarti e so che non va bene, provo ad imitarti, la mia luce dovrebbe risplendere, il MIO mondo dovrebbe venire fuori, dovrei usare le mie ali, lo so me lo hai detto troppe volte, lo so Marco. Fra me e te non c'è amore, non sto facendo confusione, tranquillo lo so bene. Tu sei il mio amico più reale anche se ti ho scovato nel virtuale, tu dai e non chiedi mai nulla, tu non giudichi ma comprendi, tu sai prevedere quello che accadrà, hai delle doti non comuni amico mio, devo pubblicamente dartene merito. Tu di me sai tutto, in un certo senso mi sono confessata con te, conosci la mia piccola storia ed il contesto di talebano provincialismo in cui vivo, ed io di te che so? Certo tutto quello che bisogna sapere, ti riconosco sincerità, non ti nascondi di certo, ma la tua anima, il tuo cuore dove alloggia? Perché sei cosi generoso con gli altri e tanto avaro con te stesso? Quale innominabile colpa stai espiando per non raccogliere i frutti di ciò che sapientemente sai seminare? Forse hai la pancia (ed il letto) pieni e noi amiche virtuali non ti interessiamo in quanto femmine? Perché, allora, ci seduci fino a farci star male? Scusa l'intromissione nella tua vita con i miei perché, torno a parlare di me con una metafora fatta a favola da cui capirai il mio stato d'animo, come sempre. Spero che tu prima o poi mi risponda, come sempre. "C'era una volta una ranocchia che voleva essere una Rana autentica, e tutti i giorni si sforzava di diventarlo. All'inizio comprò uno specchio in cui si guardava cercando l'ambita autenticità. Qualche volta le sembrava di incontrarla e altre no, a seconda degli umori del giorno e del momento, fino a che si stancò e ripose lo specchio in un baule. Alla fine pensò che l'unico modo per conoscere il proprio valore era attraverso l'opinione della gente. E cominciò ad acconciarsi e a vestirsi e a spogliarsi (quando non gli restava altro da fare) per sapere se gli altri la approvavano e riconoscevano in lei una Rana autentica. Un giorno osservò che quello che più ammiravano era il suo corpo, particolarmente le sue gambe, e per questo si dedicò a fare esercizi e a saltellare per avere cosce sempre più belle, per le quali tutti la applaudivano. E così proseguì nei suoi sforzi fino a che, disposta a qualunque cosa per riuscire ad essere considerata una Rana autentica, si lasciò strappare le cosce, e gli altri se le mangiavano, mentre lei, con amarezza, sentiva i commenti dei mangiatori, che proclamavano: che buona questa ranocchia, sembra pollo!...". Non lasciarmi adesso le mie ali sono ancora incerte.