C'era una volta...

Dalla fiaba all'horror


La narrazione della fiaba, nella redazione moderna che ci è più nota, attraverso quindi Perrault e i Grimm, è spesso uno strumento moralizzante pedagogico in cui l’ordine viene alla fine sempre ricostruito. Gli eventi vengono situati in un passato assoluto e raccontati da un narratore impersonale ed autorevole che garantisce il senso del racconto. Spesso, a maggior sicurezza dell'uditorio, tale conclusione è esplicitata e riaffermata dalla cosiddetta "morale": in Perrault un componimento in versi che ammonisce l'uditorio sulle conseguenze dei gesti cattivi.In genere, una volta neutralizzato il malvagio, la stabilità viene ricostituita in un ordine compensatorio che garantisce sicurezza.
Il racconto pauroso, la gothic novel, il genere horror che ne deriva, al contrario, giocano con l’ambiguità. L’immaginario ed il reale cessano di essere elementi separati, ma interferiscono l’uno con l’altro spesso senza discriminazione tra verità e apparenza. Bene e male si fondono e confondono. Si gioca col doppio, le simmetrie, la confusione dei contrari, per arrivare ad una decostruzione del quotidiano, che è il vero elemento della paura.Paradossalmente non è il mostruoso in sé che spaventa, ma il fatto che il mostro abbia sembianze parzialmente umane, o, peggio, che si nasconda e si annidi nella normalità.Questo meccanismo della paura è talmente ovvio e contraddistintivo da essere usato come elemento chiave nei più riusciti romanzi e film del genere. Spaventa più la normalità del dr. Jeckill da cui esce Hyde che non il mostro bionico di Frankestein. Spaventano le presenze demoniache che escono da un elettrodomestico quotidiano come in Poltergeist. Spaventa la fecodazione demoniaca di Rosemary's Baby. Spaventano gli spettri del gothic inglese proprio perché appaiono in sembianze umane.
L'horror non punta verso mondi fantastici, ma deforma il nostro perché i suoi nessi e le sue misure, strappati ai loro ingannevoli equilibri, ci appaiano in una brutalità rivelatrice: invece di proporre mondi possibili, presenta il nostro come un mondo impossibile. Che inventi o che deformi, la finzione misura sempre il reale col suo stesso staccarsene, lo precisa da una lontananza che e istituzione di prospettive nuove e inusitate, lo sollecita al limite del capovolgimento. (Cesare Segre).