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A NAPOLI MANCANO LE OPPORTUNITA'


Caro Direttore, nell’analisi sociologica proposta dal Procuratore Generale Vincenzo Galgano, le due anime di Napoli, quella della plebe imbarbarita nei costumi e nelle azioni e quella “superiore civile, colta, raffinata, cosmopolita” stanno vivendo la più profonda e catastrofica incomunicabilità della storia della nostra città, generando solo caos, degrado e malessere. Sono cioè due identità contrapposte che lasciano irrisolti tutti i problemi e diventano un vero e proprio alibi per i fallimenti politici delle classi dirigenti. Ma se l’analisi sociologica proposta è giusta, se cioè rispecchia in modo fedele lo stato di abbandono ed impotenza di Napoli, la domanda che ne consegue è: qual è la ragione di tanta incomunicabilità? La risposta non può che essere politica, perché è compito fondamentale della politica realizzare idee e favorire sviluppo sociale e civile. Ma allora cosa è mancato alla politica, quali sono stati gli errori, nelle scelte e nelle azioni, che hanno portato ad un tale imbarbarimento del tessuto sociale? A ben guardare, nella storia più recente della complessa questione meridionale, Napoli sembra essersi caratterizzata sempre più come un “laboratorio politico” non solo di possibili anticipazioni di alleanze nazionali, ma anche e soprattutto, di un processo che potremmo definire di secolarizzazione e di relativismo della politica che ha espunto dalla sua elaborazione e dalle sue scelte, l’idea del“bene comune”. Dove per “bene comune” s’intende l’esigenza di una comunità organizzata di avere un minimo di consenso sui valori e sulle regole della coesistenza, nonché sulla capacità della classe politica di massimizzare proprio le condizioni minime degli individui. Si tratta, in sostanza, della convivenza senza prevaricazione, tra interessi individuali e quelli collettivi. Si tratta di creare quella che il neocontrattualismo di John Rawl definisce come “eguaglianza delle opportunità”.Perché il successo sociale o il raggiungimento di un obiettivo di vita debbono dipendere essenzialmente da ciò che si conosce e dagli sforzi profusi per raggiungere l’obiettivo e non da chi si conosce o dall’appartenenza a questo o a quel gruppo politico. Perché non deve essere la politica il viatico perl ’affermazione sociale, ma la formazione ed il merito individuale. Si tratta, cioè, di investire, prima ancora che sulle risorse naturali, sugli uomini e le donne di Napoli, sulle loro capacità e sul loro talento, perché non è il mare a produrre turismo, ma la capacità tutta umana, di far sognare ad altri quel mare. L’incomunicabilità tra le due identità contrapposte di Napoli si potrà forse ricomporre solo quando la politica farà propria l’esigenza di un riformismo  “delle prospettive e delle opportunità” per tutti.  Elena Varriale (Pubblicato oggi sul Corriere del Mezzogiorno)