certe volte

Le prime luci dell'alba (raccontino triste)


Prime luci dell’alba. La stazione vuota. Nessun pendolare dagli occhi cisposi e dalle palpebre abbassate dal sonno. Nessuna puttana che ha smesso di succhiare cazzi ricoperti da un velo sottile di protezione.Il pomeriggio ho riempito una valigia: mutande, t-shirt, due paia di jeans, tre camicie, scarpe comode e infradito. Il resto, poche cose, in uno zaino.Sono le cinque di mattina e Nat dorme un sonno profondo e rumoroso, bronchitico. La osservo. E la saluto sottovoce, piano piano:”Ciao cara, vado con gli elefanti. Abbi cura di te”.L’ospedale ha le dimensione di una vecchia caserma dimessa.Entro e leggo: cardiologia, UTIC, piano quarto.Lo vedo. Ha una maschera che lo aiuta a respirare. E’ immobile.E’ dimagrito, scavato come Eduardo De Filippo. Gli sono vicino vicino, senza un fiato e con una lacrima d’addio. La stazione della Superba. Salgo sul treno barcollante di troppo vino. Mi siedo. Mi alzo, cerco un cesso per vomitare: vomito. E vomito il rosso del vino, lo schifo, i miei rifiuti.Mi siedo. Non so chi ci sia nel mio scompartimento di seconda classe. Non saluto. Non sento nessuna fitta al centro del petto, ma avverto uno svuotamento interiore, come risucchiato, assorbito, deprivato di energia e con il fiato corto.Via via i miei organi interni, in poco tempo, si ammaleranno, privati di vita ed io non resisterò e non opporrò resistenza. Scrolleranno il mio sorriso stampato inorriditi. Mi ricordavo di me bambino correre sulla spiaggia d’inverno. Rivedevo mio fratello raccogliere un passero spaurito. Com’era giovane allora, giovane e con gli occhi chiari.“Dammi la mano fratello mio, ti supplico e andiamo via insieme.”Alberto Carli