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mari e castelli


  Certi mari, no. Certi mari non li attraversammo. Nella mutevole Rosa dei Venti  e seguendo la propria mappa momento per momento, ciascuno seguì la propria rotta, ma certi mari, no, certi mari non li attraversammo. Forse fu per la troppa zavorra, o perchè non immaginavamo nessun bottino ad attenderci o forse per la paura dell'ignoto ma non salpammo le ancore e restammo in quell'oscuro ma sicuro approdo. La notte, dall'alto delle decrepite mura del Castello, sentivamo certi mari ruggire ed assalire il promontorio quasi volessero sgretolarlo e sbriciolarlo nei fondali. Le onde si arrampicavano fino a lambire l'orlo del cielo nero e basso e si frangevano contro le pietre millenarie. Nel Castello ciascuno aveva seppellito il proprio passato, la sola cosa di cui fosse padrone in eterno, fino alla fine dei giorni che ciascuno credeva infinitamente perpetui. C'era chi se lo conservava per intero, il passato, e chi invece soltanto una parte, dopo varie cernite indecise, spigolature attente e devianze ad occhi chiusi per evitare certi dolori fiochi e sotterranei di cui quasi mai si vuol fare la conoscenza. A quei tempi, nel nostro quadrante, il mare aveva cicli e colori sicuri come sicuro era il levarsi del sole e l'avvicendarsi delle stagioni, come sicuro era il Dio che regolava le correnti ed i venti. I mari gialli e cromati rilucevano e brillavano come mari di grano maturo: a mezzogiorno tutta il promontorio splendeva in faccia al sole, accecante, ed anche la sua faccia nascosta era d’oro puro. Noi non potevamo che chiudere gli occhi, sorridendo segretamente della nostra rinunzia, nell'attesa di una decisione che non arrivava mai. D'altra parte credevamo ancora di essere eterni e che il ciclo dei mari non si sarebbe mai interrotto. Ci sentivamo sicuri, allora, anche se qualcuno - questo è certo - sentiva sempre un gran rimpianto l'indomani.I mari gialli e cromati ormai sono scomparsi o sono diventati rivoletti di luce fantasma e per vederli bisogno sporgersi e guardare nel viottolo sotto la finestra quando il sole s'affaccia dopo la tempesta. Il peso delle nostre zavorre ormai ci impedisce anche di attraversare il  Canale e viviamo come prigionieri  e guardie di noi stessi nel Castello in cima al promontorio. Di lassù scrutiamo l'orizzonte nel nostro quadrante di riferimento. Qualche volta, ci capita di sentire certe voci trascinate dal vento, mescolate al rombare delle onde e non sapremmo dire se sono voci angosciate o trionfanti, o tutt'e due. In verità nessuno vuole più fare le vedette nel turno di notte. Si sussurra di fantasmi dolenti che percorrono la riva della scogliera e chi si avventurò per identificarli ha smesso da tempo di parlare. Li guardammo bene in faccia, ci narrarono, ed i nostri cuori divennero di granito. Come le rocce del promontorio, come le mura del Castello. Come le nostre ossa.