Arrancame la vida!

ricordi di scuola


Questa mattina ho incrociato per caso la mia vecchia insegnante di lettere, ai tempi del liceo, esattamente trent'anni fa. Allora avrà avuto sì e no cinquant'anni. Oggi è una vecchia mezza sciancata che, a vederla, non ha perso la sua tracotanza di donnetta ignorante e reazionaria. Non sempre gli anni servono a migliorare, se non si fa alcun percorso individuale. A dire il vero credevo fosse già morta da un pezzo: peccato. Mi sembra ieri, eppure son passati trent'anni in un secondo. Se penso alla mia generazione, ogni volta ho un tuffo al cuore. La scuola, gli insegnanti, il rigore fine a se stesso, la disciplina ad ogni costo, la poca cultura ( la cultura di pochi), il sistema che ci schiacciava come un macigno e frustrava ogni minimo tentativo di volo. La scuola di oggi è un colabrodo, certo, ma io credo che anche quella di allora non fosse poi tanto meglio. In un paese ipocrita, quello che contava era la forma, non la sostanza. Ho dei ricordi orribili dei miei anni scolastici. A distanza di trent'anni ho cancellato tutto: nozioni, fatti e avvenimenti, interi volumi, lingue morte e dati senza importanza alcuna. Solo la storia mi è rimasta. E la filosofia, per averla scelta come corso di studi all'Università. Se penso ai miei insegnanti di allora mi stupisco, oggi, di come la maggior parte di noi potesse provare tanta ossequiosa reverenza, tanto rispetto, tanta soggezzione muta di fronte a quelle mezze calzette senza nerbo nè spina dorsale. La peggiore era l'insegnante di lettere, appunto, la materia che amavo di più. Era una donnetta scialba, gretta, meschina, piccola nei suoi moti e nei suoi desideri che rendeva tutto appannato e triste al suo passaggio. Non sono mai stato uno studente docile. Ero bravo, sì, in alcune materie addirittura eccellente, ma non ero un ragazzo facile da educare e impossibile da sottomettere. Facevo parte del gruppetto dei cosiddetti agitatori, coloro che boicottavano ed organizzavano scioperi e manifestazioni ( chi di quelli della mia generazione non ricorda i cortei dove si urlava lo slogan "Almirante boia"?). Scrivevo benino, ma non ero nelle grazie dell'insegnante per via del mio atteggiamento sovversivo, come lo definiva lei. Ero circondato quasi per intero da compagni provenienti da famiglie facoltose e della classe media ( quando la classe media era davvero tale): allora i figli degli operai facevano i periti, al massimo potevano asprirare a diventare geometri, nulla più. Mio padre stesso era contrariato dal fatto che io mi fossi iscritto al Liceo Classico, che, nell'idea comune dei quri  tempi, non era un vero diploma e non avrebbe offerto sbocchi lavorativi immediati. In classe con me c'era Gianna, oggi giornalista free lance per Il Manifesto; noi due si faceva comunella e si condividevano collettivi e riunioni fiume alla FGCI, la Federazione Giovanile Comunista. Ci sembrava di avere il mondo in mano allora, e avevamo la certezza assoluta che avremmo potuto cambiarlo. Pie illusioni di adolescenti con la testa sempre fra le nuvole. L'insegnante di lettere mi odiò fin da subito. Il mio compagno di banco era un ragazzo siciliano, ( allora non avevamo i marocchini e gli immigrati del sud non erano molto popolari per certuni ) un ragazzo dolce, studioso e timido che però, talvolta, usava qualche espressione dialettale della sua terra, la qual cosa irritava inevitabilmente la professoressa che gli consegnava il tema dicendogli: " sei intelligente, ma non conosci l'italiano". Una volta che ero più incazzato del solito le risposi. " perchè non glielo insegna lei, visto che è qui per questo?" Da allora fu guerra. Ma la cosa che non le perdono è il modo in cui trattava mia madre alle riunioni con i genitori. Mia madre, come tutte le donne semplici di quella generazione, aveva un rispetto quasi servile e del tutto immotivato per il corpo insegnante: lei, che non aveva studiato, vedeva quelle marionette ( perchè molti di loro erano tali) come esseri superiori e quindi inavvicinabili. Prima delle riunioni trimestrali andava dalla parrucchiera per farsi i capelli e tirava fuori il vestito buono dall'armadio che sapeva di naftalina. Nelle sue scarpe lise e in quel vestito che non sapeva portare era goffa e imbarazzata come un'adolescente cresciuta troppo in fretta. Una volta le uscì di bocca, senza volere, che l'insegnante di lettere le aveva detto che ero bravino per essere cresciuto in una famiglia così umile. Non riuscendo a sconfiggere me, se la prendeva con mia madre. In vista delle riunione successiva feci un casino tale che chiesi e ottenni dal preside il permesso di essere presente all'incontro, visto che si parlava di me. Me ne stavo vicino a mia madre, quasi appiccicato a lei , come per difenderla, senza dire nulla e fissavo con i miei occhi neri la professoressa, pronto a balzarle al collo appena avesse osato toccare mia madre, la nostra povertà evidente e le nostre modestissime origini. Avevo 17 anni. Sentivo il suo odio, ma ero sicuro che lei potesse toccare il mio che era altrettanto potente, se non di più. Sapevo che la irritavano i miei capelli incolti, la mia faccia scura, i miei occhi di brace, sapevo che non c'era la più piccola cosa in me che le piacesse, ma sapevo altrettanto bene che io ero giovane e intelligente e sveglio. Sapevo altrettanto bene che lei era gretta, meschina e sola e che, alla fine della lezioni ( le stesse che ripeteva da trent'anni con voce fiacca e monocorde) sarebbe tornata in una casa dove nessuno la stava aspettando, nell'attesa fremente e disperata che un qualunque San Giorgio affondasse la propria lancia nella sua vagina rinsecchita e chiusa, legata lei a stereotipi usati e triti, ridicoli e meschini, che ne facevano una donniciola da due soldi. Ricordo anche un professore del ginnasio, magro e allampanato, buono e colto, che amava noi e il suo mestiere. Ricordo Lucia, l'insegnante di latino, morta di cancro a nemmeno 40 anni, che prima di laurearsi aveva lavorato alla Fiat; una compagna leale, garbata e dolcissima. Si fece seppellire nel suo abito da sposa perchè, diceva, suo marito era la cosa più bella che le fosse capitata nella vita e affinchè lui non avesse avuto il rimorso e la pena di doversi disfare del vestito. Ma queste sono eccezioni. Ricordo un mucchio di idiozie e di cose inutili. Rìcordo che ci venivano imparitite nozioni senza offrirci spiegazione alcuna, ricordo che nulla veniva sviscerato nel profondo e che tutto si limitava alla superficie. Ricordo perfettamente che spero, promitto e iuro reggono l'infinito futuro, che accipites e vates fanno eccezione alla regola dell'ablativo, ricordo tutti gli horribile visu e gli horribile dictu ecc ecc. Chissà come mai sono proprio queste stupidaggini a rimanare impresse in maniera indelebile nella memoria, mentre il resto se ne va con gli anni? Ricordo una cretina in classe con me il cui padre insegnava qualcosa all'università e che prendeva sempre il massimo dei voti nelle ricerche altrettanto cretine ed inutili che regolarmente ci assegnavano. Ricordo che una volta dissi all'insegnante che lodava la capacità della compagna che per lei era molto più facile giacchè non doveva fare altro che chiedere al padre e scopiazzare. Fu scandolo. Ricordo una mia ricerca su Cuba, mentre tutti gli altri, tranne la mia amica Gianna, ovvio, scelsero paesi come gli Stati Uniti, l'Inghilterra, la Francia. Marina S. scelse persino le Hawaii, riscuotendo un notevole successo. Forse era un'anticipazione delle veline moderne, Marina S., chi lo può dire? Oggi guardo i quaderni di mia nipote che fa la prima elementare e apprendo con sollievo che la a, finalmente, è la a di amore e non di aiuola, che la r è la r di rosa e non di rinoceronte, che la s è la s di sole e non di soqquadro e che nessuno le ficca in testa cazzate indelebili come Guglielmo e Gugliemina, che sono gli unici due nomi propri a volere la gl, che la mamma è la regina della casa e che il papà è tanto impegnato nel lavoro, ma  che lo fa per costruirci un futuro sicuro e anche se non è mai presente ti ama tanto. " Io ho un padre spagnolo, lo sai? ha detto Lia alla maestra il primo giorno di scuola." "solo che non vive mica con noi. La mamma non lo ha voluto come marito, ma io sono nata lo stesso!" le ha detto. E la maestra ha risposto " E io sono felice che tu ci sia!". La scuola dei miei tempi, al confronto, sembra Medio Evo!Foto: Henri Cartier-Bressonhttp://www.youtube.com/watch?v=__cZnX1PV3kDopo, molti anni dopo, avrei incontrato Davide. Chissà che cosa direbbe la mia insegnante di lettere se sapesse che vivo con uomo e che lo amo da morire?