Arrancame la vida!

Post N° 309


E' strano come questi giorni scorrano così veloci. Strano e preoccupante. Sono stato a trovare mio padre al cimitero. Non ci vado mai, fose l'ho già detto. Ecco: talvolta mi capita di non ricordare se un certa cosa l'ho già detta o meno. Sto diventando senile. Sono stato al cimitero, dicevo. Non provo nulla davanti alla tomba di mio padre. So che dentro quel loculo c'è il suo corpo, ormai decomposto dal tempo e dalla vita, so che là dentro c'è una parte di me stesso che è morta per sempre, so che non lo vedrò mai più, e tuttavia non provo nulla davanti a quella lapide. A volte piango al suo ricordo. Piango soprattutto per  rabbia e per nostalgia. C'è qualcosa di tremendamente ingiusto nella sofferenza, che, l'ho già detto, non redime, nè rende migliori, nè ci avvicina a nulla, se non al male e al dolore gratuiti. Piango di rabbia quando penso ad un uomo ( e solo il caso ha voluto che fosse mio padre) che ha passato la vita a spezzarsi la schiena di lavoro, un uomo povero e ignorante, che tuttavia ha cercato di fare del suo meglio, che è morto divorato da un male incurabile che, prima di ogni altra cosa, gli ha cancellato il cervello e la memoria. Penso molto anche al mio cane, talvolta. Alla nostra piccola Lea, morta fra le mie braccia dopo 18 anni di vita con me. E' stata una buona compagna la mia Lea. Mi ha sopportato per tanti anni. Mi ha sopportato nel mio periodo buio con pazienza, costanza e volontà. Mi guardava, la mia Lea, quando passavo le notti sul pavimento di casa, ubriaco e dolorante, le persiane chiuse, il bicchiere sempre pieno, il telefono staccato.. Mi guardava con i suoi occhi languidi, mi leccava il viso e guaiva come per spronarmi. Voleva aiutarmi la mia Lea. Le ho fatto del male, talvolta. Ho deluso le sue aspettative: sono stato un pessimo amico. Qual'è quell'uomo che ha bisogno d'aiuto niente meno che da un cane? Li penso tutti e due in questi giorni. So che non li vedrò mai più. Ogni tanto mi divora la nostalgia. Non credo nella vita eterna e non la desidero affatto. Dovremmo capire, una volta per tutte, finalmente, che la vita, l'unica che abbiamo, l'unica che il caso ci abbia concesso, è qui, su questa terra maledetta e come tale è qui che siamo chiamati ad impegnarci, sul campo di questa battaglia infinita e dolorosa. Non sono pessimista: vorrei soltanto che nessuno delegasse le proprie responsabilità e che ognuno fosse consapevole di quello che realmente è in relazione a se stesso e agli altri. Consapevolezza, dunque. Non penso che i credenti, per altro, provino meno nostalgia o soffrano meno in relazione alla morte. Certo, sono retti dalla fede, che forse aiuta. Per me e per quelli che vivono come me la fede in un qualunque dio non è concepibile. A volte me ne dispiace. Mi piacerebbe credere in un ipotetico paradiso, in un prossimo incontro con mio padre, con la mia Lea e con tutte le persone che ho amato, ma non riesco a mentire a me stesso fino a questo punto. So che tutto finirà quando me ne andrò. Per questo ho deciso di lottare fino alla morte per la libertà e per la giustizia. Col mio lavoro, i miei penseri e le mie azioni. Per costruire qualcosa qui, su questa terra. Non ho fede e non penso che mio padre mi aiuti, mi segua o mi veda dall'aldilà, ma credo nel suo ricordo e nel suo insegnamento. Questa è la mia unica fede.Esco dal cancello del cimitero e vedo il tunisino che abita vicino a noi. Lui ha sempre una parola gentile per me e per mia madre. Mi dice che è molto contento perchè sta lavorando per una famiglia. Sta imbiancando la loro casa. E' felice perchè gli daranno 300 euro, che per lui sono un sacco di soldi. Non gli dico che un imbianchino qualunque chiederebbe almeno dieci volte tanto. Maledico fra me e me la famiglia che lo sta sfruttando e gli prorpongo di venire a cena da noi questa sera, che mia madre cucinerà i ceci alla veneta, che anche lui potrà mangiarli, che i ceci sono halal e che non commeterà alcun peccato nei confronti del suo dio. Mi guarda con gratitudine e sorride a mia madre, stretta nel suo cappottino grigio d'autunno.Davide, Davide, dove sei? Presto sarò a casa, per fortuna. Tu mi abbraccerai come sempre, tenero e pieno d'amore. Stanotte ti ho sentito che piangevi Davide. Ti ho sentito bene. Eri tu che piangevi. Ti ho chiesto il perchè di quel pianto. Tu mi hai guardato e mi hai detto: " Nulla. Non è nulla Alex. Solo la vita. Sono felice e fortunato Alex. Ma c'è la vita là fuori, amore mio." So di cosa stavi parlando: lo stesso tormento che divora le mie notti senza sonno da secoli, da sempre, da quando sono su questo pianeta. Un dolore sordo e continuo che non so nemmeno io da dove abbia inzio. Ed è spaventoso che nella mia vita i dolori più gravi e profondi non compaiano di colpo, per magari svanire poco dopo -chi avrà inventato questa stupidaggine, neanche consolatoria, secondo cui il tempo curerebbe ogni male?- ma che si facciano aspettare molto, molto, tanto che non posso a volte precisare in che momento siano incominciati, e avanzino poi imprecisi, ovattati, lenti, per poi andar crescendo lentamente e invadendomi senza che io venga a mancare o svenga mai. Ti stringo nel tuo sonno e ti dico che ti amo. Che ti amo. E con queste parole esorcizzo la morte. E prego tutti i miei dei pagani, il caso e la sorte, che mi concedano ancora tanti anni con te. Solo questo. Almeno questo.Questo tempo che scorre inesorabile, dicevo.http://www.youtube.com/watch?v=7CQZiYrSG9o&mode=related&search=Skin- Lost