Tutto il tempo davanti a me: senza limiti, senza compromessi, senza orari, senza nessuno che mi faccia fretta a nessuna ora, da nessuna parte. Il bello del mio lavoro è poter disporre talvolta di momenti morti come questo, dove tutto scorre liquido, morbido, come al rallentatore. M'immergo, per passare la mattinata, nei libri che mi fanno compagnia in questi giorni placidi, seduto al tavolino di sempre o buttato sul letto, le tende tirate contro la calura ormai imminente, la luce mordiba che si diffonde in queste stanze che sono, chissà perchè, quasi rosa, anche se manca ancora tanto al tramonto, fra le pareti di questa casa antica dove abito da quasi vent'anni, vicino al caos della città eppure così lontano dal resto del mondo, così come mi sento spesso fra le quattro pareti di questo appartamento del centro storico di una città che non ho mai sentito veramente mia , ma nella quale, bene o male, ho trascorso la quasi totalità della mia esistenza. La stanchezza dei giorni passati si sta sciogliendo e avverto ora quella sensibilità estrema e deliziosa della convalescenza, quella sensibilità acuta delle attese che precedono le metamorfosi, anche se è probabile che io stia fantasticando, come al solito, e nulla di chè dovrà succedere, tranne questa pigrizia lenta che mi assale e che assaporo come una specie di premio finale. Chiusa la porta, chiuso il telefono, spenta la radio, chiusa a chiave la memoria dove giaciono i ricordi e gli affanni. Ci provo. Ho letto da qualche parte che il segreto è insistere. Non so se sia vero, ma voglio provarci. Per qualche giorno almeno. Perchè siamo a giugno, ed è un mese soffocante e strano in cui molte cose sembrano tornarmi legate a ricordi di esami, al ricordo dello sbocciare incipiente dei fiori, di compleanni passati e lontani, del sapore delle fragole ( anche se non si trovano quasi più fragole in questa città), di altre partenze ed altri ritorni. E la cosa certa è che, per una ragione o per l'altra o per tutte insieme, questo giugno di oggi s'intreccia misteriosamente ad altri mesi di giungo ormai lontani, ed è come se tutti questi anni ( quasi trenta ), presunti densi, presunti fruttuosi, questi quasi trent'anni che abbracciano ciò che avrebbe dovuto essere la pienezza della mia vita adulta, con tutto ciò che durante essi ho vissuto, ho vissuto e ho fatto, non siano all'improvviso nient'altro che una parentesi banale, una parentesi, che ora, all'improvviso, potrebbe essere cancellata magicamente in qualsiasi momento, un sogno dal quale ora potrei svegliarmi, restituito alla realtà unica, senza sogno nè parentesi, della mia adolescenza e della mia infanzia. E allora mi sprofondo fra i morbidi cuscini di seta indiana del salotto, ozio fra i libri della biblioteca, mi tuffo fra le lezuola del grande letto che da dieci anni divido con Davide. Cerco di ascoltare il mio corpo, assopisco i ricordi tristi e mi godo quest' assenza da impegni, da corse e da frenesie di ogni tipo. Ogni tanto mi si affacciano alla memoria i ricordi di un altro giugno trascorso in una solitudine diversa, pericolosa e subdola. Il telefono squillava in continuazione, ma io non mi alzavo a rispondere. Ero sicuro di non essere solo al mondo, che ci fossero persone che mi volevano bene o che avrebbero potuto volermi bene, ma ero determinato a non lasciar entrare l'amore, a non faciltare nessun gesto d'amore. Se qualcuno voleva arrivare al mio cuore, allora doveva trovare da sè un modo per farlo; io non avrei mosso un dito per invitarlo. E ancora mi chiedo, senza ottenere risposta, quale fede stessi professando disteso in quel sacrario, nel buio della mia fredda solitudine, con il telefono che squillava inutilmente sul comodino. Da allora di cose ne sono successe, così tante belle cose negli ultimi anni che ora mi sento come un pioniere che ha attraversato un continente, scalato una montagna o visto finalmente l'oceano. Eppure sotto sotto provo disagio. Non sono abituato a ricevere senza un motivo. Se la mia attuale buona sorte è una ricompensa, quando me la sarei guadagnata? O forse la vita ricompensa non per ciò che si fa, ma per ciò che si è? Se così fosse, posso dire solo di aver buttato via oltre dieci anni della mia vita, quelli che ho sprecato affidandomi solo all'alcol, alla solitudine, ai tranquillanti. Negli ultimi anni ho vinto qualche battaglia contro l'autodistruzione e di questo sono contento. Faccio molta fatica a non pensare ai miei amici lontani; tengo il televisore rigorosamente spento. Vorrei tanto tornare bambino, assaporare l'ingenuità anche per pochi minuti, essere ancora in grado di non vedere il male e provare gioia per tutto, anche per la sofferenza. Ma è giugno e oggi mi coglie questa pigrizia strana, molle, questa flemma senza senso, e l'estate mi chiama con i suoi odori notturni che entrano dal finestrino dell'auto quando si fa sera, e l'aria frizzantina odora di tiglio e di gelsomino, odora di legna bruciata nei campi, odora d'erba appena falciata, umida e verde, odora di salsedine ( perfino qui in città, in questa città senza primavera che non ho mai sentito mia ) che qualche volta giunge fino a noi per ricordarci che il mare eisiste e ci aspetta per farci fremere i sensi e il cervello. C'è una strana luce nel cielo. E' ad un tempo scuro e brillante, come se una candela enorme lo illuminasse e la luce trapelasse filtrando dalle poche nuvole che sembra abbiano il desiderio di rompersi, sfrangiandosi in milioni di piccolissime particelle di colore. Ho sentito dire che al mondo esistono dei luoghi magici, dove pensieri e desideri si realizzano. Questo potrebbe essere uno di quei posti, proprio in questo istante, la mia stanza, nella quale filtra una luce innaturale da chissà dove. Una stanza che sta diventando rosa poco a poco, dicevo, nonostante sia soltanto pomeriggio e il tramonto sia ancora lontano.http://www.youtube.com/watch?v=qqtRdSUsg3Y&mode=related&search=
Post N° 497
Tutto il tempo davanti a me: senza limiti, senza compromessi, senza orari, senza nessuno che mi faccia fretta a nessuna ora, da nessuna parte. Il bello del mio lavoro è poter disporre talvolta di momenti morti come questo, dove tutto scorre liquido, morbido, come al rallentatore. M'immergo, per passare la mattinata, nei libri che mi fanno compagnia in questi giorni placidi, seduto al tavolino di sempre o buttato sul letto, le tende tirate contro la calura ormai imminente, la luce mordiba che si diffonde in queste stanze che sono, chissà perchè, quasi rosa, anche se manca ancora tanto al tramonto, fra le pareti di questa casa antica dove abito da quasi vent'anni, vicino al caos della città eppure così lontano dal resto del mondo, così come mi sento spesso fra le quattro pareti di questo appartamento del centro storico di una città che non ho mai sentito veramente mia , ma nella quale, bene o male, ho trascorso la quasi totalità della mia esistenza. La stanchezza dei giorni passati si sta sciogliendo e avverto ora quella sensibilità estrema e deliziosa della convalescenza, quella sensibilità acuta delle attese che precedono le metamorfosi, anche se è probabile che io stia fantasticando, come al solito, e nulla di chè dovrà succedere, tranne questa pigrizia lenta che mi assale e che assaporo come una specie di premio finale. Chiusa la porta, chiuso il telefono, spenta la radio, chiusa a chiave la memoria dove giaciono i ricordi e gli affanni. Ci provo. Ho letto da qualche parte che il segreto è insistere. Non so se sia vero, ma voglio provarci. Per qualche giorno almeno. Perchè siamo a giugno, ed è un mese soffocante e strano in cui molte cose sembrano tornarmi legate a ricordi di esami, al ricordo dello sbocciare incipiente dei fiori, di compleanni passati e lontani, del sapore delle fragole ( anche se non si trovano quasi più fragole in questa città), di altre partenze ed altri ritorni. E la cosa certa è che, per una ragione o per l'altra o per tutte insieme, questo giugno di oggi s'intreccia misteriosamente ad altri mesi di giungo ormai lontani, ed è come se tutti questi anni ( quasi trenta ), presunti densi, presunti fruttuosi, questi quasi trent'anni che abbracciano ciò che avrebbe dovuto essere la pienezza della mia vita adulta, con tutto ciò che durante essi ho vissuto, ho vissuto e ho fatto, non siano all'improvviso nient'altro che una parentesi banale, una parentesi, che ora, all'improvviso, potrebbe essere cancellata magicamente in qualsiasi momento, un sogno dal quale ora potrei svegliarmi, restituito alla realtà unica, senza sogno nè parentesi, della mia adolescenza e della mia infanzia. E allora mi sprofondo fra i morbidi cuscini di seta indiana del salotto, ozio fra i libri della biblioteca, mi tuffo fra le lezuola del grande letto che da dieci anni divido con Davide. Cerco di ascoltare il mio corpo, assopisco i ricordi tristi e mi godo quest' assenza da impegni, da corse e da frenesie di ogni tipo. Ogni tanto mi si affacciano alla memoria i ricordi di un altro giugno trascorso in una solitudine diversa, pericolosa e subdola. Il telefono squillava in continuazione, ma io non mi alzavo a rispondere. Ero sicuro di non essere solo al mondo, che ci fossero persone che mi volevano bene o che avrebbero potuto volermi bene, ma ero determinato a non lasciar entrare l'amore, a non faciltare nessun gesto d'amore. Se qualcuno voleva arrivare al mio cuore, allora doveva trovare da sè un modo per farlo; io non avrei mosso un dito per invitarlo. E ancora mi chiedo, senza ottenere risposta, quale fede stessi professando disteso in quel sacrario, nel buio della mia fredda solitudine, con il telefono che squillava inutilmente sul comodino. Da allora di cose ne sono successe, così tante belle cose negli ultimi anni che ora mi sento come un pioniere che ha attraversato un continente, scalato una montagna o visto finalmente l'oceano. Eppure sotto sotto provo disagio. Non sono abituato a ricevere senza un motivo. Se la mia attuale buona sorte è una ricompensa, quando me la sarei guadagnata? O forse la vita ricompensa non per ciò che si fa, ma per ciò che si è? Se così fosse, posso dire solo di aver buttato via oltre dieci anni della mia vita, quelli che ho sprecato affidandomi solo all'alcol, alla solitudine, ai tranquillanti. Negli ultimi anni ho vinto qualche battaglia contro l'autodistruzione e di questo sono contento. Faccio molta fatica a non pensare ai miei amici lontani; tengo il televisore rigorosamente spento. Vorrei tanto tornare bambino, assaporare l'ingenuità anche per pochi minuti, essere ancora in grado di non vedere il male e provare gioia per tutto, anche per la sofferenza. Ma è giugno e oggi mi coglie questa pigrizia strana, molle, questa flemma senza senso, e l'estate mi chiama con i suoi odori notturni che entrano dal finestrino dell'auto quando si fa sera, e l'aria frizzantina odora di tiglio e di gelsomino, odora di legna bruciata nei campi, odora d'erba appena falciata, umida e verde, odora di salsedine ( perfino qui in città, in questa città senza primavera che non ho mai sentito mia ) che qualche volta giunge fino a noi per ricordarci che il mare eisiste e ci aspetta per farci fremere i sensi e il cervello. C'è una strana luce nel cielo. E' ad un tempo scuro e brillante, come se una candela enorme lo illuminasse e la luce trapelasse filtrando dalle poche nuvole che sembra abbiano il desiderio di rompersi, sfrangiandosi in milioni di piccolissime particelle di colore. Ho sentito dire che al mondo esistono dei luoghi magici, dove pensieri e desideri si realizzano. Questo potrebbe essere uno di quei posti, proprio in questo istante, la mia stanza, nella quale filtra una luce innaturale da chissà dove. Una stanza che sta diventando rosa poco a poco, dicevo, nonostante sia soltanto pomeriggio e il tramonto sia ancora lontano.http://www.youtube.com/watch?v=qqtRdSUsg3Y&mode=related&search=