Arrancame la vida!

Le vacanze


Quand’ero piccolo le vacanze erano un lusso che non potevamo permetterci. Durante le estati in Veneto il nostro mare era il Sile, appena fuori Treviso, al massimo una gita a Chioggia, durante le afose domeniche di agosto, con la pescivendola di Ponte Dante e i cuginetti, di nascosto ai miei genitori. Più  avanti nel tempo, quando nonna  Lalla, rimasta vedova, si trasferì a Torino,  mi mandarono per un paio di estati con lei  a Brusson, un grazioso paesino in Val d’Aosta, nella Casa del Popolo, la casa-vacanza che il Partito Comunista offriva per una cifra irrisoria ai suoi iscritti, negli anni sessanta. La nostra camera era carina, il cibo squisito e nonna Lalla dolcissima, ma a me non piaceva la montagna. Io volevo il mare. Mi mettevano malinconia le cime invalicabili, perfino un po’ di angoscia. Io dovevo vedere al di là delle cime, vedere l’orizzonte e avere l’acqua. Non quella dei torrenti e dei ruscelli, ma quella del mare, l’acqua salata in eterno movimento, la massa d’acqua con le sue onde e i sui riflussi, il sole e le spiagge riarse, il vento che batteva la sabbia e le rocce. La montagna era triste per me. Ancora oggi non mi piace la montagna. Preferisco il mare. La prima vera vacanza che feci fu l’anno che presi la maturità. Partimmo in cinque, Paolo, Giovanni, Andrea, la Silvia ed io. Avevamo pochissimi soldi in tasca allora. Partimmo il primo di agosto con un pulmino Fiat 900 che ci aveva prestato il padre di Andrea, meccanico di una piccola officina nella grande periferia torinese,alla volta del Sud, con l’intenzione di arrivare fino in Calabria e in Sicilia. Avevamo una vecchia cartina, cinque sacchi a pelo,  due canadesi, molto entusiasmo e sei cassette di birra nel bagagliaio, qualche vestito, un cambio di mutande e molta iniziativa. La Silvia ,da sempre mani d’oro, aveva confezionato delle tendine parasole di cotone a fiori che aveva appeso con  delle  bacchette sistemate sopra i finestrini, come se fossimo a Woodstock, e in più aveva colorato ( con sommo orrore del padre di Andrea che l’aveva scongiurata dal desistere nel suo proposito, ma che poi si era rivelato comprensivo e paziente) i parafanghi di un rosa schocking vistoso e volgarotto, che facevano di noi maschietti quattro apprendiste Priscille Regine del deserto e della Silvia una  figa assertiva, pronta all’inesorabile rimorchio. Ce la prendemmo comoda e facemmo la strada a tappe, sostando di più laddove la fauna era migliore e  promettente e il paesaggio più bello. La prima sosta fu in Toscana in un campeggio vicino a San Vincenzo dove facemmo amicizia con una strana coppia, madre e figlia, che ci invitavano a cena tutte le sere sulla veranda della loro tenda a mangiare insalate giganti e pesce freschissimo. Erano due creature strane e affascinanti, dai capelli color del lino e gli occhi da gatto. La madre andava in giro per le spiagge a vendere parei e gonnellini che confezionava da sola nei mesi invernali a Roma, mentre la figlia trascorreva la maggior parte del tempo in acqua con me e con Paolo a parlare della vita e dell’amore., con una voce profonda e velata di malinconia. Era soave e leggera come una piuma, bella e gentile. Finalmente arrivammo a sud. Ci fermammo dalle parti di Diamante, nel primo tratto del tirreno calabro, superbo, desolato e selvatico. Il campeggio era bello, il mare di un blu profondissimo, il cielo indaco. Noi eravamo giovani, belli e sfacciati. Trascorremmo dei giorni frenetici e appassionati. Il campo era sistemato a  terrazze e sotto di noi c’era la tenda di un gruppo di ragazzi tedeschi che, per via del gran caldo, dormivano fuori dalla loro tenda, direttamente sui materassini da mare. Lo spettacolo che si offriva ai nostri occhi al mattino  era di impareggiabile bellezza:  quei ragazzoni grossi come armadi, dai capelli chiari, dalle spalle grandi e dalle lunghe gambe giacevano addormentati , morbidi e inconsapevoli, con il sesso turgido per via dell’alzabandiera mattutino nei calzoncini aderentissimi e bianchi! Un invito a nozze per qualsiasi finocchia  di un qualche valore e con qualche velleità. “ E se fossero etero?” dissi una mattina alla Silvia che mi spronava all’attacco “ Non vorrei prendermi un cazzotto in piena faccia ancor prima che incominci la giornata.” Ricordo ancora le sue risate “ Alex, a una pompa ben fatta non si dice mai di no, dovresti saperlo! “ Così erano quegli anni: trasgressivi, ironici, senza  tetto né legge. Gli anni successivi furono quelli della Spagna, isola di Ibizia, dell’Andalusia e poi di Mykonos, tirocinio obbligato per ogni finocchia  decisa a prendersi il suo bravo master in ornitologia e dintorni. Silvia sempre appreso a noi quattro, perché, secondo la sua esperienza, una donna vera rimorchia molto di più in un posto popolato prevalentemente da omosessuali: data la minor concorrenza, la selvaggina si caccia senza doversi intrufolare in foreste e paludi: basta il richiamo giusto e arriva da sé. D’inverno davo ripetizioni di latino a qualche somarello della ricca borghesia torinese e d’estate spendevo tutto il ricavato  per il divertimento. Noi non andavamo in discoteca però. Dopo tutto eravamo dei giovani impegnati. Pertanto  si frequentavano le spiagge gay della zona ( il Paradise di Mykons, ad esempio ), si chiacchierava del più e del meno, di musica e di letteratura, di cinema e di teatro, e la sera si finiva in birreria prima e a scopare sulla scogliera poi. Regolare come il sole che sorgeva ogni mattina. Ci fu poi l’anno dell’Argentina, dove vivevano gli zii di Giovanni. Prendemmo un appartamento in una zona popolare di Buenos Aires. Io raccattavo qualcosa facendo la guida turistica abusiva per ricchi turisti americani  e, se mi capitava, qualche foto ricordo mentre la Silvia esercitava l’arte magica del massaggio terapeutico a domicilio, riscuotendo un notevole successo. Arrivammo fino alla Terra del fuoco in autostop, passando attraverso la Patagonia, splendida e selvaggia. Non dimenticherò mai quel viaggio, campassi mille anni.Da qualche anno trascorriamo un breve periodo di vacanza in Grecia, a casa di Alonso, su di un isolotto arido, battuto dal vento e riarso dal sole, davanti ad un mare che non ha eguali. Ci sono pochissime persone, un unico paesello, qualche negozio senza pretese e chilometri di spiaggia deserta. Passo intere giornate a dormire al sole. Non me importa un fico dell’abbronzatura. Mi piace il sole sulla pelle, il suo calore. Ho la pelle scura di mio per cui sono esente da scottature. Dormo, passeggio e leggo montagne di cose. Vivo in pratica l’intera vacanza in costume da bagno sotto il sole e nell’acqua. La casa è vasta e praticamente vuota, è essenziale. E’ fresca e piena di suoni, piena di vento. Ci stiamo bene. I ritmi sono lenti, le notti lunghe e le conversazioni riempiono il cuore.Ogni tanto mi soffermo a guardare le foto che facemmo in Spagna, tanti anni fa. Vedo questo ragazzo magro, dalla chioma nera e selvaggia, che sorride all’obiettivo e a volte stento a riconoscermi. Eppure ero io quel ragazzo, milioni di anni fa. In un'altro tempo. Arenata la gioventù in un punto lontano. Irrecuperabile il relitto. Bisogna lasciarla andare, come la vita che passa.http://www.youtube.com/watch?v=o2HDYHQ2PGkGiuni Russo