Arrancame la vida!

Post N° 512


Era da tanto tempo che volevo rivedere Lorenzo, il nostro Lorain, la francesina. Oggi finalmente ho trovato il coraggio di farlo e ci sono andato. Paolo è venuto con me. Abbiamo guidato l’auto fino all’ospizio in questo paesino fuori Torino. Un paese brutto e anonimo, uno di quei posti orribili appena fuori città, uno di quei posti che non capisci dove finisca la città e  dove incominci il paese. Un posto triste, fatto di condomini anni ’60, di fabbriche e di strade diritte, aride e senza fine, alle porte di questa città senza primavera. Gli abbiamo preso dei fiori a Lorenzo. Dei fiori rossi come le scarpe delle notti  quando batteva al Valentino, rosse come il suo paracqua di raso rosso “ C’è Lorain! Guardate, è laggiù!” Perché credo di non essermi reso conto neanche quest’anno dell’arrivo della primavera  e di aver falsamente spiato invano i rami nudi, per trascurare il momento giusto, quell’istante brevissimo e fuggente in cui germogliano le foglie, puntini minuscoli, tenere gemme contro il cielo azzurro. E l’estate, come tutte le altre estati nella mia città, è scoppiata improvvisa e repentina, e, quando mi rendo conto che l’inverno è finito, gli alberi esplodono già in un verde lussureggiante che mi soffoca, un verde polveroso e spento, nonostante l’estate di quest’anno, perfino in questo posto grigio, sia fresca e azzurra, quasi morbida, quasi pulita. Passo dalla porta di ferro, pesante e cigolante, e mi immergo in un’atmosfera contraddittoriamente più pura ( meno luce, meno rumore, meno sole ), come se in questo pomeriggio polveroso e sporco,  in questo orribile paese alle porte della città, mi fossi rifugiato nella frescura della pietra di una casa molto antica e molto fredda, con remoti odori di umidità e di gelo, il freddo non ancora fugato qui dall’estate, in questo luogo che si presume essere una specie di anticamera della morte. Mi piacciono la penombra e il silenzio, e rimango in piedi, con le spalle alla porta che si chiude con un colpo secco,mentre i miei occhi si abituano gradualmente all’oscurità e cominciano a distinguere le ombre. E sulla sedia a rotelle, di spalle, nel mezzo di una stanzetta piccola e soffocante, con un’unica finestra che da su di una strada trafficata e anonima ( nemmeno un albero per chi fra gli alberi del Valentino ci ha trascorso una vita ), scorgo la figura di Lorenzo, o ciò che resta di Lorenzo. L’ultima volta che lo avevo visto era al funerale di mio padre, cinque anni fa. Lorenzo era sceso da un taxi bianco, nel suo tailleur grigio da signora di gran classe, gli occhialoni scuri, i tacchi alti. Si era precipitato da mia madre in lacrime ( lacrime vere, autentiche lacrime di un vecchio amico ), poi aveva abbracciato me,  mi aveva stretto a sé con un trasporto e con un’intensità tale che la ricordo ancora e ci aveva accompagnato al loculo, sorreggendo mia madre con le sue braccia ancora forti. Ora Lorenzo è seduto su di una sedia a rotelle da corsia, sembra che guardi verso la finestra, ma è più probabile che sia perso nel suo mondo, che non sia con noi (  "a volte non riconosce la gente” mi ha detto l’infermiera appena entrati ), che stia vagando altrove per conto suo. Non avevo mai visto Lorenzo senza la sua parrucca bionda e quasi faccio fatica a riconoscere in questo topolino smarrito e rinsecchito il travestito bellissimo dei vecchi tempi. E neppure l’immagine del Lorenzo al funerale di mio padre ( un uomo già  avanti con gli anni, già magro e terribilmente invecchiato, ma ancora affascinante nei suoi tacchi alti da gran sera e nel vestito elegante e sobrio, ancora forte e in salute ) corrisponde in qualche modo a questo esserino fragile e minuto che ho davanti adesso, rattrappito nella sua sedia a rotelle da corsia, con quattro capelli corti e sfilacciati sulla nuca, dai tratti scavati e dolorosi. Gli tocco una spalla con cautela, lui volta lentamente il capo verso di me, mi guarda con i suoi occhi celesti, spenti e un po’ lividi, una fitta rete di rughe come un finissimo  merletto, le palpebre socchiuse, come quelle di chi ha preso troppi tranquillanti e cadesse dal sonno. Gli carezzo una mano, una mano aggraziata, lunga e affusolata. Poi d’improvviso sembra scuotersi dal suo torpore di secoli, mi guarda per un attimo serio, gli occhi celesti spalancati dallo stupore. “ Alex, bambino mio, sei tu?” Gli stringo il capino calvo da uccellino e gli carezzo le guance ruvide “ Che sorpresa, Alex, che sorpresa che mi hai fatto, sono la donna più felice della terra adesso!” Ride, ha un accenno di tosse, poi si riprende e si guarda attorno “ E chi l’è questo bel ragazzo che t’hei purtami a vughe? L’è el to murus?” dice in dialetto. “ Ma no Lorenzo, guarda bene: questo è Paolo, il nostro Paolo, non ti ricordi?” dico io triste. Lorain si batte una mano sulla testa pelata, guarda Paolo, gli si riempiono gli occhi di lacrime, gli tende una mano e afferra la sua con tenerezza “ Paolino, scusa, sono davvero una vecchia rincoglionita!” Paolo si muove con le sue stampelle verso di lui e lo abbraccia stretto “ Come stai, amore mio, dimmi, come stai, hai tanto male? La mamma di Alex mi ha detto tutto.”  Sospira lui pensoso. “ No, Lorenzo, va abbastanza bene, non ti preoccupare tu, ci pensano loro a me, Alex e Davide e la Silvia.”  Lui si volta di scatto verso di me “ mi sa che avevate ragione voi, bambini miei, il Signore è proprio cieco, non poteva risparmiare te, giovane  e bello, e dare questa croce a me, un vecchia bagascia inutile!” “Dai Lorenzo, non fa niente” dice Paolo dolce mentre gli carezza la testina calva. “ Come stai tu piuttosto?” “ Eh, miei cari, mi sun qui che aspetto:” dice lui serio “ Su Lorenzo!” dico io scuotendogli le spalle. “ Ma sì, bambini belli, va bìn parei, non sono mica triste io. E’ la vita, cosa ci volete fare?” Parliamo con Lorenzo delle ultime cose delle nostre vite, dei nostri ricordi dei tempi andati, di mio padre, delle cose del mondo. “ Sei uguale a tuo papà Alex, la stessa tempra, lo stesso carattere, gli stessi occhi neri” Per un attimo sorrido felice. “ Volete vedere una cosa? Aprite l’armadio, nel terzo cassetto c’è una scatola, portatemela qua. Vado verso l’armadio, apro il cassetto e tiro fuori una scatola vecchia di cartone sgualcito e consunto “ Aprila” mi ordina Lorain “ E guarda:” Avvolte in un panno di velluto nero, come per magia, ecco le scarpe rosse di Lorain, quando per tutti era la francesina “ Meravigliose! Le hai conservate per tutto questo tempo!” “ Certo mio caro, per non dimenticarmi mai di quando ero giovane, quando eravamo tutti più giovani. E’ poco, lo so, ma è l’unica cosa che ho conservato quando ho venduto l’appartamento in via delle Rosine e sono venuta qua dentro. Sono ancora belle, vero? Le lucido tutti i santi giorni.” Guardo le scarpe come incantato “ Quanti ricordi, vero ragazzi?” Ripongo le scarpe nel loro drappo di velluto nero. “Hai bisogno di qualcosa Lorenzo? Ti serve qualcosa?” gli chiedo io piano “ No, Alex, qui ho tutto,quasi tutto per lo meno” Paolo gli carezza le mani “ Però sì. Una cosa che vorrei tanto avere c’è”  “E diccela Lorenzo, che noi te le portiamo” “ Voi riderete di me, una vecchia zoccola in un ospizio, ma vedete, io dentro, certe volte,  mi sento  ancora quella di un tempo, quella di sempre, una ragazzina. Vorrei tanto una parrucca bionda! Ecco sì, una bella parrucca bionda come quella che avevo al Valentino” ride da solo “ Poi vi rendo i soldi neh, cosa vi credete!” accenna ad un sorriso stanco. “ Avrai la tua parrucca Lorenzo!” dice Paolo perentorio e sicuro. “  E adesso andate che questo posto fa male ai giovani, c’è aria di morte qui, andatevene. Vi accompagno alla porta” Usciamo dalla stanza spingendo la carrozzina di Lorenzo. Quando siamo sulla soglia lui guarda Paolo e gli dice “ fatti coraggio bimbo mio e quando la malattia ti fa male pensa ai vecchi tempi, alle risate che ci siamo fatti, che aiuta. Speriamo che questo cancro se ne vada presto Paolo, sperare non costa niente no? “ Una suora che regge un vecchio paralitico nel corridoio si gira verso di noi, guarda Paolo con pena infinita e mormora.: “Che Dio ti aiuti!” Lorenzo si gira di scatto, fulmina la suora con lo sguardo, sorride con uno dei suoi sorrisi amari e dice forte “ Sta zitta tu, lesbica!” C’è un attimo di stupore negli occhi della suora, il silenzio si fa pesante per qualche istante, poi tutti e tre scoppiamo in una fragorosa risata liberatoria “ Andate adesso, andate, e portatemi la parrucca appena potete.” Baciamo Lorenzo, apriamo la porta pesante e cigolante che si chiude alle nostre spalle con uno scatto secco e in qualche secondo siamo in strada. Alzo gli occhi al primo piano. Fra la cornice della finestra vedo Lorenzo, nella sua vestaglia a fiorellini tenui. Fa ciao con a mano e a leggergli  le labbra si vede chiaramente che scandisce “ La parrucca! Ricordatevi della parrucca!”Torniamo in città lentamente, nella frescura di un luglio dolce e strano, su questa strada brutta e arida, diritta e anonima. Paolo appoggia la sua mano sulla mia. Tutti e due sorridiamo. Quasi sereni. Per una volta quasi sereni.http://www.youtube.com/watch?v=Z8F8cG9jNb8