Una quindicina d’anni fa, a Stoccolma, feci delle cose con il coreografo di Bergman, Max Lundqvist e con la sua assistente alla regia, Efva Hansson, una svedese bellissima, rossa di capelli, imponente e dolcissima. Con Efva siamo ancora molto amici e capita, a volte, che lei venga a trovarci a Torino, quando è di passaggio dalle nostre parti. Non ho mai incontrato Bergman, putroppo, ma ho visto la Ullman diverse volte in un ristorante di Gamla Stan, nel cuore di una Stoccolma che è impossibile non amare. Ero innamorato di Liv Ullman a quei tempi. Sinfonia d’autunno lo avrò visto una ventina di volte, tanto da saperne certe battute a memoria. Efva me la presentò una sera in quel ristorante dove si serviva un banalissimo arrosto di vitello con salsa di mirtilli. Di quella sera ricordo il sorriso straordinario della Ullman, la sua preziosa umiltà, la conversazione lieve e delicata. Nulla a che vedere con la presunzione e l’arroganza dei divi di casa nostra. La cosa che mi rimase più impressa fu la semplicità di quelle persone, la vita di tutti i giorni che scorreva in loro come scorreva in noi, l’intelligenza e l’umiltà di chi aveva assunto l’arte come vocazione, lontanissimi loro da ogni riflettore che non fosse quello del palcoscenico. Se ne andò dopo cena in metropolitana, avvolta in un cappottone informe, come una persona qualunque che tornasse a casa dopo una giornata di fatiche. Ricordo la metodologia di lavoro di quelle persone: precisa, corretta, di una semplicità straordinaria, piana, liscia, fluida, senza conflitto alcuno. Non ho mai conosciuto Bergman, dicevo, ma la sua presenza in quei giorni aleggiava come un fantasma buono, come quello di una guida spirituale: Il Maestro, dicevano tutti. Ho visto tutti i suoi film e ho assistito alla rappresentazione di “Persona” al Dramaten di Stoccolma, laddove gli artisti si mescolavano alle casalinghe e alla gente comune, con un’armonia che mi fece provare una vergogna profonda per il mio paese, dove la cultura veniva considerata qualcosa per pochi intoccabili eletti e gli artisti ( o coloro che si consideravano presuntuosamente tali ) personaggi capricciosi e un po’ volgari, unici abitanti di un Olimpo grottesco fatto di cartapesta, del tutto impensabili in una società come quella svedese. Qualche anno dopo Max Lundquist mi mandò una cassetta del suo ultimo lavoro. All’epoca avevo qualche contatto con alcuni personaggi preposti all’organizzazione di festival di cinema e di teatro, sapevo di una rassegna che si teneva dalle nostre parti e mi misi in testa di proporre il lavoro di Max a coloro che operavano la selezione delle opere candidate. Mi sottoposi volontariamente ad una patetica trafila per arrivare a conferire con l’organizzatore della rassegna, il quale, dopo avermi inflitto un’anticamera di mesi, si degnò finalmente di ricevermi al suo cospetto. Mi trovai in un ufficio comunale, davanti ad un omuncolo spento, rassegnato e pallido, con la mia cassetta fra le mani. Mi liquidò in cinque minuti in malo modo. “ Prima dovrei visionare il lavoro” mi disse sgarbatamente “ Inoltre io non la conosco” aggiunse con la presunzione imperdonabile degli ignoranti. Mi presentai e gli dissi soprattutto che Lundqvist era il coreografo di Bergman, che il cache era molto basso e che le spese le avrebbero sostenute loro stessi. “Vede, Padovan, forse lei non lo ha ancora capito, ma noi vogliamo solo nomi celebri per la nostra rassegna”. Me ne andai con le pive nel sacco. Quella sera telefonai a Efva e a Max per comunicare loro il mio insuccesso “Non fa niente, Alex, siamo pieni e non avremmo potuto partecipare comunque. Volevamo solo mandarti in anteprima il video dello spettacolo, era un regalo per te.” Quell’anno la famosa rassegna internazionale fu aperta da Francesca Dellera.http://it.youtube.com/watch?v=vhh5djH7id8&mode=related&search
Post N° 518
Una quindicina d’anni fa, a Stoccolma, feci delle cose con il coreografo di Bergman, Max Lundqvist e con la sua assistente alla regia, Efva Hansson, una svedese bellissima, rossa di capelli, imponente e dolcissima. Con Efva siamo ancora molto amici e capita, a volte, che lei venga a trovarci a Torino, quando è di passaggio dalle nostre parti. Non ho mai incontrato Bergman, putroppo, ma ho visto la Ullman diverse volte in un ristorante di Gamla Stan, nel cuore di una Stoccolma che è impossibile non amare. Ero innamorato di Liv Ullman a quei tempi. Sinfonia d’autunno lo avrò visto una ventina di volte, tanto da saperne certe battute a memoria. Efva me la presentò una sera in quel ristorante dove si serviva un banalissimo arrosto di vitello con salsa di mirtilli. Di quella sera ricordo il sorriso straordinario della Ullman, la sua preziosa umiltà, la conversazione lieve e delicata. Nulla a che vedere con la presunzione e l’arroganza dei divi di casa nostra. La cosa che mi rimase più impressa fu la semplicità di quelle persone, la vita di tutti i giorni che scorreva in loro come scorreva in noi, l’intelligenza e l’umiltà di chi aveva assunto l’arte come vocazione, lontanissimi loro da ogni riflettore che non fosse quello del palcoscenico. Se ne andò dopo cena in metropolitana, avvolta in un cappottone informe, come una persona qualunque che tornasse a casa dopo una giornata di fatiche. Ricordo la metodologia di lavoro di quelle persone: precisa, corretta, di una semplicità straordinaria, piana, liscia, fluida, senza conflitto alcuno. Non ho mai conosciuto Bergman, dicevo, ma la sua presenza in quei giorni aleggiava come un fantasma buono, come quello di una guida spirituale: Il Maestro, dicevano tutti. Ho visto tutti i suoi film e ho assistito alla rappresentazione di “Persona” al Dramaten di Stoccolma, laddove gli artisti si mescolavano alle casalinghe e alla gente comune, con un’armonia che mi fece provare una vergogna profonda per il mio paese, dove la cultura veniva considerata qualcosa per pochi intoccabili eletti e gli artisti ( o coloro che si consideravano presuntuosamente tali ) personaggi capricciosi e un po’ volgari, unici abitanti di un Olimpo grottesco fatto di cartapesta, del tutto impensabili in una società come quella svedese. Qualche anno dopo Max Lundquist mi mandò una cassetta del suo ultimo lavoro. All’epoca avevo qualche contatto con alcuni personaggi preposti all’organizzazione di festival di cinema e di teatro, sapevo di una rassegna che si teneva dalle nostre parti e mi misi in testa di proporre il lavoro di Max a coloro che operavano la selezione delle opere candidate. Mi sottoposi volontariamente ad una patetica trafila per arrivare a conferire con l’organizzatore della rassegna, il quale, dopo avermi inflitto un’anticamera di mesi, si degnò finalmente di ricevermi al suo cospetto. Mi trovai in un ufficio comunale, davanti ad un omuncolo spento, rassegnato e pallido, con la mia cassetta fra le mani. Mi liquidò in cinque minuti in malo modo. “ Prima dovrei visionare il lavoro” mi disse sgarbatamente “ Inoltre io non la conosco” aggiunse con la presunzione imperdonabile degli ignoranti. Mi presentai e gli dissi soprattutto che Lundqvist era il coreografo di Bergman, che il cache era molto basso e che le spese le avrebbero sostenute loro stessi. “Vede, Padovan, forse lei non lo ha ancora capito, ma noi vogliamo solo nomi celebri per la nostra rassegna”. Me ne andai con le pive nel sacco. Quella sera telefonai a Efva e a Max per comunicare loro il mio insuccesso “Non fa niente, Alex, siamo pieni e non avremmo potuto partecipare comunque. Volevamo solo mandarti in anteprima il video dello spettacolo, era un regalo per te.” Quell’anno la famosa rassegna internazionale fu aperta da Francesca Dellera.http://it.youtube.com/watch?v=vhh5djH7id8&mode=related&search