Esce di casa la mattina presto, all’alba. Sul capo regge un secchio di latta. Un vestito rosso e azzurro le avvolge il copro esile. Si muove con il lieve ondeggiare dei suoi fianchi stretti, da ragazzo. I capelli neri, quasi blu, brillano ai raggi del primo sole. Campanelli d’argento tintinnano alle sue caviglie nude. Lenti i piedi procedono verso il fiume. Con uno straccio lurido, color della terra, si terge il sudore dalla fronte e dal collo con un gesto morbido, indolente. Il calore della pianura, in estate, ha formato come un muro attorno alla ragazza. Si soffoca in pianura, anche di mattina presto, all’alba. E’ molto giovane, poco più che una bambina. Se solo si voltasse le si potrebbero vedere gli occhi fondi e neri, occhi seri dallo sguardo fisso, occhi inquieti di adulta in un corpo di gracile adolescente. Cammina, segue gli argini. Raggiunge un punto più lontano. A capo chino piega la schiena sull’acqua, tesi i muscoli sotto la pelle del dorso ambrato. Riempie il secchio di latta. Si rialza lentamente, contratti per lo sforzo i lineamenti del volto. Sistema il secchio al centro del capo, sullo straccio sporco, ripiegato, color della terra. Le mani libere, gli occhi semichiusi. Ancora non si volta. Ancora non torna. Appoggia lentamente una mano al fianco sottile, apre gli occhi, guarda fisso lontano, verso l’orizzonte, verso la foce del fiume. Posso sentire il nero dei suoi occhi posarsi su di un punto all’infinito, sulle acque torbide e melmose. Lei indugia a lungo su quel punto. Il corpo immobile, come fermo il respiro. Presto si volterà. Farà ritorno a casa. Ecco che si volta. Il passo è lento, il volto serio e teso, gli occhi scuri come velati d’ombre. Ancora un attimo. Si volta piano, guarda ancora una volta verso l’acqua nera . Vorrei che mi insegnassero come si fa a dimenticare. Vorrei che mi dicessero come si fa per piangere. Mi telefoni. La tua voce al di là del filo nero. Sono stanco. Lo so. Non è il mio. Lo so. Vorrei tornare. Adesso. Torna. Non posso. Giovedì il ritorno. E'fissato. Il ritorno. Ti aspetto. Hai suonato? Sì, due concerti, carini. Soltanto carini? Non è il mio, lo sai. Lo so. Come ti senti? Un po' solo. Tutti bene? La Silvia. Sì, bene. Ti aspetta. Ho visto le cose. Hai visto le cose, lo so. Le hai viste. Tante. Tante, lo so. Riparti fra poco? No resto, per un po' resto con te. Ti amo. Lo so. Ti amo. Anch'io mio Davide. Ti amo. Per sempre. Per sempre. La vita. Le foto. L'amore. La gente. L'amore, le foto. Tu. La vita. L'amore.
Post N° 529
Esce di casa la mattina presto, all’alba. Sul capo regge un secchio di latta. Un vestito rosso e azzurro le avvolge il copro esile. Si muove con il lieve ondeggiare dei suoi fianchi stretti, da ragazzo. I capelli neri, quasi blu, brillano ai raggi del primo sole. Campanelli d’argento tintinnano alle sue caviglie nude. Lenti i piedi procedono verso il fiume. Con uno straccio lurido, color della terra, si terge il sudore dalla fronte e dal collo con un gesto morbido, indolente. Il calore della pianura, in estate, ha formato come un muro attorno alla ragazza. Si soffoca in pianura, anche di mattina presto, all’alba. E’ molto giovane, poco più che una bambina. Se solo si voltasse le si potrebbero vedere gli occhi fondi e neri, occhi seri dallo sguardo fisso, occhi inquieti di adulta in un corpo di gracile adolescente. Cammina, segue gli argini. Raggiunge un punto più lontano. A capo chino piega la schiena sull’acqua, tesi i muscoli sotto la pelle del dorso ambrato. Riempie il secchio di latta. Si rialza lentamente, contratti per lo sforzo i lineamenti del volto. Sistema il secchio al centro del capo, sullo straccio sporco, ripiegato, color della terra. Le mani libere, gli occhi semichiusi. Ancora non si volta. Ancora non torna. Appoggia lentamente una mano al fianco sottile, apre gli occhi, guarda fisso lontano, verso l’orizzonte, verso la foce del fiume. Posso sentire il nero dei suoi occhi posarsi su di un punto all’infinito, sulle acque torbide e melmose. Lei indugia a lungo su quel punto. Il corpo immobile, come fermo il respiro. Presto si volterà. Farà ritorno a casa. Ecco che si volta. Il passo è lento, il volto serio e teso, gli occhi scuri come velati d’ombre. Ancora un attimo. Si volta piano, guarda ancora una volta verso l’acqua nera . Vorrei che mi insegnassero come si fa a dimenticare. Vorrei che mi dicessero come si fa per piangere. Mi telefoni. La tua voce al di là del filo nero. Sono stanco. Lo so. Non è il mio. Lo so. Vorrei tornare. Adesso. Torna. Non posso. Giovedì il ritorno. E'fissato. Il ritorno. Ti aspetto. Hai suonato? Sì, due concerti, carini. Soltanto carini? Non è il mio, lo sai. Lo so. Come ti senti? Un po' solo. Tutti bene? La Silvia. Sì, bene. Ti aspetta. Ho visto le cose. Hai visto le cose, lo so. Le hai viste. Tante. Tante, lo so. Riparti fra poco? No resto, per un po' resto con te. Ti amo. Lo so. Ti amo. Anch'io mio Davide. Ti amo. Per sempre. Per sempre. La vita. Le foto. L'amore. La gente. L'amore, le foto. Tu. La vita. L'amore.