Arrancame la vida!

Post N° 538


Qualcuno mi ha detto che scrivo sempre delle stesse cose. Forse è vero. Me ne dispiace, in un certo senso. Il fatto è che la mia vita è fatta così ed io scrivo della mia vita e dei miei pensieri. Non sono un romanziere o un commediografo. Non riesco proprio a cambiare commedia. Giornata passima, di quelle dove l'umor nero prevale su tutto. Mentre andavo dal tabaccaio ho incontrato Mariano. Non lo vedevo da un sacco di tempo Mariano. Lui ha qualche anno in meno di me. Era un ragazzo bellisimo quando eravamo giovani. Un siciliano bello e fiero, un po' ribelle. Parlo degli anni '80, io. Una volta ebbe un incidente con la Vespa e si ruppe un femore. Andai a trovarlo all'ospedale, quando sapevo che la sua fidanzata non c'era. Lui aveva questa ragazza da una vita, Mariano. Annalisa si chiamava; lei la incontro ancora ogni tanto. Se ne stava in quel lettuccio d'ospedale, a torso nudo, sudato per via dell'afa estiva, con la gamba in trazione, un filo di barba sul viso splendido, sorrideva piano. Quando tornò a casa lo andai a trovare una sera. Lo trovai che tracannava una bottiglia di prosecco che gli aveva portato un suo amico neurologo, un tizio verso il quale nutrivo una forte antipatia e qualche fondato sospetto. Mi chiese se volessi farmi una canna con lui. Rifiutai quella sera. Tornato a casa gli scrissi una lunga lettera, dove gli confessavo di essermi innamorato di lui, dove gli dicevo quanto lo desideravo, quanto lo volevo. Erano i giorni  delle lettere. Erano i giorni in cui confondevo il desiderio fisico con l'amore. L'attenzione e la semplice educazione altrui le scambiavo per interesse nei miei confronti, per desiderio, per passione, perfino per amore. Ero un disastro all'epoca. Mendicavo affetto. Aspettai invano una sua risposta che non arrivò mai. Una volta lo rividi che già stava bene e poteva camminare. " Mi dispiace Alex"mi disse piano " Ci ho impiegato tanto a diventare quello che sono e non me la sento di rischiare tutto. Spero che tu comprenda". Compresi quella volta. Passarono gli anni e noi due ci perdemmo di vista. Mi parlò di lui una volta, per caso, un tipo che vive nel nostro palazzo. Risulta che il vicino di casa andò un giorno a prendere dei libri in una certa biblioteca col figlio piccino e ne tornò letteralmente scandalizzato. Pare che il bibliotecario che lo aveva servito fosse, quel giorno, completamente ubriaco, stracotto, fatto al punto tale da non reggersi in piedi. Come mosso da una spinta feroce feci qualche piccola indagine e finii per scoprire che l'ubriacone era Mariano. Mi dissero che nel frattempo si era sposato con una psicologa ( !), che non avevano figli loro, ma che avevano un bambino in affido (!). Contattai perfino un suo collega, un tizio che conoscevo appena, per saperne di più. L'uomo non fece che confermare quello che si diceva in giro. Dal tabaccaio, quindi, mi sono sentito posare un braccio sulle spalle. Mi sono voltato e stento ho riconosciuto in quel volto vecchio e rugoso, spento ed avvilito, il viso dolce e fiero del  Mariano di un tempo. Eppure era lui. Mi è sembrato più piccolo, più fragile, quasi rattrappito. "Come stai Alex?" mi dice tentando di reggersi in piedi con quella fatica dolorosa che conosco bene. Mi si stringe il cuore a vederlo così. Vicino a lui c'è un bambino che sfoglia distratto un giornale a fumetti. "Passa in biblioteca uno di questi giorni che facciamo due chiacchiere in pace. Come ti vanno le cose?" Non so cosa dire. Mormoro piano "sono venuto a comprare la marca per il passaporto..." Lui ride e continua a battermi la mano sulla spalla, una mano che ricordo grande, solcata da grosse vene, dalle dita lunghe e affusolate e che adesso mi sembra una manina da bimbo, poco più grande della manina del bambino che stringe la sua. Cambia l'appoggio sulla gamba destra e barcolla leggermente. Il suo alito sa di liquore da due soldi.  " Che mi racconti Alex?" ancora non riesco a dire nulla. " Io la solita vita, che vuoi farci?" dice senza smettere di ridere. Allora entro dal tabaccaio, mi faccio dare un pezzo di carta e una penna, scrivo il numero di telefono di Roberta, la psichiatra che ha curato me, esco di nuovo e gli stingo il foglietto fra le mani. Lui mi guarda sorpreso. "Che cos'è? Cosa c'è scritto qui?" mi chiede smarrito. " Mariano, ci metto meno di una frazione di secondo a riconoscere un alcolizzato io. E' il telefono di una pischiatra. Ti aiuterà. Dille che hai parlato con me." Lui continua a guardami senza capire. Per un attimo posa gli occhi sul pezzetto di carta, poi mi guarda e sorride. " Alex, guarda che io non bevo mica, cos'hai capito?" Mi viene da piangere e mi batte il cuore all'impazzata, ma resto sul marciapiede a guardare Mariano che se ne va barcollando col bambino per mano.Sul far della sera entro nella nostra camera da letto, dove lui suona il piano da questa mattina. Ho bisogno di conforto. Rido, ma con una sorta d'incertezza e di paura, proprio come farei se fossi appena scampato a un pericolo. I giorni sono più brevi, le notti più lunghe. Viene l'inverno. Stiamo zitti insieme, come facciamo spesso, a lungo, quando la vita ci ferisce profondamente e non ne comprendiamo le ragioni. Bisognerebbe vivere come abbandonati in un deserto, nello spirito, nel ricordo di un solo bacio, di un solo sguardo per tutto un amore. Lontani dal dolore. E  dalla paura.http://it.youtube.com/watch?v=lTZDG-3PvyE