Arrancame la vida!

Post N° 553


C’è un tizio che ho conosciuto anni fa, direi quasi venti. Era un ragazzo carino, timido, con i peletti al posto giusto, abbastanza erotico, pensavo allora. Ebbi una specie di storia con quel tizio, quasi vent’anni fa. Mi piaceva e a letto era una bomba. Era un po’ strano Gianni, questo lo notai subito. Veniva da una famiglia rigida, bigotta e sicuramente non troppo sana. Nessuno  dei suoi sapeva della sua omosessualità  né lui riusciva ad ammetterlo con se stesso. Il padre era un ex poliziotto in pensione, la madre una casalinga. Tutti e due avevano dei grossi problemi legati all’affettività.  Io ero  in un periodo in cui scambiavo una scopata per amore, avevo la testa confusa,  le braccia che facevano male tanto era la voglia di abbracciare qualcuno, chiunque fosse. C’è stato un tempo in cui ero così, l’ho già detto. Questo tizio veniva a casa mia regolarmente, due, tre volte a settimana, a scopare, nient’altro. Non si parlava mai di  nulla Gianni  ed io. Lui era un po’ tonto a dire il vero. E raccontava un sacco di bugie. Sulle prime non me ne accorsi nemmeno, poi incominciai a farci caso. Mi raccontava delle cose inesistenti. Per mia natura ero disposto a credere a tutto quello che aveva una parvenza di logica e non verificavo mai nulla. Anche oggi sono così. Do per scontato che gli altri siano come me e raramente ho bisogno di verifiche. Mentire non è nella mia natura e lo sforzo che dovrei compiere per farlo è troppo grande per le mie forze. Comunque a quel tempo ero più credulone del solito e poi mi piaceva tanto il suo corpo e volevo goderne il più a lungo possibile, per cui passavo allegramente sopra le sue bugie. Finché non scoprii, per puro caso, alcune verità ineluttabili sul suo conto. Gianni si era costruito  un mondo fantastico, un mondo parallelo dove gli sarebbe piaciuto vivere, il mondo che avrebbe voluto. Mi raccontava di far parte di una squadra di calcio amatoriale: non era vero. Mi diceva di avere un diploma da ragioniere: in realtà aveva la terza media. Mi parlava di trasferte con la sua squadra: immagino che trascorresse i pomeriggi nella sua casa, con i genitori disturbati, in una specie di antro che ho sempre immaginato letale e velenoso. Mi diceva un sacco di balle il povero Gianni. Il fatto è che mentiva su cose senza importanza. Non mentiva affinché io lo apprezzassi di più, mentiva per se stesso, faceva finta di essere davvero tutte le cose che diceva e ci credeva perfino, in un certo senso. Un giorno che ero in vena mi presi la briga di fare qualche indagine qua e là. Non fu tanto difficile. Scoprii che Gianni era stato costretto dal padre a seguire le sue orme in polizia, che poi aveva abbandonato poco dopo: “non ce la faceva” mi disse la persona che contattai e che conosceva meglio di me la sua situazione: “piangeva sempre. Del resto, Alex, se tu conoscessi i suoi..pensa che gli hanno preso un letto normale solo quando era adolescente, prima dormiva in un letto da bambino.” Questo fatto mi gettò nello sconforto. In seguito scoprii che Gianni, i cui disturbi mentali venivano regolarmente negati dai genitori, aveva fatto l’operario per qualche tempo in una ditta alle porte di Torino. Poi si era licenziato. Un giorno, alla luce di questi fatti, gli parlai a casa mia. Cercai di aiutarlo a capire, ma sbagliai mossa. Non avevo preso in considerazione che Gianni potesse essere veramente disturbato. Reagì con violenza e dopo una scenata uscì da me sconvolto. Me lo ritrovai sulla porta di casa completamente alterato qualche giorno dopo, che brandiva la Gazzetta dello Sport, dicendomi che quel giornale parlava di lui, che avrei dovuto credergli adesso, finalmente. Impaurito lo cacciai dall'appartamento, minacciando di chiamare i carabinieri e di farlo ricoverare. Dopo questo fatto incominciò a lasciarmi dei messaggi minatori sulla segreteria telefonica. Si era convinto che io potessi fargli avere un posto in RAI. Non so cosa passasse nel suo cervello malato. Poi scomparve all’improvviso. Di lui non se n’ebbe più traccia. Molto più avanti venni a sapere che era stato assunto presso un’assicurazione, grazie, credo, a qualche raccomandazione del padre-padrone. Più avanti ancora qualcuno mi disse che era stato licenziato da quel posto in malo modo: si era spacciato con alcuni clienti per il titolare ed era stato la causa di un sacco di guai. Ancora più avanti nel tempo mi dissero che sbarcava il lunario vendendo porta a porta dei  prodotti per la casa. Continuava a vivere coi suoi, in quell’antro maledetto, tetro e spaventoso. Un altro giorno una mia amica, assistente sociale della Asl, mi disse che Gianni si era presentato per un colloquio da loro. Non mi disse perché. Non glielo chiesi. Lo vidi ancora una volta, almeno dieci anni fa. Un po’ stempiato, magro, invecchiato, troppo per i suoi 30 anni di allora. Stamattina, sfogliando il giornale, gli occhi mi sono caduti sulla cronaca cittadina. “ Commesso di supermercato muore durante la pausa lavoro” diceva l’articolo. Un brevissimo articolo di cronaca scritto malissimo, probabilmente da una sottospecie di giornalista che doveva buttare giù il pezzo prima che il giornale andasse in stampa e c’era ancora uno spazio da riempire. “ Era il momento della pausa quando il povero Gianni Z. si è accasciato sul tavolo. Dai primi accertamenti sembra che il commesso sia stato colpito da emorragia cerebrale.” Accanto al trafiletto orribile la foto del povero Gianni, come lo ricordavo 20 anni fa, con tutti i suoi capelli, con il suo viso un po’ svanito, un filo di barba sulle guance. Lui, insomma. Ho scritto tutto questo non tanto perché mi abbia colpito questa morte tanto prematura , ma perché mi è tornato di colpo davanti agli occhi  il ritratto di una vita assurda, fatta di malattia e forse anche di degrado, una vita di cui non conoscerò mai appieno le sfumature e tutta la verità. E credo che nemmeno Gianni la conoscesse del tutto la sua vita. Quello che è certo è che non è riuscito a viverla. Una vita che si chiude così, in un modo tragico, piccolo e anche un po’ patetico. Una vita vissuta a metà, in bilico fra la realtà e il deliro. Il povero Gianni, che avrebbe tanto voluto comparire per una volta su di un quotidiano-la sua foto mentre tirava di rigore, driblava un avversario, segnava un  gol, di tacco o di testa-ci arriva adesso sul giornale, a quasi trent’otto anni ancora da compiere, alla fine di una vita difficile e in fondo inutile. Perché tutto è accaduto per niente. Tanto dolore  c’è stato per niente, in una patomima assurda e mediocre, in fondo, come la vita stessa. In mezzo a tanta solitudine, la scena collocata in un atro oscuro, un lettino d'angolo che da troppo tempo accoglieva il suo corpo già grande. Una vita ridotta ora ad una fototessera orrenda, una di quelle scattate dalle macchinette per la strada, una foto che gli avranno restituito all’anagrafe quando di foto gliene avrà portate quattro senza motivo. Data al giornale da un madre affranta e confusa, che forse, per un attimo, avrà maledetto il castello di mura nel quale aveva seppellito da sempre la realtà, insieme al marito padrone, in una successione di errori tragici, in una carenza d'amore profondissima e senza fine, che affonda le sue radici, vecchie come il mondo, non ricorda nemmeno lei più dove, tanto è vecchia la colpa. E l'amarezza. E la solitudine. E il dregrado. E lo stupore. E l'ignoranza. E la paura. http://it.youtube.com/watch?v=wF9j3GRBihQ